David Quammen, L’albero intricato. Una nuova e radicale storia della vita, Adelphi, Milano 2018
1. «Beagle». Luglio 1837, Londra; un navigante di nome Charles Darwin si imbarca. Nove mesi prima (nel novembre del 1836) Darwin era rientrato dalla lunga traversata a bordo dell’HMS Beagle. Quel viaggio era durato 5 anni e si era svolto principalmente lungo la costa sudamericana. Darwin aveva osservato i “tordi beffeggiatori” dell’arcipelago delle Galápagos (nel mezzo del Pacifico). Il punto (o il nodo) della questione era: costanza da una parte e differenza dall’altra. Qualcosa rimaneva costante e qualcosa cambiava. Ma, d’altra parte, rimanevano impregiudicati anche altri due elementi: il tempo e lo spazio. Infatti, qualcosa rimaneva costante in un luogo (in uno spaio determinato) e rimaneva differente in un altro luogo e, inoltre, qualcosa cambiava in un certo tempo (t₀) rispetto ad un tempo successivo (t₁).
2. L’equazione della vita. Siamo dalle parti della filogenetica molecolare. Infatti David Quammen in questo suo libro L’albero intricato. Una nuova e radicale storia della vita (traduzione di Milena Zemira Ciccimarra) ci sta parlando di due cose: a) del paradigma che, all’inizio della vita, si manifesta nella vita e b) del paradigma (differente dal primo) della vita per come la conosciamo oggi. Intendiamo per paradigma – in senso kuhniano – un insieme formato da RNA, DNA e qualche proteina che, non solo erano presenti all’inizio (4 miliardi di anni fa) della vita ma che, sia pure darwinianamente trasformati, sono presenti anche oggi, adattamento su adattamento, mutazione su mutazione. Vediamo intanto la definizione che Quammen ci fornisce di filogenetica molecolare: “interpretare la storia profonda della vita e i rapporti di parentela tra le specie a partire dalla sequenza delle unità costitutive di determinate molecole lunghe, così come queste molecole si presentano nelle odierne creature viventi”. Se, intanto, dico “la storia profonda della vita” dico immediatamente “il suo inizio” e, come dicono quelli che sanno fare bene la tv, il suo “percorso”. Poi dico anche “il punto nel quale è giunta oggi la vita”, ma se dico anche le “sequenze delle unità costitutive” così come queste molecole si presentano nelle “strutture” (e questa è la definizione dell’intelligenza che mi ha dato Luigi-Luca Cavalli Sforza a Modena durante una conversazione che abbiamo avuto) delle “creature viventi”: allora sto dicendo qualcosa che riguarda la “trasmissibilità” (Marshall McLuhan) della vita. Come questa benedetta vita è giunta fino a noi? Che cosa era essa all’inizio? Che cosa è oggi? Occorre, a questo punto scrivere un’equazione. E tutto il resto del libro di Quammen è questa equazione.
3. Quammen. Darwin scrisse: “Gli esseri organizzati rappresentano un albero”. Ma un albero è fatto, principalmente di rami. E ogni ramo, a sua volta, si biforca in rami più piccoli, a mano a mano più piccoli. Le gemme più estreme sono le specie. Mentre i generi sono i rami più piccoli. E Aristotele (ri-letto da Massimo Cacciari nella sua opera brillante e difficilissima Dell’inizio, Adelphi, Milano. 2008) parla di categorie, generi e specie. Ma se tendiamo a partire proprio da Charles Darwin ci accorgiamo allora che la specie – attraverso l’asse sempre teso dell’evoluzione sessuale – è solo quella umana. L’opera di Darwin, in questione, è L’origine dell’uomo e la selezione sessuale (introduzione di Giuseppe Montalenti, traduzione di Paola Fiorentini e Mario Migliucci, Newton Compton, Roma, 2010) e, nel libro di Quammen, la “selezione sessuale” diventa la “successione” (la serie) di Fibonacci – come nel grandioso e magnifico film di Lars Von Trier Nimphomaniac (vol. I e vol. II) con una provocante, ingenua e splendida Charlotte Gainsbourg. Ma rimane un punto: sequenze (serie), unità fondamentali, trasmissione, codice genetico, RNA, DNA, “qualche proteina”, l’inizio (che è sempre un problema – in filosofia non è tanto un problema la fine delle cose, ma il loro inizio – e che Massimo Cacciari esemplifica, usando Aristotele, come doppia cosa: sostanza e inizio stesso – del resto si tratta delle stesse categorie aristoteliche, tanto per venire a fatti più concreti: la sostanza è la prima categoria ma è anche la categoria prima) e la fine.
Oggi, e sto scrivendo in un assolato luglio del 2020, siamo di fronte a un altro inizio? A meno che, per parlare dell’inizio, non si prenda come punto di vista privilegiato (alla Albert Einstein) l’oggi, cioè quello che sta avvenendo in questo luglio post-Covid-19 del 2020, cioè proprio l’oggi. Ma, come direbbe Lucio Villari: questa è un’altra storia. Scrive ancora Quammen: “alcune gemme gradualmente avvizziscono senza produrre ulteriori germogli – la specie si estingue, arriva al capolinea – mentre altre nel frattempo appaiono in qualche modo”. Lo stesso Darwin, del resto, aveva scritto che: “la morte di una specie non è più strana della morte dei singoli individui”. Dunque la fine non è interessante. Si muore e basta. In genere si muore e si getta qualche fiore – ammesso che ce ne siano in epoca di Covid-19. Quello che ci interessa è l’inizio – e qui Cacciari troneggia. Darwin stesso, del pari, propose di chiamare corallo l’albero della vita. Infatti la morte (la base) non ci interessa mentre i rami, le gemme, i germogli sono polipi che producono carbonato di calcio (animaletti detti coralli): i frattali. Con lo sperma dei coralli (oggetti frattali) si ripopola la barriera corallina. E quindi il ponte tra la filosofia antica e quella del cristianesimo è San Giustino con la sua teoria (alla Mandelbrot) di una ragione disseminata (che poi vuol dire Jacques Derrida) e seminante (come Valentina Nappi oserebbe fare nella barriera corallina). I rami inferiori del corallo sono uno “scheletro di calcite senza vita” (la morte frattale, frattanto che lo specchio-simulacro è franto e frattaglie, ritagli, tagli). I rami superiori sono frattali e quindi gemme che riproducono altre gemme (indefinitamente): Charles Darwin corretto (come il caffè con il cognac) con Benoit Mandelbrot diventa un corallo che ha un inizio ma non ha una fine (la solita morte, che arriva per tutti, pure per chi sta scrivendo queste righe). Proprio come Bob Dylan a Durango: “La storia è lunga ma ne vedo la fine/arriveremo per il ballo/ e Dio ci accoglierà sulle colline/ coi suoi occhi smeraldini di ramarro”. Corallo più corallo meno Darwin (ri-letto da Quammen) ci conduce alla struttura e quindi al paradigma e quindi alla vita – che, una volta appurato che è la stessa (all’inizio e alla fine), rimane una X che deve essere resa paradigma per mostrare somiglianze e differenze nel punto di partenza.
4. Performativi (ovvero: come ti dico SI e ti rovino per tutta la vita). Parliamo di parentele. Il SI del matrimonio è un “performativo”: è una parola che produce un atto (un atto pubblico), un contratto. Ci vuole una “lente d’ingrandimento”. Sotto la lente (come avrebbe potuto fare Baruch Spinoza se non si fosse limitato a molare) ci sono: un uomo, una donna (due rami), i genitori (un nodo), un figlio (la gemma), il figlio del figlio (il germoglio) e i frutti (il nonno) dunque “l’albero della vita” (fatto scendere dall’alto in cui si trova verso la parentela) fa sì che ci si renda conto che il SI del matrimonio non genera solo un contratto pubblico, ma anche una serie di fatti. Cioè i rami germogliano altri rami più piccoli eccetera. A questo punto la struttura è chiara. C’è un filato dei tessuti (e il tessuto parentale è costituito da nodi interconnessi – un po’ come la famigerata Rete che poi non è altro che un insieme di tre nodi, tre w: www) o una cosa come la catena alimentare: rami, gemme, frutti e nodi, links, maglie che producono – nel punto iniziale una crasi (se fosse ancora vivo Emanuele Severino ne avrebbe sofferto, dato che la legna diventa cenere e la cenere non torna più a essere legna). Da una parte c’è il paradigma finale (chiamiamolo “Vita II”) e dall’altra il paradigma iniziale (detto “Vita I”) per cui sfrecciano le differenze: i generi, le specie, la sostanza, l’uomo, la donna, l’infante. SI dice la sposa e non sa, non sa cosa?
5. Dedicato a Johnny Storm ma soprattutto a Jessica Alba. Johnny Storm teme l’amianto. L’asbesto. E qui entriamo nel doloroso e nel crudele. Infatti, in Italia, il lavoro più pericoloso e terribile è quello che svolgono gli operai che lavorano l’amianto. L’amianto non teme il calore. Ma l’amianto – e Jessica Alba e la torcia umana – cosa c’entra? E cosa c’entra la ragazza invisibile dei Fantastici Quattro? L’amianto è un corallo? Ha la sua stessa struttura? E quando è “invisibile” Jessica Alba può fare l’amore? Quale è la capacità di riconoscere strutture dell’intelligenza al lavoro coi frattali? Siamo qui nel cuore del libro di Quammen. Partiamo dall’albero della vita. Quammen scrive: “verso la fine del diciottesimo secolo e l’inizio del diciannovesimo, i filosofi della natura (oggi li chiameremmo scienziati, quel termine ancora non esisteva) cercarono di classificare e disporre le creature viventi in gruppi e sottogruppi distinti, che riflettevano le loro somiglianze e differenze e un certo tipo di schema organizzativo”. Quindi abbiamo qui qualcosa di definitivo: generi, specie. Poi: gruppi, sottogruppi. Una matrice e sequenze e rami-finali, cioè l’origine della specie per adattamenti successivi. Quindi abbiamo qualcosa di definitivo. Abbiamo, come direbbe Maurizio Ferraris, “l’emergenza di una matrice” (una struttura) e i suoi adattamenti (similitudini e differenze). Questa matrice è costituita dal doppio-paradigma: Vita I e Vita II, vale a dire scala, tronco e rami, biforcazioni, due dimensioni (orizzontale e verticale). A questo punto il paradigma della vita è pronto per andare e venire nello spazio-tempo (la quarta dimensione per Einstein è il tempo) per cui nell’Universo – come dice lo stesso Quammen – c’è vita solo sulla Terra. Perché le biforcazioni hanno una fine (è il Principio Antropico sul quale Gianfranco Bertone mi ha bacchettato), ma non hanno un inizio (Quentin Meillassoux). Infatti il fossile che testimonia l’inizio (un inizio) non è altro che la Terra (la Realtà) senza la specie. Ma un genere senza la specie è solo una categoria e la categoria, in fondo, non è che ragione e la ragione è «reale» (l’ha detto Hegel: «tutto il reale è razionale»). Ecco dunque (grazie a Quentin Meillassoux) abbiamo che il (doppio) paradigma è Realtà. Vita I e Vita II sono due differenze di un’unica Realtà. Sono due “livelli” di Realtà. Ma il paradigma, come direbbe Roberto Esposito, rimane “immutato”. Abbiamo trovato la vita!
6. O la borsa o la vita? Ferraris ha una mezza dozzina di camicie Oxford. Diego Fusaro è un bravo filosofo. Diego ha scritto Bentornato Marx. Rinascita di un pensiero rivoluzionario(Bompiani, Milano, 2018) anche se (come si dice: al grosso pubblico) è noto soprattutto per le sue apparizioni televisive. Fusaro ci ha insegnato (a me e a quelli della mia generazione di marxiani delusi e tristi) che un vecchio paradigma (il marxismo) può essere recuperato, e può servirci per l’attualità. Dunque lo stesso paradigma (la stessa struttura) vale al tempo iniziale e a quello finale. Ma la Realtà cambia. E che Realtà abbiamo al tempo iniziale? Il marxismo, direbbe Fusaro. No. Abbiamo Vita I. E quindi la differenza rispetto a Vita II. Dunque il marxismo è sempre lo stesso, solo che nei due tempi considerati cambia il “contesto”. Ma qual è il contesto della vita? Il Biopotere, potremmo dire. Ma il Biopotere è potere della vita sulla vita. Tipo la Pecora Dolly. Potere di “clonare” la vita. Potere sulla vita come “contesto” della vita. Al tempo iniziale il Biopotere è quello che Jonas definisce il “principio-responsabilità”. La responsabilità del pianeta nei riguardi del pianeta. Dunque la responsabilità della vita nei riguardi della vita. Ma Newton ci ha avvisati: “la natura non fa salti”. Dunque la vita si produce continuamente sulla vita; centinaia di migliaia di ovuli e di spermatozoi, ovaie, testicoli: la vita, come tutti sanno, vuole solo la vita. È la “libido” freudiana. Dunque il Biopotere è energia libera e vitale. La quale, come si sa, è uguale a mc². La massa moltiplicata per la costante gravitazionale sono uguali alla libido. Alla Henri Bergson, vita che chiama a sé altra vita in uno slancio vitale (che poi è la comunicazione; del resto fare l’amore è comunicare sperma e liquido vaginale) che vuol dire: Vita I e Biopotere. È il trionfo del sesso! O meglio ancora del “nesso” indissolubile tra luogo e tempo: quello che, negli assi cartesiani, è il punto A. E questo punto è il paradigma dei paradigmi (o, come direbbe Kelsen, “la norma delle norme”) e questo “punto A” (alla Melissaux) è la linea d’incontro tra due paradigmi distanti nel tempo – e questo cortocircuito si chiama virus. Covid-19, SARS-COV, Ebola, AIDS, Mucca Pazza, Aviaria: quando il Biopotere “incontra” la Vita scoppia il virus. Del resto, i batteri sono solo l’altra faccia degli anticorpi. È lo scotto da pagare rispetto al fatto che, alla fine, vuoi o non vuoi “facciamo sesso”, godiamo nel vedere una partita di calcio, ci “scanniamo” (come direbbe Salvo Veneziano) tra noi per ragioni politiche. La vita vuole la “norma delle norme” e tutto questo Grande Circo Barnum (dove alla fine non si gioca per partecipare, ma si gioca per vincere) vuole il virus. La storia della vita, infatti arriva a un “paradigma”: RNA, DNA e “qualche proteina”. Ecco quello che resta? “Quello che resta” è solo una nuova drammatica (o forse strabiliante) esplosione di vita. E, darwinianamente, la vita vuole solo altra vita. L’ha detto Gesù Cristo: lasciate che i morti seppelliscano i morti. La vita vuole solo la vita.
Riguardo a Ferraris posso dire invece che possiede mezza dozzina di camicie Oxford. Per cui ne sa più di me che, come il vecchio Bossi, ho solo una “canotta” o maglia della salute e i peli sulle ascelle. “La proto-giraffa delle aride praterie dell’Africa si protende per raggiungere le foglie alte, per lo sforzo (presumibilmente) il collo si allunga, si allungano anche le zampe anteriori e di conseguenza i suoi cuccioli nascono col collo e le zampe anteriori più lunghe”. Ferraris e i suoi “cuccioli” (il più playboy tra loro è Massimo Recalcati) sono Nuovo Realisti: essi credono che Vita I sia un paradigma “quasi” uguale a Vita II e chiamano questo “quasi” la Realtà. Dunque rispetto alla Realtà (vita) si ha che Vita I“differisce” da Vita II per uno “scarto”. E questo “scarto” è il virus: infatti nella nuova e radicale storia della vita di Quammen le cose cambiano. Ma se cambiano le cose, la storia (Realtà) non cambia. La “differenza” (tra la storia e lo stato delle cose) è un batterio (qualcosa che sconvolge la vita). E questo “scarto” è dato dal fatto che la “storia della vita” non è “la vita della storia”. Infatti la “vita della storia” è la storicizzazione. Dunque il virus (il SARS-Cov2) non è altro che la mancata storicizzazione.