L’ultima star dell’odiata Hollywood: Olivia de Havilland (Tokyo, 1º luglio 1916 – Parigi, 25 luglio 2020)
In perenne conflitto con la sorella minore, altra longevissima star, Joan Fontaine, dal nome del secondo marito della madre (nata Joan de Beauvoir de Havilland, protagonista di Rebecca la prima moglie, 1940, deceduta a 96 anni nel 2013), Olivia Mary de Havilland fu di una bellezza discreta, così come interpretò spesso ruoli di donna buona e timida, peraltro rivelandosi attrice eclettica e come dirò interprete di personaggi ‘maledetti’. La de Havilland, ricordata sempre come la Melania del film etichettato sciaguratamente dai più accaniti dei fautori del movimento Black Lives Matter come razzista, Via col Vento (al rogo, al rogo!), fu attiva soprattutto negli anni ’30 e ’40 del secolo scorso, diretta da bravi artigiani americani della settima arte quali Michael Curtiz ( il suo primo pigmalione) e Raoul Walsh. Il cineasta minore Mitchell Leisen la diresse ne la Porta d’Oro del 1941 e in A ciascuno il suo destino (che le dette un primo Oscar nel 1947). Nel celebre Lo specchio scuro di T. Siodmak, del 1946, OdH fu due gemelle una delle quali è accusata di un omicidio, protetta dal reticente suo doppio; e nel film-omaggio alla psicanalisi freudiana La fossa dei serpenti di A. Litvak del 1948, fu brava interprete di una donna chiusa in un ospedale psichiatrico, priva di ricordi del proprio passato e del proprio matrimonio. La fossa dei serpenti fu pluricandidato agli Oscar 1949: OdH si vide riconoscere solo la nomination come migliore attrice protagonista, premio ottenuto a Venezia lo stesso anno. La strada era preparata per il secondo Oscar, l’anno dopo, per L’ereditiera di William Wyler. Ma la de Havilland fu tutt’altro che una tipica, banale e compiaciuta actress hollywoodiana, e anzi proprio in opposizione ai condizionamenti dello star-system fece una famosa causa alla Warner Brothers. OdH rallentò progressivamente le sue presenze nel cinema, fino a chiuderle nel 1979, quando aveva solo 63 anni, ed era destinata a viverne ancora quaranta.
Chi scrive suggerisce una data, come anno aureo nella carriera dell’attrice.
Il 1964.
E’ l’anno di due egregie prove attoriali, di marca negativa, torbida, ‘maledetta’. In Piano… piano, dolce Carlotta (Hush… Hush, Sweet Charlotte), con la regia di Robert Aldrich e in coppia con Bette Davis, Olivia è Miriam Deering, cugina della protagonista Carlotta (Bette Davis) delle cui ricchezze cerca di impadronirsi rendendola pazza, prima di essere uccisa. In Un giorno di terrore (Lady in the Cage), diretto da W. Graumann, Olivia è una matura vedova che, in convalescenza da una frattura al femore, rimane bloccata nell’ascensore della sua bella magione; tenta disperatamente di farsi aiutare, imbattendosi in loschi personaggi che cercano di approfittarsi della situazione: un gioco al massacro di inaudita violenza, soffocata e poi esplosa: un thriller meno noto, ossessivo, nel quale OdH rende magistralmente anche con una notevole fisicità (lo strisciare animalesco, o da freak, nel tentativo di fuggire dalla casa-prigione) il senso di impotenza di quando l’invalidità si incontra e si scontra con la malvagità umana, qui rappresentata dal giovane delinquente Randall (un James Caan agli esordi).