Kader Abdolah, Il sentiero delle babbucce gialle, Iperborea 2020, pag. 416, €19,50. Traduzione dal nederlandese di Elisabetta Svaluto Moreolo.
Quando Kader Abdolah (Arak 1954) ci riporta nel paese da cui è dovuto fuggire, l’Iran, ritroviamo la atmosfera magica che lui ha sempre saputo creare, e ci vengono subito in mente capolavori come Scrittura cuneiforme e La casa della moschea.
Ora si conosce la vita di Sultan fin da bambino nel castello di famiglia alle pendici delle montagne. Lo seguiamo al tempo dello scià Reza Palhevi, poi durante la rivoluzione del 1979 con l’avvento di Khomeini, durante la guerra Iraq- Iran, fino alla fuga in Pakistan e finalmente in Olanda..
Non più signori feudali, i suoi familiari vivono con la produzione e il commercio all’ingrosso di zafferano; nella cittadina di Arak il bazar è centro di intese, di scambi, ma anche di osservazione e giudizio dei comportamenti. La politica dello scià ha l’appoggio degli Americani, la modernizzazione e l’apertura allo stile di vita occidentale sono favoriti dalla regina: “L’attuale sovrano aveva concesso alle donne il diritto di voto. La regina le spronava ad andare a lavorare, creando le condizioni adatte all’occupazione femminile”. Era un regime “che aveva ucciso decine di partigiani con gli elicotteri da combattimento…. Un governo che aveva incarcerato migliaia di uomini e donne per motivi politici”. I parenti di Sultan sono convinti antiamericani.
Il castello ha una torre dove c’è un cannocchiale con cui Sultan tiene sott’occhio tutto ciò che accade intorno, in un isolamento prezioso. Gli è sempre vicina Hodhod, l’upupa, una guida, quasi una protezione. Diviso in due ali abitate dalla sua famiglia e da quella dello zio, il castello ha una stanza riservata ai nonni. Questo nonno è una prima figura magica – Il nonno vegliava come uno spirito sul castello – che si relaziona con il suo jinn, entità invisibile e sempre presente nella fantasia del ragazzo che tramite i jinn trova le proprie risposte alle domande ed ai fenomeni più strani.
Per caso ha raccolto per strada un album americano sporco di terra , Ismal a New York così è venuto a contatto con un mondo sconosciuto ed ha scoperto la sua lingua, grazie all’aiuto della cugina Akram Jun, ragazza che interpreta pienamente il nuovo corso del regime, sia nella moda che nei progetti educativi rivolti alle ragazze.
Anche la gomma da masticare è di importazione USA, finché non arriva la concorrenza locale che si fa pubblicità invitando a raccogliere cinquemila cartine di quelle gomme, per ricevere in regalo una macchina fotografica.
Parte da quella macchina fotografica ottenuta con estrema pazienza la carriera di Sultan, che continuerà a osservare e raccontare il suo Paese attraverso una lente, prima con le foto, poi con documentari e film, perché diventa un regista famoso. Così ogni momento cardine è fissato sulla pellicola, ma questo lo sottopone a scelte, a compromessi, a pericoli, in momenti di passaggio da un regime ad un altro, ed anche al tempo della guerra.
Se il nostro protagonista si è messo in condizioni tali da essere perseguitato dal regime dello scià, si rende conto presto che lo stato islamico “è dieci volte peggiore del regime precedente”. E la sua macchina da presa che tutto documenta è diventata un boomerang. La Storia del suo Paese con tutti i suoi personaggi – la regina, il capo dei partigiani, lo scià, Khomeini- si intreccia alla vita di Sultan che di conseguenza si trova a imboccare sentieri diversi: “Quando sei giovane non ti rendi conto che in realtà i sentieri della tua vita sono già stati tracciati e che devi semplicemente seguirli”.
Lui emerge come personaggio straordinario, capace di osservare e valorizzare ogni momento, ogni evento ed esempio: ha imparato a confezionare delle babbucce gialle da suo padre, che le ha fatte per tutta la vita per la moglie, così ogni incontro emozionante di Sultan con una donna sarà sottolineato dal dono di un paio di babbucce: le confeziona anche per la regina, con cui è rimasto isolato qualche giorno in un momento di trattative tra partigiani anti Palhevi e regime.
I personaggi emergono piano piano dalle foto che Sultan recupera, ora che si trova in Olanda e affida la sua storia alla carta, non più alla macchina da presa, consapevole che “ quando scrivi, scrivi te stesso, diventi un testo, diventi un racconto”. Emergono storie di rapimenti, di stupri, di vendette, di viaggi oltre oceano, di ritrovamenti a distanza di decenni, nella chiara volontà di chiudere il percorso di tutti i suoi personaggi, ma un po’ sottraendo alla magia iniziale.
Intervalli di quieta vita in una fattoria olandese si alternano alla ricostruzione del passato. Alla fattoria c’è un orto, un cavallo, delle api dorate che producono del miele biondo, un anziano dottore in pensione che raggiunge ogni giorno la fattoria, ma soprattutto c’è Aurelia, arrivata in una sera di pioggia, forse mandata da un progetto divino, perché è colei con cui Sultan ha finalmente trovato serenità e completezza: “ Ho la sensazione che sia cresciuta in una giungla, tra cavalli, api, uccelli e farfalle, in un luogo dove non c’è bisogno di lingue e confini”.
Lui che ne ha incontrato di donne nella sua vita, che le ha scoperte fin da bambino andando all’hamman con la mamma, che ha desiderato donne impossibili, che ha dovuto abbandonare chi amava, tuttavia si era sempre confrontato con blocchi psicologici. Per Aurelia confeziona un paio di babbucce più preziose di tutte le altre, che risuonano al passo e brillano di tutte le pietre preziose portate a casa dai suoi viaggi in ogni angolo del mondo.