Tracciamenti fallimentari
Abbiamo fatto una solenne dormita, tranne poche eccezioni. Che però non sono bastate a evitare il patatrac. «Il tracciamento è fallito», ha dichiarato senza giri di parole Walter Ricciardi, consulente di Speranza, nel picco della seconda ondata. Ma come, proprio l’azione «di sanità pubblica essenziale per combattere l’epidemia in corso», così la definisce il ministero della Salute nel bignami del Coronavirus. Spetta alle Regioni assumere i tracciatori. Spetta alle Asl il compito di ricostruire la rete dei contatti e di gestire i messaggi della app Immuni. Poco simpatica agli italiani, scaricata da neanche 10 milioni di cittadini, meno di 80mila le notifiche inviate, al 26 novembre, con un asterisco: il dato è parziale. Ma è anche l’unico fornito.
Prova a rimediare in corsa il ministro dell’Innovazione Paola Pisano. Che via tv annuncia: è in dirittura d’arrivo il call center per l’app. «Aiuterà il cittadino nello sblocco dell’applicazione – spiega –. Mi aspetto che nelle prossime settimane ci sia un supporto in più per Immuni, per non gravare in modo così forte su determinate strutture che devono lavorare sui tamponi e sull’analisi dei positivi». In attesa di tempi migliori, dobbiamo fare i conti con i numeri.
Nella prima settimana di novembre erano 9.241 i tracciatori in Italia, più o meno gli stessi messi in campo da Wuhan in Cina, «che – rammenta Giorgio Parisi, presidente Accademia dei Lincei – è grande come la Lombardia». Aggiunge: «Si doveva migliorare il sistema attorno a Immuni. Troppo tempo in certe regioni per avere i risultati degli esami».
Al 27 novembre – dati della Protezione civile – i tracciatori assunti nel bando che ha avuto il record di 49mila adesioni erano 1.353.
Ma dove abbiamo fallito? Carlo Palermo, segretario nazionale Anaao, colosso del sindacato medico italiano, è diretto: «Quest’estate abbiamo fatto una solenne dormita. Spettava alle Regioni mettere in campo i tracciatori, professionisti che afferiscono ai dipartimenti di prevenzione, massacrati negli ultimi dieci anni».
Ma anche se oggi i dati dell’epidemia sono in calo, come possiamo scongiurare altri errori in vista di una possibile terza ondata? L’assessore regionale alla Sanità dell’Emilia Romagna, Raffaele Donini, premette: «Dobbiamo convivere con questo virus. Se ti ’assembri’ rischi, se ti togli la mascherina ti contagi, se ti ammali puoi finire in ospedale, anche in terapia intensiva». Questo riguarda i comportamenti dei cittadini. Ma le istituzioni? «Per evitare che ogni onda pandemica metta in crisi il tracciamento – insiste –, bisogna tenere innanzitutto bassi i contagi. Possiamo assumere più persone, ma non possiamo assumere il mondo. Possiamo migliorare la tecnologia e i sistemi informativi. Ma se passa il principio che ci deve pensare la sanità e basta, non ci saranno mai risorse sufficienti per reggere».
Sul tracciamento Palermo cita come esempio da seguire la Toscana, «hanno assunto i laureandi in medicina o chi frequenta la scuola infermieristica». Quindi segnala un altro tassello urgente: aumentare le Uscar, le squadre di assistenza a domicilio, su questo è forte l’Emilia-Romagna, sono ormai 80 quelle al lavoro. «E ci vogliono alberghi sanitari – aggiunge il dirigente Anaao –. Questo è il modo per affrontare l’epidemia sul territorio. Perché se il contagio è di 40mila al giorno e devo andare a tracciare 500-600mila persone, l’impresa è immane». Ma perché ci siamo fatti trovare impreparati? «La responsabilità organizzativa spettava alle Regioni – è l’analisi di Filippo Anelli, presidente di Fnomceo, la federazione ordine dei medici –. Quel sistema non ha tenuto. L’esercito che hai in tempo di pace, non può valere quando sei in guerra. Sui tracciamenti è successo quel che è capitato sui medici».
[tratto da La Nazione – di Rita Bartolomei]