14 Novembre 2024
Words

Coronavirus: la variante inglese

Che cosa sappiamo della variante «inglese»?
Il nuovo ceppo di Sars-CoV-2, chiamato «VUI-202012/01» (variant under investigation) è stato identificato per la prima volta a metà settembre a Londra e nel Kent, contea a Sudest della capitale. In queste aree, da minoritario, è diventato predominante in poco più di due mesi. Presenta diverse mutazioni, tra cui la principale (N501Y) a livello della proteina spike, che il virus utilizza per legarsi alle cellule umane tramite il recettore ACE2. Un aspetto potenzialmente preoccupante, perché tutti i vaccini disponibili o in arrivo hanno l’obiettivo di indurre la produzione di anticorpi neutralizzanti contro la spike. Gran parte della comunità scientifica considera però improbabile che i vaccini risultino inefficaci contro il nuovo ceppo di Sars-CoV-2.

Perché molti Paesi, tra cui l’Italia, hanno sospeso i voli in arrivo dalla Gran Bretagna?
Dalle prime osservazioni sembra che la nuova variante abbia un’aumentata efficacia replicativa rispetto alle precedenti, ovvero sia in grado di diffondersi con più velocità. Questo non significa che sia più letale, ma il ministro della Sanità britannico, Matt Hancock, ha ammesso che nel Paese la situazione è «fuori controllo». L’Organizzazione mondiale della sanità ha parlato di «segnali preliminari che indicano come il virus sia in grado di diffondersi più facilmente tra le persone e possa influenzare le prestazioni di alcuni test diagnostici».

Quali sono le varianti principali osservate dall’inizio della pandemia?
La «D614G» è comparsa in Italia tra febbraio e marzo e a giugno era presente in tutto il mondo, con una trasmissione più veloce rispetto al virus originario di Wuhan, in Cina. Una seconda variante (chiamata «20A.EU1») è comparsa a giugno nel Nordest della Spagna e si rapidamente diffusa nel resto d’Europa, contribuendo alla seconda ondata. All’inizio di novembre un nuovo ceppo è stato individuato in alcuni allevamenti di visoni in Danimarca (mutazione «Y453F»): è verosimile che l’infezione sia stata passata agli animali dall’uomo e dai visoni ritrasmessa agli addetti agli allevamenti con la nuova mutazione. Sono stati abbattuti 17 milioni di animali per eliminare il serbatoio ed evitare che continuasse la trasmissione all’uomo, che ha riguardato un migliaio di persone. «Sars-CoV-2 è un grosso virus a Rna, costituito da circa 30 mila basi (nucleotidi) — chiarisce Massimo Galli, primario di Malattie infettive all’Ospedale Sacco —. Una caratteristica dei virus a Rna è non essere accurati nel replicare: ogni nuova copia può presentare mutazioni che si determinano in modo casuale. Se la nuova mutazione favorisce il virus rispetto all’ospite, o presenta un vantaggio competitivo sui ceppi già circolanti, può diventare dominante come sembra stia facendo in Gran Bretagna l’ultima che è stata segnalata».

Potrebbero essere necessari nuovi studi sui vaccini anti-Covid?
No, l’iter dei vaccini va avanti come previsto. «Il virus muta di più quando replica molto. Ecco perché la comparsa del ceppo inglese dovrebbe portare a un’accelerazione delle campagne vaccinali, accompagnate da indagini sull’effettiva produzione di anticorpi — sostiene Carlo Federico Perno, direttore dell’Unità di Microbiologia all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma —. È possibile studiare l’efficacia dei vaccini sulla variante anche in laboratorio, ma credo che in questo momento sia più utile concentrarsi sui programmi di immunizzazione, dato che non ci sono evidenze che il virus modificato sia meno sensibile al vaccino. Certo, se i soggetti vaccinati dovessero venire infettati dal nuovo ceppo di Sars- CoV-2 saremmo di fronte a una brutta notizia, ma oggi non c’è ragione di ritenere che questo accadrà».

Il primo paziente positivo alla variante è stato individuato ieri a Roma. In Italia esiste una rete di laboratori che possono sequenziare il virus?
«Sì, ma ha bisogno di essere sostenuta — sottolinea Massimo Galli —. In Gran Bretagna il Covid-19 Genomics Consortium, che comprende le maggiori Università del Paese, è stato finanziato con 20 milioni di sterline e ha potuto realizzare oltre 50 mila sequenze genomiche del coronavirus, permettendo tra l’altro di identificare questa variante, mentre in Italia i laboratori non hanno ricevuto supporto significativo. Da noi la ricerca è poco considerata anche quando servirebbe, come in questo caso, a dare risposte immediate per il controllo di una pandemia».

[tratto da Corriere della Sera – di Laura Cuppini in collaborazione con Massimo Galli, primario di Malattie infettive all’Ospedale Sacco di Milano, e Carlo Federico Perno, direttore dell’Unità di Microbiologia all’Ospedale Bambino Gesù di Roma]