19 Dicembre 2024
Culture Club

Covid-19, cigno nero ingovernabile

Il Covid-19 rappresenta una minaccia reale, asimmetrica, immediata e senza autore. L’assenza di un responsabile del male ha rappresentato il peggior tranello per la cultura occidentale del conflitto, strutturata su base duale, sulla conoscenza del nemico.
Questo peculiare aspetto ha aperto un’ampia discussione nei fori specializzati sull’importanza del tema del governo dell’incertezza, del governo dell’improbabile e se la pandemia da covid-19 rappresenti il cigno nero dell’ingovernabilità. Governare l’ingovernabile è essenzialmente il governo di ciò che non si conosce e giunge all’improvviso, immobilizzando le capacità di risposta e in generale l’efficiente processo cognitivo e decisionale.

Nassim Nicolas Taleb, l’autore che ha reso popolare il termine con il saggio “Il cigno nero. Come l’improbabile governa la nostra vita”, stabilì tre criteri affinché un evento possa essere inteso come tale: a) idoneo a determinare una sorpresa per l’osservatore; b) di straordinario impatto; c) Una volta che è successo, l’osservatore tende a razionalizzarlo; presta rinnovata attenzione alle informazioni che lo avrebbero aiutato nell’analisi di inferenza e di conseguenza tende a rivalutare l’evento come qualcosa di effettivamente prevedibile.
Pertanto, nella costruzione dell’autore, la chiave di lettura non risiede nell’evento in sé, quanto nell’osservatore che incontra il cigno nero.

È come si osserva l’evento e come si è preparati all’osservazione che modifica il delta vulnerabilità/opportunità che si determina nella prospettiva futura.
Il Cigno nero è un evento ordinatore al pari dell’invenzione della ruota, dell’11 settembre o il crollo di Wall Street nel ‘29; è il vaticino del cambiamento, l’avvento di una nuova realtà come quella che giunse ai viaggiatori europei che giunti in Australia, videro dei cigni neri dopo aver creduto per secoli che tutti i cigni fossero bianchi.
Taleb utilizza il famoso esempio del tacchino del Ringraziamento. Il tacchino ha un’’immagine positiva degli esseri umani perché – senza sapere cosa lo aspetta – ogni giorno c’è gente che gli porta da mangiare. Inoltre, col passare del tempo, la sua opinione sulla gentilezza dell’umanità si rafforza … fino a quando non arriva il giorno fatale. Per il tacchino quello che succede è effettivamente un cigno nero, non lo è per la mano che lo ha nutrito con il solo obiettivo della sua fine.
L’esempio del tacchino è illustrativo del problema dell’induzione o della conoscenza induttiva come la madre delle molteplici distorsioni della realtà. La tragedia del tacchino prima del giorno del ringraziamento è la tragedia dell’inerzia, della pigrizia intellettuale; un pomeriggio il tacchino deve rivedere la sua convinzione; il suo generoso alimentatore degli ultimi 999 giorni, diventa il suo carnefice. Maggiore è la fiducia del tacchino, maggiore è la probabilità del rischio.

L’osservatore allenato all’incertezza legge la complessità della realtà, nell’aspettativa tattica del vantaggio. Bisogna essere pensatori dell’incertezza per governare l’impatto dell’improbabile; come se la storia ripartisse alla comparsa di un cigno nero con nuove condizioni e nuovi vantaggi per chi è pronto alla sorpresa. Questa è la migliore postura possibile per gli Stati avveduti, dotarsi di strutture espressive di un ambiente autopoietico vitale affinché non si compia l’appagamento alla realtà indotta.
Lo Stato ha la responsabilità nel prepararsi a governare i cigni neri, ammettendone intellettualmente l’avvento; leggendo i segnali deboli nella società e dotandosi di competenze e strutture di intelligence capaci – culturalmente e scientificamente – di seguirne le linee di astrazione.
L’intelligence strategica rappresenta il migliore strumento per attendere la sorpresa e governarla. Chi meglio saprà governare l’ingovernabile, governerà il futuro.

L’obiettivo più impegnativo è il trasferimento della conoscenza.  La conoscenza deve essere trasferita per raggiungere la società in generale e, in particolare, gli attori influenti nei processi decisionali al fine di progettare politiche pubbliche anticipatorie – e non semplicemente reattive – che moderino l’impatto dell’improbabile. Questo è il motivo per cui la fase di diffusione all’interno del ciclo dell’intelligenza è più importante dello stesso processo di produzione. Lo stesso vale per il lavoro svolto da università, think tank e pubblicazioni specializzate, indispensabili luoghi della discontinuità del pensiero.

Altri autori, interessante Maiolino su ITSTIME,, hanno collocato il processo pandemico nel quadro interpretativo del conflitto ibrido che caratterizza la realtà contemporanea; un conflitto a schema aperto, senza un interlocutore preciso, in cui il tempo costituisce un alleato duttile e utile; sempre un’arma e mai un’ossessione.
Uno schema interpretativo di difficile sopportazione per la cultura occidentale che ha congiunto, sempre con maggiore drammaticità, il tempo al risultato, il tempo al confronto e al consenso. Il latente psicodramma con cui l’occidente ha vissuto le misure di contenimento al virus, la frustrazione verso le limitazioni e l’ansia da look down, ha continuato a minare il rapporto fiduciario con le istituzioni già compromesso da un sentimento diffuso anti-establishment e di pessimismo.

La crisi di fiducia in un avvenire migliore diventa il vero cigno nero della nuova competizione globale. Kishore Mahbubani, autore di Has China Won? La sfida cinese al primato americano, ha avvertito come la pandemia sta accelerando un cambiamento già in itinere, un’attitudine al destino che segna i tempi della ciclica degli imperi.
Negli USA si sta consolidando un sentimento di sfiducia nella globalizzazione e nel commercio internazionale che qualifica gli accordi di libero scambio come tossici con o senza Donald Trump presidente. Al contrario, la Cina è attraversata da un consolidato fermento di fiducia che poggia su ragioni storiche e profonde. I leader cinesi hanno imparato a proprie spese cosa sia stato e cosa ha rappresentato il secolo delle umiliazioni dal 1842 al 1949: il risultato di uno scellerato mix di compiacenza e approssimazione; cosa assai diversa dall’impegno globale e dalla fiducia di questi ultimi decenni. Oggi leadership e popolo cinese vivono la certezza culturale di poter competere ovunque. Pechino ritiene di essere “culturalmente superiore” all’Occidente e ai suoi leaders e questa impostazione viene ripetuta a cascata fin dai primi programmi educativi imperniati sull’abilità di non fare errori: “Il non fare errori è a fondamento della certezza della vittoria, perché ciò significa battere un nemico che è già sconfitto.”

Governare l’ingovernabile è una sfida e una responsabilità sul futuro. Solo l’unità tra conoscenza e nuove generazioni può scardinare il cigno nero della sfiducia e dell’inerzia mentale che ha lo stesso codice della sorpresa. Ogni crisi ha il compito antico della selezione del merito, della competenza e visione, anche attraverso il parricidio di una consumata burocrazia dell’emergenza.