Artisti che scompaiono: Gunnel Lindblom
Con i cinema chiusi, è inevitabile il suggerimento di retrospettive che potrebbero sempre addolcire la reclusione forzata. E allora il lettore appassionato potrebbe rivedersi, come abbiamo fatto noi, e in lingua originale qualche noir: fra tutti il lirico, straordinario, Le catene della colpa-Out of the past di J. Tourneur, 1947 con R. Mitchum e la splendida Jane Greer oppure il più complesso e politico, da gustare anche in ottica tecnico-estetica (altrimenti a tratti noioso), Un bacio e una pistola-Kiss me deadly di R. Aldrich, 1955.
Ma con i cinema chiusi siamo qui troppo spesso per ricordare figure del cinema che scompaiono. Oggi è il “turno” ahinoi di un’attrice tra le bergmaniane più importanti. Di notevole presenza scenica, era di bellezza però meno solare di Bibi Anderson, meno severa e algida di Ingrid Thulin, non così disinibita e provocante come la primissima Harriet Andersson né languida e carnosa come Liv Ulmann.
Si parla di Gunnel Lindblom, deceduta due giorni fa a 89 anni, una creatura con gli occhi penetranti, due fessure chiare dalle quali sembrava osservare il mondo un po’ torva, a volte complice delle sue nefandezze, sempre molto critica, intellettuale, sembrando uscita da qualche recesso infernale, o da una miniera di carbone. Quasi sempre seconda o terza protagonista nelle opere bergmaniane degli anni ’50 e ’60 ma proprio in questo suo ruolo di secondo piano eccellente per misuratezza, rigore, capacità di rispondere alle esigenze drammaturgiche del grande maestro.
La Lindblom fu amata e apprezzata da Bergman ma finalmente possiamo non usare e senza rimpianti la parola “musa” , Gunnel Lindblom non fu una musa del cinema bergmaniano. Se dovessimo scegliere due opere per le quali ricordarla non avremmo dubbi: La fontana della vergine, nella quale recita la parte di Ingeri, la serva inerte e forse malvagia della ragazza, Karin, destinata a subire la terribile violenza sessuale al centro dell’intreccio; Il Silenzio dove è Anna, una delle due sorelle del film (accanto a Ester, la Thulin), la più insofferente e svergognata delle due.
Presso la scuola e il teatro stabile della sua città natale, Göteborg, la Lindblom svolse il suo apprendistato, fino all’esordio nel cinema nel 1953. Conobbe Bergman quando questi era direttore artistico al teatro di Malmoe. Poi venti anni di cinema, ma senza frenesie, seguendo i ritmi scanditi con compassatezza delle uscite del maestro. Finita la sua carriera cinematografica riscoprì la vocazione iniziale tornando a salire sul palco e dietro le quinte come regista teatrale di successo. Nelle sue opere i critici colgono espressa con chiarezza un aspetto che molti ritengono critico della società svedese: il conflitto tra l’apparente elemento idilliaco e efficiente della superficie, ma i sottostanti tormento, tensioni e dolori non rivelabili, ma destinati a esplodere.
A differenza delle altre e più celebri attrici di Bergman la Lindblom scelse di lavorare, con una sola eccezione americana, sempre in Svezia partecipando a due film diretti da un’altra ex-attrice svedese di grande fama soprattutto alla fine degli anni ’40 del secolo scorso, Mai Zetterling.
Povera, ma solo sul piano numerico, la sua filmografia:
- Il posto delle fragole (Smultronstället), I. Bergman (1957)
- Il settimo sigillo (Det sjunde inseglet), Bergman (1957)
- La fontana della vergine (Jungfrukällan), Bergman (1960)
- Il silenzio (Tystnaden), Bergman (1963)
- Luci d’inverno (Nattvardsgästerna), Bergman (1963)
- Gli amorosi (Älskande par), regia di Mai Zetterling (1964)
- Rapimento (Rapture), regia di J. Guillermin (1965)
- Fame (Sult), regia di H. Carlsen (1966)
- Le ragazze (Flickorna), regia di Mai Zetterling (1968)
- Scene da un matrimonio (Scener ur ett äktenskap), Bergman (1973)
- Uomini che odiano le donne (Män som hatar kvinnor), regia diN. Arden Oplev (2009)