23 Dicembre 2024
Culture Club

Agamben, la destra e il contagio


  1. «Distanziamento sociale», «confinamento», «assembramenti», «contagio», «no vax», «SARS-Cov2», «modulo di autocertificazione», «lavare le mani», «igienizzante», «quarantena», «ffp2», «emergenza sanitaria», «mascherina»: queste, in definitiva, non sono parole ma concetti («astrazioni» dice Giorgio Agamben nel suo libro A che punto siamo? L’epidemia come politica, Quodlibet 2020) che costituiscono, quindi: la struttura portante di un «dispositivo tecnologico-sanitario» il quale prevede, al suo interno: una trasformazione dei «paradigmi politici» (in sostanza della modernità) e l’instaurazione di un «terrore sanitario».
    Agamben che fa? Schiaccia la politica nella biologia non per estrarne la foucaultiana biopolitica ma per sostenere la tesi dell’estinzione della politica (che era stata già propria di Karl Marx nel regime comunista) e la messa in opera di una mutazione della «nostra intera esistenza in un obbligo sanitario». La politica, diventa biologia, si prende «cura» del corpo – sottoposto al «contagio» che Agamben più volte riduce al «contatto» – e realizza uno «stato di cose» nel quale «Lo strumento che l’ha resa formalmente possibile non è un nuovo canone legislativo, ma lo stato d’eccezione, cioè la pura e semplice sospensione delle garanzie costituzionali».
  2. Lo spazio politico della malattia (in qualsiasi modo essa possa identificarsi) si divide in: salute e libertà. Più aumenti le misure che riducono la libertà, più in maniera egualitaria (infatti questo spazio politico è un sottoinsieme del ben più onnipervasivo spazio – classico – che divide destra e sinistra a seconda delle rispettive accentuazioni della libertà e dell’eguaglianza) si amplifica la sfera di protezione della vita; più aumenti le misure che tutelano la salute più si riduce lo «spazio» della libertà. Giorgio Agamben scrive: «L’esperienza ha mostrato infatti che una volta che la questione sia una minaccia alla salute gli uomini sembrano disposti ad accettare limitazioni della libertà che non si erano mai sognati di poter tollerare, né durante le due guerre mondiali né sotto le dittature totalitarie». La cosa curiosa è che al filosofo romano questa cosa dà fastidio. «Contagio», «contatto», «epidemia»: «Si tratta, cioè, di riflettere sulla facilità con cui un’intera società ha accettato di sentirsi appestata, di isolarsi in casa e di sospendere le sue normali condizioni di vita, i suoi rapporti di lavoro, di amicizia, di amore e perfino le sue convinzioni religiose e politiche. Perché non ci sono state, come pure era possibile immaginare e come di solito avviene in questi casi, proteste e opposizioni? L’ipotesi che vorrei suggerire è che in qualche modo, sia pure inconsapevolmente, la peste c’era già, che, evidentemente, le condizioni di vita della gente erano diventate tali, che è bastato un segno improvviso perché apparissero per quelle che erano. Cioè intollerabili, come una peste appunto».
  3. Durante il lockdown del marzo 2020 mi è capitato di andare a prendere l’acqua alle «Tre Fontane» di Reggio Calabria. Prima di me c’era un signore che diceva (con altre parole ma, come sanno i filosofi, contano i concetti non i termini): «I poteri dominanti hanno deciso di abbandonare senza rimpianti i paradigmi delle democrazie borghesi coi loro diritti, i loro parlamenti e le loro costituzioni, per sostituirle con nuovi dispositivi di cui possiamo appena intravedere il disegno, probabilmente non del tutto chiaro nemmeno per coloro che ne stanno tracciando le linee». E: «E’ evidente che gli italiani sono disposti a sacrificare praticamente tutto, le condizioni normali di vita, i rapporti sociali, il lavoro, perfino le amicizie a un pericolo di ammalarsi che, almeno per ora, non è statisticamente nemmeno così grave». E’ altresì curioso che le opinioni di un «passante» calabrese (nemmeno tanto acculturato) coincidano con quelle – così è definito nel risvolto della terza di copertina del suo libro – di un filosofo la cui «opera è tradotta e commentata in tutto il mondo». Merito del filosofo o colpa del mondo? Stato della letteratura internazionale (di ciò che si pubblica) o potere (Nozione di autorità direbbe Alexandre Kojéve) di una reputazione, di una fama, di una stima? Il terzo elemento di curiosità è che questo filosofo di destra per imbastire il proprio discorso utilizza le seguenti nozioni: «biosicurezza», «sospensione delle garanzie costituzionali», «obbligazione giuridico-religiosa che deve essere adempiuta a qualsiasi prezzo» e «Grande Trasformazione». Bastava andare alle «Tre Fontane» e guardare Barbara D’Urso la sera della domenica…
  4. Come tutti i filosofi di centro-destra, Agamben privilegia la «libertà» all’ «uguaglianza». E fin qui niente di strano o di male. Il fatto «curioso» (in tempi di Matteo Salvini e Giorgia Meloni – incentrati (i tempi) più verso un populismo, sovranismo, protezionismo e identitarismo di destra e quindi della «salvaguardia» della legittimità, del fondamento, della sovranità statale in senso, a me pare, molto civico e «laico») è che Giorgio Agamben concluda il suo libro con accenni ecumenici e cattolici. Ama il prossimo tuo … Infatti egli scrive: «Che cosa significa vivere nella situazione di emergenza in cui ci troviamo? Significa, certo, restare a casa, ma anche non lasciarsi prendere dal panico che le autorità e i media diffondono con ogni mezzo e ricordarsi con l’altro uomo non è soltanto un untore e un possibile agente di contagio, ma innanzitutto il nostro prossimo, cui dobbiamo amore e soccorso». In definitiva fra «astrazioni» come la «nuda vita» e la «congiunzione della nuova religione della salute e il potere statale col suo stato d’eccezione» e «contingenze» come la pubblicazione di un libro sull’ «epidemia» (durante l’«epidemia») Agamben si apparenta a quel pensiero del «tradizionalismo» che vede fra i suoi esponenti (in ordine assolutamente sparso) Julius Evola, Diego Fusaro, Augusto del Noce e Gianni Baget Bozzo.

Gianfranco Cordì

Gianfranco Cordì (Locri, 1970), ha scritto dodici libri. E' dottore di ricerca in filosofia politica e giornalista pubblicista. Dirige la collana di testi filosofici "Erremme" per la casa Editrice Disoblio Edizioni. Dirige le tavole rotonde di filosofia del Centro Internazionale Scrittori della Calabria.