Mario De Caro, Realtà, Bollati Boringhieri, Torino 2020, pp. 126, euro 13
Ci sono otto frame (otto pacchetti) strutturati in «informazioni» che assumono una rilevanza strategica e tattica in questo Realtà di Mario De Caro. Si, perché il filosofo di Bentornata realtà (Il nuovo realismo in discussione, curato assieme a Maurizio Ferraris per Einaudi nel 2012) in questo libro ci dà delle «informazioni». Tutto quanto il volume, infatti: è interamente dedicato a una «illustrazione» di singoli «punti di vista» rispetto ai quali De Caro si «limita» a elencare ora i pregi ora i difetti di una particolare posizione filosofica, ora la definizione di un’altra, ora l’attacco a singoli problemi sviscerati con grande – giova dirlo – acume teoretico.
Il primo «pacchetto di informazioni» riguarda la «realtà» e può essere denominato «totale». Infatti la «realtà» che sta a cuore all’autore è «Che determinati tipi di cose sono reali – che si tratti di entità concrete (questo tavolo. Alpha Centauri o Donald Trump) o di entità astratte (le menti disincarnate, gli alieni e le sinfonie) oppure di proprietà (la rossezza, la bontà e il libero arbitrio) o, ancora, di eventi o processi (il Big Bang, la transustanziazione e il Medioevo)» oppure anche che «Esistono fatti che esorbitano la possibilità di accertarli». Insomma da una parte la natura, i fatti, le cose, gli oggetti, la quantità, l’estensione e dall’altra: le qualità, o come dice De Caro: «Il libero arbitrio, le proprietà morali, la normatività, il significato, la coscienza». Il tentativo «totale» di De Caro è quello di mettere assieme fatti e valori, fisica e filosofia: un tentativo (un viaggio) che lo conduce al termine della realtà; cosa può entrarci ancora dentro? Un tentativo liminare, «totale», onnicomprensivo di «racchiudere» tutto quello che è realtà nella realtà; di portare la realtà alle sue estreme conseguenze; di «far rientrare» nella realtà tutto quello che è possibile; in questo senso il «termine» coincide con la domanda socratica «Che cos’è?». Che cos’è la realtà – a questo punto? Nella dimensione sua «totale» ed essendo che «La filosofia, insomma, progredisce concettualmente (anche se non risolve i propri problemi, perché un problema risolto viene ipso facto considerato non filosofico)» si ha che il «che cosa?» (nel quale, come detto, consiste la realtà) «si apre» a un ulteriore interrogazione, ad un altro «che cosa?» e in questo senso non la «ricerca» (come voleva Karl Raymund Popper) ma la «filosofia» non ha fine.
E veniamo al secondo frame: si tratta «Piuttosto, [delle] domande che sorgono una volta che si sia assunta la correttezza del punto di vista realista: e sono domande di grande rilevanza filosofica». Un «viaggio», dunque, tutto interno al realismo o meglio ancora alla «filosofia realista», nozione nella quale l’accento cade, come abbiamo visto, su «filosofia» e non su «realista». Un «viaggio» tutto interno al realismo e che fa giungere Mario De Caro al «termine» (totale) della realtà.
Che cos’è? Che cos’è la realtà? E’ questa la domanda che echeggia in ogni pagina di questo libro. Specialmente adesso che essa è «totale» (natura e storia, ragione e sentimento, mente e realtà) viene da chiedersi: «Come parametro per giudicare della realtà esterna dobbiamo fidarci maggiormente dei sensi oppure di ciò che la scienza ci dice del mondo? E, nel secondo caso, anche quando la scienza parla di entità che non si possono percepire né con i sensi né con gli strumenti che amplificano i sensi (come i telescopi o i microscopi)? I colori, i suoni, gli odori – ossia le proprietà qualitative che, sulla base della testimonianza dei sensi, ci sembrano collocate nel mondo esterno – esistono veramente là fuori o sono solo un prodotto interno alla nostra mente? E, poi, oltre agli oggetti materiali, esistono anche entità non materiali, come le menti disincarnate, i numeri, le omissioni e gli universali? Le entità non osservabili della fisica, come gli elettroni e i buchi neri, esistono oggettivamente o sono utili costrutti teorici? O anche, andando più sul concreto, le entità collettive, per esempio le multinazionali, esistono come entità indipendenti – e dunque sono responsabili del loro agire – oppure, come sostengono gli economisti e i giuristi più conservatori, si tratta di entità fittizie che, proprio in quanto fittizie, non possono essere considerate responsabili di ciò che pare accadere a causa loro? E, ancora, quale sostituto di realtà hanno le malattie psichiche (sono costrutti culturali o patologie oggettivamente collocate nel mondo biologico? I giudizi morali e quelli estetici colgono aspetti oggettivi della realtà, o invece, sono costrutti meramente soggettivi? Il tempo esiste come lo pensiamo oppure ha natura del tutto diversa, o magari è soltanto un’illusione, come oggi pensano non pochi fisici e anche alcuni filosofi? E, ancora, nel mondo esistono veramente i rapporti causali oppure è la nostra mente a proiettarli?».
Passando per la «totalità» e i due «realismi» (quello «ordinario» e quello «scientifico») De Caro giunge al terzo «pacchetto» e ci dà informazioni sulla «percezione» e sulla «scienza». «La concezione che attribuisce realtà esclusivamente alle cose di cui possiamo avere esperienza, diretta (attraverso l’introspezione o i sensi) o indiretta (per mezzo degli strumenti che estendono i sensi, come microscopi e telescopi)» è il «realismo ordinario» basato sulla «percezione» che è «un’unica chiave d’accesso epistemico alla realtà». E «La concezione che asserisce che il mondo contiene soltanto le entità e gli eventi (non solo quelli osservabili, ma anche quelli inosservabili) che le scienze naturali possono descrivere e spiegare» è il «realismo scientifico» basato sulla «scienza naturale» che impone il fatto che «La realtà stessa non eccede ciò che in linea di principio può essere individuato mediante quell’unica chiave d’accesso» la quale, appunto, è la «scienza».
Quarto frame è il principio di «causalità»: Mario De Caro non si ferma solo alla realtà: ne ricerca le cause. E’ chiaro che esse sono naturali e culturali (non a caso egli difende un «realismo liberalizzato» o «pluralista») e che quindi sono le «leggi di natura» da una parte e lo «spazio delle ragioni», fatto e norma tanto per citare Jürgen Habermas.
In questo quarto frame se ne innesta un altro (il quinto): i «livelli di realtà». Infatti, dice De Caro: «Il mondo è strutturato in livelli: quelli più bassi sono necessari per l’esistenza di quelli più alti, e ogni cambiamento nei livelli più alti presuppone un cambiamento in quelli più bassi, senza che per questo i livelli più bassi esauriscano quanto c’è da dire a livello ontologico ed epistemologico riguardo ai livelli più alti». Una «realtà» plurale e scissa: si tratta, in questo caso, di una divisione e non di una moltiplicazione e meno che mai di una somma o di una sottrazione.
Dalla divisione della «totalità» esperibile e «conoscibile» (sesto frame e sesta «informazione») attraverso la percezione e/o la scienza lungo l’asse del principio di causalità e attraverso i vari livelli si pone di fronte all’attenzione del filosofo una considerazione: «E’ necessario che filosofia e scienza procedano congiuntamente, ognuna secondo le sue competenze e le sue prerogative: e questa è esattamente la prospettiva del naturalismo liberalizzato. Inoltre, questa concezione ha anche il vantaggio di offrire una prospettiva per pensare gli esseri umani, allo stesso tempo come agenti liberi e come enti naturali.
Nel primo senso apparteniamo alla sfera normativa dello spazio delle ragioni, nel secondo senso, alla sfera della legalità naturale»: settima «informazione».
Eppure sappiamo che (ottava «informazione»): «Realtà e conoscenza, insomma, non possono eccedere l’ambito» della «percezione» e delle «scienze naturali».