La scomparsa di Bertrand Tavernier, un cineasta colto e fuori dagli schemi
Bertrand Tavernier è morto ieri, 25 marzo 2021. Era nato a Lione nel 1941 da una famiglia intellettuale di primissimo piano. Padre scrittore, casa frequentata da figure come Louis Aragon. Di buonissimi studi liceali che fa a Parigi, comincia a fine anni Cinquanta a occuparsi di cinema, diventa un grande appassionato, frequenta le sale del Quartiere Latino. Sarà a lungo essenzialmente un cinefilo e un critico, secondo il modello di suoi futuri colleghi di una Nouvelle Vague alla quale però mai veramente appartenne, preferendo piuttosto collocarsi – come bene osserva J.-P. Jeancolas – “in maniera decisa e con una certa provocazione nella continuità di una tradizione del cinema francese che non è quella della Nouvelle Vague”. Vivaddio! verrebbe da dire. Una tradizione per certi versi popolare, che dà voce e spazio a situazioni in certo modo classiche. E’ spesso anche in TV e alla radio, dove partecipa ai dibattiti sul cinema (per esempio sulla questione dei restauri e le “ricolorazioni” dei film), sulla politica culturale, l’associazionismo, le privatizzazioni dei media, i migranti. Il tutto da posizioni di una sinistra piuttosto eretica, libertaria, indipendente dai condizionamenti partitici. Fu insomma un uomo di grande impegno sul piano civile. Scelse spesso i suoi attori tra grandi del cinema d’Oltralpe: Jean Rochefort, Michel Piccoli, Philippe Noiret. Quest’ultimo è il protagonista del suo esordio nel lungometraggio, L’orologiaio di Saint-Paul del 1973, Orso d’argento a Berlino e premio Louis Delluc, un film sui rapporti tra padre e figlio (un approccio che torna spesso nel suo cinema) ma anche sulla politica e le violenze di quegli anni difficili; un film sornione e al tempo stesso teso, raffinato, che mostra già le attitudini di Tavernier come ottima guida di attori. Seguiranno nel 1975 e 1976 due lavori di ambientazione storica, e di qualità minore sebbene di un certo interesse nella tecnica registica (Che la festa cominci… e Il giudice e l’assassino, dove è evidente la tendenza a richiamare il western in certe riprese dall’alto sulle campagne francesi, dove agisce il criminale protagonista del film). Tra i suoi film importanti quello di denuncia de La morte in diretta del 1979, nel quale si critica l’abuso dei media nel far cassetta dei drammi individuali. E essenziale ricordare tra i più amati Round Midnight con il sassofonista Dexter Gordon, un film sul jazz, o comunque “un film d’amore sull’amore del jazz” (F. Marmande), Nastro d’Argento a Venezia. Tavernier continua a girare fino a pochi anni fa. Della sua produzione, non priva di discontinuità ma sempre intelligente, segnaliamo anche: Colpo di spugna (1981); Mississippi Blues (doc. 1983); Daddy Nostalgie (1990, con Jane Birkin e il grande Dirk Bogarde) e fra i relativamente recenti il documentario su Lione, Histore de vies brisées (2001); Laissez-passer (2002) e La piccola Lola (2004).
Tavernier non è stato tutto sommato un regista tra i più famosi e celebrati. Ma ha fornito a vari livelli un eccezionale contributo per la crescita del cinema francese ed europeo, come critico cinematografico, uomo di cultura, autore di frequente attento ai temi sociali trasposti anche in realtà del passato, documentarista e sceneggiatore.