15 Novembre 2024
Movie

L’uscita dalla pandemia e un film di Buñuel

Con il massimo rispetto per i troppi che ancora soffrono e soffriranno, per causa di varianti inglesi brasiliane sudafricane, e per i guasti strutturali già causati all’economia, è chiaro che la porta per l’uscita almeno dal punto di vista medico, clinico, dalla pandemia si starebbe aprendo. Eppure, potendo dirigersi con una certa celerità verso questa porta, almeno in Italia sembra che qualche superiore e misterioso burattinaio ci trattenga organizzando una serie di dinamiche contraddittorie e frenanti: il timore degli effetti trombotici di AstraZenica e ora anche lo stop di Johnson & Johnson, che contro ogni logica e statistica (si tratta di un caso presunto su un milione) inducono molti a rinviare a tempo indeterminato il turno vaccinale in attesa di qualcosa di più sicuro, le incertezze e le lungaggini su arrivi dei vaccini e distribuzioni e punti di somministrazione, le opinioni spesso divergenti degli scienziati sui criteri da seguire e le previsioni sui tempi dell’immunità di gregge (gregge: vd.oltre), i talk-show che ormai si dedicano al Covid come Biscardi faceva con il campionato al Processo del lunedi tra liti, incazzature e tifoserie, il governo che fa scelte senza che si diano spiegazioni su tante questioni (p.es.perché i vaccini incriminati dovrebbero essere meno pericolosi per gli ultrasessantenni), il virus come terreno di scontro politico intra e extra-esecutivo, le scelte divergenti e contestate delle Regioni, le prime violenze di piazza e i primi suicidi. C’è una netta sensazione di disordine generalizzato, di passi avanti e passi indietro, di incapacità di trovare la strada maestra, di imboccare il dirizzone finale.

La sensazione vaga, l’analogia approssimativa, è che siamo in una situazione simile a quella descritta nell’immortale contesto scenografico de L’angelo sterminatore (Mex 1962) di Luis Buñuel. Per chi non lo ricordasse, o non lo avesse mai visto, in quel film un gruppo di persone si ritrova riunito in una bella magione aristocratica: c’è una festa dopo uno spettacolo teatrale, si mangia, si suona, ci si avvicina in promiscuità fino a tarda notte, si crolla dal sonno. La servitù quasi tutta intuisce che qualcosa non funziona e si allontana. La notte trascorre perché gli ospiti decidono di rinunciare a rientrare a casa e di rimanere nel palazzo. Quando la mattina successiva dovrebbe esserci lo “sciogliere le righe” accade l’impensabile, stranezze di ogni genere ricondotte surrealmente a dato scontato (gregge ovino che attraversa i saloni, donne che tirano fuori dalle borse uccelli da aia), e compaiono persino (in un quadro visionario, non certo da thriller) cadaveri, e una coppia si suicida. Nessuno riesce più a uscire dal palazzo, la chiusura è chiusura fisica e asfissia psicologica, certuni ne approfittano per dedicarsi ad approcci sessuali, altri sfiniti tornano a dormire, altri ancora continuano a bere e mangiare avanzi. I padroni di casa non sono di aiuto. I tentativi dei più propositivi, di coloro che incoraggiano affinché si esca dalla casa e spingono per trovare una soluzione si scontrano ogni volta con qualcosa che impedisce. Nulla da fare, i giorni passano, la situazione degenera. I viveri cominciano a scarseggiare, la gente litiga, si sviluppa un clima di isteria collettiva e di istintualità deregolata dietro una parvenza di decoro, si lotta per la sopravvivenza. Nelle intenzioni del maestro iberico, la pellicola è una critica all’incapacità della borghesia, ma forse dell’intera umanità, di liberarsi dai propri peggiori comportamenti e dal proprio egoismo di ceto. Lo scioglimento dell’intreccio (fino a quando?) avviene quando la giovane e pura Letitia (Silvia Piñal) ha una intuizione e decide di ricostruire il momento iniziale della festa, dà ordine al caos, riattribuisce razionalmente a ciascuno il proprio ruolo, torna dunque a un momento passato, dal quale ripartire. E l’indomani i partecipanti alla festa possono uscire, finalmente liberi dal blocco che li aveva tenuti imprigionati.

Siamo chiaramente di fronte a una immagine impressionistica. Essa non riguarda affatto la tragedia della pandemia ma soltanto questa fase che potremmo definire di ‘rush finale’ , che sarebbe tale se non assistessimo a un insieme di dinamiche frenanti intrecciate tra loro e a volte poco comprensibili. È stato anche un pretesto per evocare un grande film (richiamato spassosamente dal W. Allen di Midnight in Paris) girato sessant’anni fa. Ma l’impressione è che in Italia e in altre realtà europee siamo a un passo dalla mèta ma che regni una sorta di ingorgo che ci ritardi il ritorno a una prima effettiva normalità. Staremo a vedere come e quando la nostra comunità uscirà fuori dal palazzo, all’aria aperta, e se ciascuno riacquisterà dignità, ruolo sociale, sicurezza.

P.S.

Completato questo pezzo, trovo in rete un cenno al rapporto tra la pandemia e il film di Buñuel in https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?lang=it&id=62486.

Giovanni A. Cecconi

Professore di storia romana e di altri insegnamenti di antichistica all'università di Firenze. Da sempre appassionato di cinema, è da molti anni attivo come blogger su alleo.it per recensioni, riflessioni, schede informative, e ricordi di attori e registi. È stato collaboratore di Agenzia Radicale online e di Blog Taormina. Ama il calcio, si occupa di politica e gioca a scacchi, praticati (un tempo lontano) a livello agonistico, col titolo di Maestro FIDE.