Benjamin Labatut, Quando abbiamo smesso di capire il mondo, Adelphi 2021, (trad. Lisa Topi)
(Tra gli altri), nove personaggi squinternati, complessi, articolati, ossessionati, macinati «In precario equilibrio tra illuminazione a paranoia», alcuni dei quali incrociano la vita di Napoleone Bonaparte, di Adolf Hitler, di Albert Einstein e di Alan Touring: questo nuovo libro di Benjamín Labatut non è una «storia» nel senso classico del termine e non è neppure un «contenitore di storie». È la «storia» dell’«osservazione» (della teoria, del concetto, della scienza, delle forme, delle parole) davanti alla «realtà» e la considerazione definitiva di uno scacco, di uno smacco, di una sconfitta.
Lo dice a un certo punto lo stesso Labatut: «La rottura che si annunciava era brutale. La fisica non doveva più preoccuparsi della realtà, ma di ciò che si può dire della realtà. L’essenza degli atomi e delle loro particelle elementari era diversa da quella degli oggetti dell’esperienza quotidiana. Vivono in un mondo di potenzialità, spiegò Heisenberg: non sono cose, ma possibilità. La transizione dal “possibile” al “reale” avveniva solo durante l’atto dell’osservazione o della misurazione. Nessuna realtà quantistica, dunque, esisteva in maniera indipendente. Misurato come un’onda, un elettrone sarebbe apparso tale; misurato come una particella, avrebbe assunto quest’altra forma». Questo «divorzio» tra la parola e la cosa nel libro di Labatut diventa «universale».
Johann Konrad Dippel, Carl Whilelm Scheele, Fritz Haber, Karl Schwazschild, Shinichi Mochizuki, Alexander Grothendieck, Erwin Rudolf Josef Alexander Schrödinger, Werner Heisenberg e Luis-Victor Pierre Raymond settimo duca di De Broglie non sono dei semplici fisici e matematici in questo libro: essi «combattono» contro una realtà «sterminata».
I casi sono due: o il concetto (matematico e fisico) non riesce più a interpretare la realtà oppure la realtà stessa è diventata così oscura, indeterminata e sterminata che «sfugge», così, ad ogni teoria. Insomma: il deficit è nella teoria o il «surplus» è nella realtà? Questi nove personaggi «squilibrati» stanno cercando: di trasferire «l’anima da un corpo all’altro», di rimestare «Un recipiente di blu di Prussia con un cucchiaio su cui vi erano residui di acido solforico, creando il veleno più importante dell’epoca moderna», di «Estrarre oro dalle onde del mare», di «Trovare un ordine nell’universo», di affermare che «Certe cose dovevano rimanere segrete per sempre, “per il bene di tutti noi”», di determinare il «”Cuore del cuore”, una strana entità che Grothendieck aveva scoperto al centro della matematica e che lo aveva condotto alla pazzia», di «Mettere ordine nel caos del mondo quantistico», di percepire «Un nucleo oscuro al centro delle cose» e di esprimere «Le proprietà contraddittorie della continuità e della frammentazione, della separazione dell’unità». Nel tessuto narrativo imbastito da Benjamín Labatut questo «miscuglio» di geni vive delle esperienze e, alcune volte, delle «vite» all’interno di «Un regno di stupore e stranezza, figlio del capriccio di una dea dalle tante braccia che giocava con il caso». Qual è il senso di tutto questo volume, dunque? Labatut non c’è lo dice: ce lo fa «intuire» nel titolo che egli ha dato alla propria opera: Quando abbiamo smesso di capire il mondo. Ecco Quando abbiamo smesso di capire il mondo il concetto si è congelato e congedato e il «mondo» è scoppiato/esploso in qualcosa che «contraddiceva il senso comune», o anche: «Un aspetto della realtà che le parole e i concetti della fisica classica non potevano nemmeno nominare», o ancora: «Come se il caso si fosse insinuato nel cuore della materia». Quando abbiamo smesso di capire il mondo: il mondo è andato avanti per fatti suoi.