Draghi-Italia, chiama Europa
Da ultimi della classe a “studenti modello”: così l’Italia è cambiata in Europa grazie alla leadership di Mario Draghi. O almeno così sostiene il Financial Times. E due settimane fa era stato il New York Times a spiegare come Draghi stesse “cambiando l’Italia e salvando l’Europa”.
Il premier, conosciuto all’estero per il suo “whatever it takes” che aveva – quella volta per certo – contribuito a salvare l’euro, oggi riceve lodi per molte sue scelte: dal blocco dell’export di vaccini che ha inaugurato il “nuovo corso” europeo al guanto di sfida a Erdogan, fino al Recovery plan italiano presentato oggi.
A livello europeo, si parla di un “vuoto di leadership” (Merkel out a settembre, Macron assediato dalla destra, von der Leyen evanescente) che Draghi starebbe già colmando.
Tutt’altro parere quello di The Economist, da sempre critico verso il sistema italiano, che invita a non concentrare eccessive speranze su “Super Mario”: farlo accentuerebbe soltanto quel ricorrente complesso da “uomo della provvidenza” che non facilita il delicato percorso verso le riforme necessarie.
Da una parte perché governare l’Italia (da molti dipinta come “irriformabile”) non è come essere a capo della BCE (istituzione con mandato chiaro e mezzi adeguati). Dall’altra perché – sempre secondo The Economist – la necessità di un governo Draghi può voler dire solo due cose: che per riformare il sistema Italia sia indispensabile un tecnico di assoluto valore, oppure, se Draghi fallisse, che neanche un tecnico “eccezionale” sia in grado di cambiare il Belpaese.
Chi ha ragione, dunque? Dopo neppure tre mesi di governo è certamente troppo presto anche solo per un primo bilancio. L’Italia ha problemi che si trascinano da decenni, accentuati dalla pandemia. Il debito pubblico sfiora il 160% del PIL, la nostra spesa pensionistica è la più alta al mondo, il divario nord-sud si va persino approfondendo e la nostra giustizia civile resta la più lenta d’Europa.
Farlo “santo subito” non faciliterà la vita a Mario Draghi. Anzi. Il modo migliore per complicargli il lavoro è pretendere troppo, troppo presto.
[a cura di ISPI]