Hamas non è la Palestina
Il partito di Hamas (sostenuto militarmente dall’Iran) anni fa riuscì a cacciare l’Autorità Nazionale Palestinese da Gaza, vincendo lì le elezioni palestinesi. Da tempo controlla la Striscia con la forza e come un regime totalitario da cui i cittadini dipendono in tutto e per tutto.
Hamas (che nel suo statuto sostiene non debba esistere Israele) dove può si affida alla faccia rispettabile di dirigenti che lavorano in stretto contatto con l’ANP di Abu Mazen (presidente riconosciuto dei Territori palestinesi), e conta sul sostegno di molte associazioni e organizzazioni non governative occidentali. Tuttavia Hamas ha iniziato questo attuale conflitto contro Israele lanciando sei razzi su Gerusalemme (violando la santità ebraico-cristiana-islamica del luogo) per stabilire una nuova equazione che va inquadrata nell’ambito degli interessi interni palestinesi.
Infatti, nel momento in cui Abu Mazen ha annullato le elezioni palestinesi, precludendo ad Hamas la possibilità di rilegittimarsi anche in Cisgiordania, Hamas ha intrapreso un’operazione ambiziosa per presentarsi come il vero padrone di casa in Cisgiordania, a Gerusalemme e persino tra gli arabi israeliani. Gli è riuscito solo in parte, ma ha dimostrato che ha il potenziale per farlo e questa è la sua vittoria strategica. Una vittoria soprattutto contro i palestinesi moderati dell’ANP.
Adesso si andrà verso una tregua a stretto giro. A Israele non rimangono molte opzioni: la maggior parte degli obiettivi operativi su Gaza sono stati colpiti e ha inferto alcuni duri colpi a Hamas, ma la vittoria rimane sul livello tattico e nel frattempo ne pagano il prezzo i civili.
Certo anche Israele ha le sue pecche. Si può dire che, in un certo senso, c’è una coalizione informale tra Netanyahu e Hamas, poiché si salvano a vicenda. Infatti i missili di Hamas hanno congelato i negoziati politici israeliani mentre Bibi stava per perdere il controllo del governo e c’era un’alleanza di molti partiti israeliani e arabi per prendere in mano la Knesset. Mentre Netanyahu negli ultimi dodici anni ha lasciato che Hamas si rafforzasse militarmente, permettendo che producesse missili non-stop, facendo entrare milioni di dollari dal Qatar, concedendo agevolazioni umanitarie ed economiche che sperava avrebbero comprato la quiete di Gaza. Allo stesso tempo indebolendo Abu Mazen, che non è detto potrà o avrà l’interesse di mantenere l’ordine ancora per molto in Cisgiordania. Se l’operazione a Gaza si dovesse prolungare c’è il rischio di una nuova intifada.
Sui palazzi distrutti dall’aviazione militare israeliana nella Striscia tutto è dettato dal modus operandi di Hamas. Se loro lanciano razzi da una zona abitata forse vogliono che Israele reagisca colpendoli e quindi colpendo innocenti scudi umani far sì che tutti condannino gli israeliani. Ma Israele ha il dovere di agire contro le rampe di lancio dei razzi, contro i tunnel e i terroristi. Immaginiamo che un’organizzazione terroristica lanci razzi su Roma da un territorio limitrofo. Qualcuno si porrebbe domande su come reagire?
Stiamo parlando di un’organizzazione terroristica che sfrutta la popolazione nella maniera più cinica possibile: perché i dirigenti e comandanti di Hamas come parte dei soldati delle brigate al-Qassam se ne stanno al sicuro sottoterra, mentre i civili palestinesi di Gaza non sanno dove andare?
Pochi giorni fa il “ministero degli Interni” di Hamas a Gaza ha mandato un sms a tutti i cittadini avvertendo di non pubblicare video di lanci di razzi. Gli interessa che non venga svelato dove sono i lanciarazzi, perché sanno bene che sparano da quartieri densamente popolati di poveri palestinesi.
Di fronte a tutto questo sembra che Israele al momento non possa mollare contro Hamas. Per evitare che tutto questo degeneri davvero in una prossima guerra Israele dovrebbe contemplare mosse offensive contro Hamas pure nei periodi di apparente tranquillità, cioè appena parte anche un solo razzo da Gaza. Non ci può essere tolleranza verso l’arricchimento dell’arsenale militare di Hamas.
[fonte La Repubblica – brani da un’intervista a Avi Issacharoff]