Ferraris e il capitale umano
- L’inciampo. «Oggi quando parliamo di “rete” ci viene subito in mente il web, mentre pochi decenni fa avremmo pensato ad altro, reti da calcio o reti da pesca o a esercizi acrobatici rischiosi perché eseguiti senza rete, o, con maggiori approssimazioni, a ciò che è il web, al sapere e alla società intesi come rete che unisce le persone». Questo scrive Maurizio Ferraris a un certo punto di questo suo Documanità. Filosofia del mondo nuovo (Laterza, 2021), libro complicato ma non complesso, il quale «Non richiede una comprensione concettuale né un sapere preliminare più di quanto sia necessaria una teoria (…) della moneta per pagare il caffè al bar»: e che mette subito in risalto l’inattualità non solo del mondo del calcio (cosa che già sospettavamo) ma anche di quello dei «nani e le ballerine», dei «furbetti del quartierino», del «bunga bunga» o, come diceva il compianto Franco Battiato, degli «urlettini dei cantanti», delle showgirls (oggi, del resto: riciclatesi in influencer). Tutto questo perché è accaduto cosa? Le macchine (e il web è una macchina) hanno oggi prodotto un inciampo: il corso della storia si è alterato (magari si è definito attraverso una «isteresi»): c’è un «taglio netto». E Ferraris lo dice: «Definisco “documediale” la rivoluzione in corso perché si basa sulla intersezione fra la crescita della documentalità, la produzione di documenti in quanto elemento costitutivo della realtà sociale, a quella della medialità, che nel digitale non è più uno-a-molti bensì molti-a-molti». Dall’«analisi» di quello che sta avvenendo (sì, c’è anche il virus) il filosofo padre del «Nuovo Realismo» parte per una «modesta proposta» in un volume del resto davvero straordinario ma che rischia di non avere lettori (ed è un peccato!) in questo nostro presente fatto di «Un mare di guai, incertezze e azioni inconsulte». E’ il rischio che questo libro non abbia lettori è una perdita (un cattolico direbbe: un «peccato») per la crescita culturale del nostro Paese. Ma tant’è! «Se c’è una cosa insensata è la vita, però è all’interno di questa generale insensatezza che si costituisce il senso» scrive ancora Ferraris. Dunque vediamole insieme le tappe di questo «inciampo» che partendo dal web ci condurrà alla filosofia e alla politica.
- Il capitale umano. E’ dunque in atto la rivoluzione documediale. «L’ambiente in cui si produce è il web»: dunque non si produce nelle riunioni del gruppo di «Lotta comunista» (le cui edizioni stanno editando i 50 volumi della cosiddetta MEGA, la Marx-Engels-Gesamtausgabe) a Reggio Calabria (vicino a piazza Carmine ex Piazza Scala di Giuda) oppure nelle esternazioni televisive del rapper Fedez ma «si produce» online, nel virtuale, nella «rete», probabilmente anche in DAD con gli alunni del Liceo Scientifico «Francesco La Cava» di Bovalino. Ma dire macchine vuole immediatamente dire «automazione» – scrive ancora Maurizio Ferraris: «Nel nostro caso dal web, al di là degli entusiasmi e delle esecrazioni di breve periodo, ha introdotto un’automazione destinata, in un periodo che non si sa quanto lungo, a liberare l’umanità dal peso della fatica e dell’alienazione». Ma dire fatica e alienazione vuole dire «lavoro»; e dire lavoro vuole dire «capitale». «Oggi si sta facendo avanti un capitale insieme nuovissimo, perché è reso possibile da una tecnologia che prima non c’era, e antichissimo, perché manifesta l’essenza della capitalizzazione costitutiva del mondo sociale: produce documenti, genera mobilitazione, e non fa rumore». Questo «capitale umano» non vede più la contrapposizione lavoratore-denaro ma quella lavoratore-documento. Nella nota 18 al libro 4 (dal titolo «Trasvalutazione: dove andiamo?») del suo volume il filosofo di Torino dice: «Sostituendo alla dialettica feudale signoria/servitù, e a quella industriale capitale/lavoratori, la dialettica umani/automi, dove i primi sono destinati a trionfare non perché lavorano bensì perché consumano dando senso a un apparato che altrimenti ne sarebbe privo». E che «consumano»? «L’enorme lavoro implicito che ognuno di noi compie sul web»; cioè: «l’inutile e il gratuito» divengono «generatori di valore economico». Questi dunque i «termini» di una rivoluzione che si basa sui «documenti» che, come si sa: possono essere registrati, iterati, alterati e interrotti – oltre che profilati. Ma ogni rivoluzione che si rispetti ha bisogno (a meno di non usare termini a vanvera) della sua «lotta di classe»: il «motore» della storia in questo caso è «l’isteresi». Dice ancora Ferraris (che dice tante cose intelligenti in questo libro ma si dimentica che facendo il ragionamento che va facendo rischia di passare come un fan di Chiara Ferragni e del mondo che l’ha «generata» – ma naturalmente il libro di Maurizio Ferraris, che traccia i contorni di un vero (come si faceva una volta) e proprio «sistema filosofico» non solo, come detto, è molto bello ma – in questi tempi effimeri e distratti – meriterebbe di avere un pubblico non occasionale – come può essere la mia lettura): «Un fenomeno di ritardo per cui un evento precedente interviene nel presente, e deve dunque essere tenuto in conto». Dunque: esiste un «inciampo» tanto questo per-siste un «indugio» e – se il web è «isteresi» – c’è’ anche un differire, un ritardare, un’indecisione, una perplessità – non solo della storia o, peggio ancora: della storia della filosofia! Ed esistono tre «sfere» (come amerebbe dire Peter Sloterijk): la «biosfera», la «docusfera» e la «infosfera». Nella «biosfera» noi produciamo «atti» (io in questo momento: produco starnuti); tali «atti biologici» passano nella «docusfera» che «Genera il valore attraverso il consumo, ed è l’ambito in cui le anime incontrano gli automi»; tale «valore» (derivato dal fatto che gli «atti biologici» diventano documenti e i documenti diventano «la merce fondamentale dell’economia documediale») diventa nella «infosfera»: parte di una «Zona di comunicazioni responsabili e di informazioni corrette che, ben lungi da costituire l’essenza del web (…) ne rappresenta il dover essere, lo sviluppo che l’umanità deve seguire sotto forma di educazione e progresso razionale».
- Cioè dall’insieme dei miei starnuti. Cioè dall’insieme dei miei starnuti se ne trae un documento il quale può diventare – nel webfare – motivo di ricchezza prima di tutto e poi di educazione (sapere, conoscenza, cultura) ma anche di crescita, emancipazione e progresso nazionale. Tutto questo grazie alla «isteresi».
- Conclusione. Una lunga conclusione. Dice ancora Maurizio Ferraris: «Chi accede al web ha l’impressione di guardare la televisione, ma in realtà tra il guadare un video su un medium analogico e su uno digitale ha luogo una rivoluzione copernicana. Nel primo caso, siamo noi che guardiamo il video, passivamente, tanto è vero che prima o poi ci addormentiamo. Nel secondo, per così dire, è il video che guarda noi, tenendo traccia delle nostre abitudini e preferenze, ei commenti che facciamo, delle persone a cui inviamo il link, della frequenza con cui ci ritorniamo, e stimolandoci ad azioni, tanto è vero che non credo che nessuno si sia addormentato davanti al telefonino, a meno che lo usasse come televisore, ma anche in quel caso diversamente dal televisore, il telefonino annotava impassibilmente l’ora, il giorno, l’illuminazione ambientale e tante altre cose». Croce e delizia dei nostri giorni il «telefonino» arriva sul finale di questa recensione a ricordarci che esiste una rivoluzione che parte dal web e che sostituisce, pan piano, al welfare (o a quello che ne resta) un webfare. «E che dobbiamo impegnarci, invece che nel lavoro del lutto per una presunta morte del comunismo, nella elaborazione di alternative rispetto ai suoi limiti maggiori; e in particolare la totale incuranza nei confronti delle libertà personali, a torto considerata come un semplice retaggio del mondo borghese. Nella prospettiva che propongo, è necessario sviluppare una triplice azione. In primo luogo, un’analisi del plusvalore documediale, che è stata sinora largamente trascurata. In secondo luogo, una lotta per il riconoscimento dell’enorme quantità di lavoro implicito che l’umanità eroga gratuitamente. In terzo luogo, un webfare, capace di ridistribuire il plusvalore creando le condizioni per una umanità cosmopolitica, redenta dalla maledizione di Adamo e capace di far qualcosa di meglio che imitare le macchine per scopi produttivi o distributivi». Centrali in questa ottica appaiono la «mobilitazione» e il «consumo». Entrambi possono essere resi «documenti». Ecco spiegata la nascita di una nuova «documanità» che possiede una sua propria «filosofia». «Oggi invece l’enorme potenza di isteresi e di calcolo delle piattaforme che rende in linea di principio possibile l’automazione perfetta è anche ciò che permette di raccogliere le informazioni che derivano dalla nostra mobilitazione. Questa enorme produzione di valore è il vero capitale umano su cui si fonda il webfare, e che va pagato dai giganti digitali»: questo «mondo nuovo» – in coerenza con il realismo – non segue ma precede la «rivoluzione documediale» e il suo pensiero, la sua speculazione, la sua teoretica. Sembra quasi che la filosofia (e il realismo con essa) vada al rimorchio; ma che mondo ci si prospetta alla fine? «La mia proposta è diversa, appunto perché comporta una trasvalutazione del concetto di “lavoro”, che lo sposta sul polo del “consumo” (lavoro corporale, benché il consumo possieda anche una dimensione spirituale), dell’invenzione e dell’educazione (lavoro dello spirito in senso proprio)». In definitiva si consuma per educarsi, per educarsi a vivere. Ci si mobilita per essere inventivi, per fantasticare, per fare del proprio «tempo libero» occasione – monetizzata – di emancipazione. Un webrealismo o una webfilosofia per una «documanità» – liberata dalle angosce del lavoro, registrata, scannerizzata, usata e riusata, alterata, iterata, interrotta, depositata in «documenti»: in parole povere: noi! Mi viene da pensare che in un simile quadro il «tempo libero» che avremo lo dedicheremo alla cultura. Anzi tutto il nostro stesso «stare al mondo» sarà dedicato alla crescita spirituale, alla conoscenza. Ferraris dimentica (lo dico col sorriso alla bocca perché la mia non è propriamente una considerazione seria ma saliente sì) che esistono al mondo i tamarri. E non ne fa menzione affatto per tutto il corso del suo sistematico volume. Chi segue la moda pedissequamente ma con un risultato: ne coglie gli aspetti più triviali, vistosi e generalisti. Anche il tamarro dedicherà il proprio «tempo libero» all’educazione?