Raffaella Carrà la “rivoluzionaria”, il cinema
Donna volitiva ed eclettica, showgirl brillante, ballerina, cantante e presentatrice solido personaggio nazionalpopolare amatissimo nel corso del tempo evidentemente per qualità umane e presenza fisica ed empatie varie, per Raffaella Pelloni in arte Carrà sono stati però evocati epiteti molto impegnativi.
Lasciando perdere i richiami al suo successo, di genesi oscura, come icona ‘lgbt’, mi ha colpito l’associazione spesso ripetuta con i termini “rivoluzione” e derivati. Il termine usato nella storiografia moderna sul mondo antico per Ottaviano Augusto, o per Costantino, e successivamente Copernico, legato ovviamente alle grandi rivoluzioni sociopolitiche e economiche, e tra le ultime per quella khomeinista… Forse una “rivoluzioncella” (come da dizionario). O un cambiamento profondo ma in un contesto assai minore? O forse rivoluzione nel senso di movimento di un corpo rispetto ad un altro, come nell’eccellente (davvero) “tuca tuca”?
Questa aggettivazione risulta esponenziale, esorbitante, rispetto ai meriti, anche alle doti artistiche, perché se è vero che molte cose fatte dalla Carrà nel corso della sua lunghissima attività sono di sicura professionalità, carine, divertenti, dolci (e godibili per motivi vari sono brani come Zum zum zum, Pedro, Ma che musica maestro, Tanti auguri/Come è bello far l’amore da Trieste in giù, A far l’amore comincia tu) hanno persino un che di magico e sono entrate a buon diritto nel costume degli italiani, se è vero ciò altre, dal gioco dei fagioli di Pronto, Raffaella? a Carramba che sorpresa sono indifendibili, cosí come un gran numero di canzoni interpretate dalla Carrà inascoltabili pezzi supercommerciali e non pochi balletti che la hanno vista protagonista inguardabili. Ascoltare esimii uomini di intelletto difendere l’alto interesse del gioco del numero dei fagioli da indovinare si spiega solo con la simpatia, l’affetto e la commozione per la scomparsa di una brava persona e una brava artista italiana, e più o meno meritatamente star internazionale almeno nei paesi latini.
Non vogliamo fare inadeguatamente gli Aldo Rizzo della situazione. Doverose invece qui due parole sulla Carrà e il cinema. La Carrà stessa ripeteva che il suo rapporto con il cinema è stato il più infelice della sua storia artistica, perché fallito, nonostante sia proprio nel cinema che la Carrà abbia ottenuto nel 1960, diciassettenne, un diploma (il diploma) al Centro Sperimentale di Cinematografia, e abbia avviato la sua carriera con ruoli in genere minori, bambina e poi comunque giovanissima, in vari film tra i quali alcuni di buona qualità come La lunga notte del ‘43 di Vancini (1960), I compagni di Monicelli (1963), Il colonnello von Ryan di Robson (1965). Molte presenze fece in pessimi film storici o mito-storici degli anni Sessanta, a cui è seguito il sostanziale distacco dalla Settima Arte, dopo Il caso “Venere privata” di Y. Boisset (1970).
Le osservazioni qui presentate non tolgono nulla al dispiacere per la perdita di una figura che ha contribuito a fare la storia della TV italiana.