19 Dicembre 2024
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Piero Panattoni, Diario segreto di Bartolomeo Allattati (1919-1920), Edizioni Helicon 2021, pag. 262

“Voi non ci crederete, ed è naturale per donne e uomini abituati a prendere per veri i verdetti delle apparenze, ma io, Bartolomeo Allattati dell’Argine sono felice, per quanto sia concesso esserlo ad un ragazzo strano e cagionevole, in temi come i nostri”. Così scrive nel suo diario segreto un giovane conte che vive nella grande villa “austera e turrita” contornata dai poderi dei mezzadri, in un paesino della periferia di Pisa, vicino all’argine del Serchio.

E’ cagionevole di salute in quanto una malattia gli svuota le ossa “rendendole leggere e friabili”, inoltre la natura non gli ha dispensato alcun dono a compensazione, infatti è “incredibilmente piccolo, calvo, con il petto carenato”. La famiglia è composta dal conte padre, ligio alle regole ma libero di pensiero, la madre “conosciuta come avara, bigotta, dispotica e forcaiola”, due zie nubili sempre col rosario in mano, due fratelli in linea con il resto del gruppo, e per fortuna la sorella Concetta che porta sconquasso, che va contro le aspettative.

Intorno stanno la servitù – con la fedele nutrice Leontina – e la gente del contado.

Dal contado viene Marco Lepri, grande e grosso, coetaneo del “sorconte” e suo amico fidato, l’unico con cui Bartolomeo si confida, con cui fa le esperienze più emozionanti e formative. I loro appuntamenti nella vecchia limonaia in mezzo a concimi e balle polverose aprono a momenti sorprendenti di collaborazione ed intimità. Bartolomeo cerca ogni strada per acculturare l’amico, per insegnargli e leggere e scrivere, per aprirgli la mente. Marco è la sua spalla, gli porta la vita concreta fuori dai confini della villa, lo sostiene in ogni momento.

Ma il contino vede più in alto nonostante la sua gracilità, perché lui può volare, può sollevare il suo piccolo peso e gestire il volo nel vento. Gli altri non ne conoscono il segreto.

Tanto è raffinato il contino, nelle abitudini e nel linguaggio, quanto è rozzo e grossolano Marco, analfabeta, con poca abitudine al pensiero logico, ma sensibile e attento, rappresentando costoro le due nature che ognuno di noi contiene, animale e spirituale, istintuale e riflessiva.

Nella villa padronale arrivano e sostano dei parenti, così conosciamo Ekaterina, giovane fanciulla presto coinvolta nei giochi, creatura non avara d’amore, iniziatrice ai piaceri dei sensi per entrambi i ragazzi.

Il contesto in cui ci porta Panattoni ha momenti di tragedia, perché il diario inizia quando il passaggio della guerra mantiene ancora vive immagini di dolore, e cresce in drammaticità e orrore con l’imperversare della epidemia di spagnola. Il contino e Marco, ognuno per le sue possibilità, diventano portatori di soccorso fin nelle corti più appestate, insieme al prete ed a Beppe il bestemmiatore. Lontana comunque l’idea di raccontare l’intero diario, che coinvolge sempre di più ad ogni pagina.

Al di là della iniziale sorpresa per il registro linguistico alto con cui si esprime il contino -del resto corrispondente alla sua educazione, istruzione e contesto sociale- , con lo scorrere delle pagine, mentre Marco dimostra di essere cresciuto in formazione e capacità di analisi, come per osmosi il registro linguistico diventa sempre più fluido e vicino al parlare comune.

Le esperienze dei due amici sono al limite della immaginazione, finendo per coinvolgere anche il conte padre, più informato di quanto Bartolomeo immagini, e sempre dalla sua parte contro il bigottismo imperante.

Così si allargano gli orizzonti, si fanno viaggi per conoscere il territorio ed anche la vita. Vari e coloriti gli incontri in territorio garfagnino, sorprendenti e commoventi quelli in territorio livornese, importanti tutti per poter dire di aver vissuto. Perché la vita di Bartolomeo non sarà lunga, addirittura due esperienze dolorose -la scomparsa della sorella e del padre- minano definitivamente la sua salute. Ma sarà stata completa di tutto, anche di amore.

Panattoni è stato capace di stupirci con una storia sospesa tra cielo e terra, con una grande capacità di entrare nella psicologia dei personaggi, con un realismo duro nella rappresentazione dell’epidemia, tuttavia addolcito da umana pietas; da una ironia leggera e diffusa con cui il contino racconta il suo mondo, quasi a prenderne le distanze.
Non sfuggono i rimandi letterari, soprattutto alla peste manzoniana, ma non meno interessanti quelli che dissemina qua e là: “Il viaggiatore che in un giorno di calura si muova da Lucca verso Pisa; abbandonata all’altezza di Regoli l’arteria nazionale…” di vago sentore verghiano.
Rimane l’idea di fondo di una fiducia nella crescita che si può fare insieme, nella possibilità di realizzare una società dove le classi sociali non rappresentino una divisione ma si arricchiscano nella loro complementarietà; dove essere diverso o portatore di disabilità non costituisca un limite alle possibilità di gioire della vita. Un inno all’amicizia che non vede la differenza di colore della pelle, di condizioni economiche, culturali, status sociale, idee politiche, credo religioso. Una necessità di abbattere stereotipi e pregiudizi sollevandosi sulle meschinità, volando alto, come fa Bartolomeo, che risponde pienamente alla formazione e al pensiero dell’autore.

Marisa Cecchetti

Marisa Cecchetti vive a Lucca. Insegnante di Lettere, ha collaborato a varie riviste e testate culturali. Tra le sue ultime pubblicazioni i racconti Maschile femminile plurale (Giovane Holden 2012), il romanzo Il fossato (Giovane Holden 2014), la silloge Come di solo andata (Il Foglio 2013). Ha tradotto poesie di Barolong Seboni pubblicate da LietoColle (2010): Nell’aria inquieta del Kalahari.