19 Dicembre 2024
Movie

La scomparsa di Jean-Paul Belmondo, attore-simbolo del cinema francese

Ricordiamo con malinconia la figura di J.-P. Belmondo, soprannominato Bebèl (a quanto pare da Pepèl, un ladro personaggio di Verso la vita, film di J. Renoir del 1936 interpretato da Jean Gabin, il mitico attore francese al quale più di ogni altro potrebbe accostarsi per vari motivi Belmondo), scomparso lunedi 6 settembre a 88 anni. Facendolo compiamo una sorta di operazione di autocoscienza, e contiamo l’avanzare dei nostri anniversari.

Dotato di una popolarità immensa negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, con il suo amico e collega Alain Delon (furono insieme nel famoso Borsalino, di J. Deray, del 1970) erano spesso sui rotocalchi italiani: i vari “Gente”, “Oggi”, “Novella 2000”, che ne raccontavano le vacanze e gli amori. Tra questi, celebri quelli di Belmondo con bellezze quali Ursula Andress e Laura Antonelli. Ma quale giovane al di sotto dei trent’anni che non abbia una cultura da cinefilo vero (rara avis) potrà provare qualche emozione alla scomparsa di questo simbolo della storia del cinema francese ed europeo? Chi ne avrà visto qualche film? Sono sicuro che se per divertimento interrogassi anche tanti quarantenni còlti, intellettuali onnivori e a tutto campo, mi balbetterebbero a dir tanto tre o quattro titoli. E perché la televisione pubblica – sì proprio quella del canone – che un tempo, al tempo tanto per non far nomi della direzione generale di un Ettore Bernabei, avrebbe fatto saltare il palinsesto per dedicargli una serata, ci ha regalato con le sue ‘Techetecheteche’ quest’anno di assoluta ripetitività 40 minuti su Milly Carlucci, mentre continua il martellamento con Raffaella Carrà, da mesi? Per parte loro non fanno di meglio le Pay-Tv, che sono vergognose per il livello infimo della loro programmazione cinematografica (e lo dice un abbonato), che sembra costruita da assoluti ignoranti di cinema, senza nemmeno uno straccio di canale dedicato al cinema d’autore o alle cinematografie nazionali. Per classici e cinema d’autore, vivaddio, non si potrà intendere solo Alfred Hitchcock e Woody Allen e quando va di lusso John Ford! Vedremo da stasera martedi 7 settembre se erano solo impreparate ieri sera, la sera della sua scomparsa, e per questo non hanno rievocato Belmondo se non in servizi in chiusura dei TG (fatti da chi di cinema sa, come un giornalista e amico de La7, e da chi probabilmente a sua volta non avrà visto che qualche filmuccio qua e là dell’attore francese).

Dunque veniamo a ricordare questo, per molti, illustre sconosciuto. Belmondo era attento alla forma fisica ed era noto perché nei suoi film si esibiva in cadute e salti rocamboleschi senza bisogno di controfigure, anzi rifiutandole. Se un minimo comun denominatore dovessimo trovare non per tutti e forse non per i migliori ma per molti dei film da lui interpretati questo è del resto la spettacolarità. Belmondo aveva costruito il suo fascino e le sue doti di attore su una bellezza eterodossa: quasi rasentava la deformitas facciale, camuso e storto, come derivatogli dal suo passato di pugile praticante, labbra sporgenti carnose quasi da ‘nero’ corpulento, torso forte… E poi quello sguardo scanzonato e sicuro di sé che fissava la macchina da presa, ironico, vitale, del tipo: ‘state tranquilli che me la cavo’. Una bellezza opposta a quella angelica e elegante, ben più torbida e sofferente, di Delon (di due anni più giovane, 1935 vs 1933), che Visconti aveva valorizzato in Rocco e i suoi fratelli e ne Il gattopardo negli stessi anni in cui Belmondo furoreggiava come attore della Nouvelle Vague, a cominciare da A bout de souffle (Fino all’ultimo respiro) di Godard. Uscito nel 1960, A bout de souffle è la storia del giovane Michel (Belmondo), che a Marsiglia ruba un’auto e mentre cerca una via di fuga uccide un poliziotto. Si avvicina a una ragazza americana di nome Patricia (Jean Seberg, 1938-1979), e questo aspetto erotico, sentimentale e psicologico assume un rilievo centrale nella vicenda. Patricia non  contraccambia l’interesse di Michel, con il quale ha una breve storia, e se dapprima lo aiuta a nascondersi, poi decide di denunciarlo. Michel così viene intercettato e ucciso dalla polizia.

Nemmeno un film, di grande suggestione e drammaticità come questo, con uno splendido bianco e nero, le nostre televisioni sono riuscite a proiettare.

Bello sui generis dunque, simpatico e macho, Belmondo recitò in circa 80 film, di diversisissimo stile e natura, spesso in ruoli di mascalzone godereccio, di avventuriero e truffatore, di agente segreto e poliziotto, e fu diretto da registi francesi di grande fama: oltre a Godard (col quale aveva già recitato in un corto del 1958 e col quale tornerà a lavorare più volte), Claude Chabrol, François Truffaut, Claude Sautet, Jean-Pierre Melville, Philippe de Broca, Claude Lelouche. Non sarà difficile al lettore risalire ai relativi film tramite rete. Ma girò anche con cineasti di prestigio o con buoni artigiani della mdp di altri paesi, a ben vedere quasi esclusivamente italiani (Belmondo aveva sangue italiano tramite i nonni paterni): Lattuada, De Sica (N.B., ne La ciociara, 1960), Bolognini, Sergio Corbucci.

Per chi avesse voglia di farsi una retrospettiva esauriente di chi fu Bebèl e di cosa ha regalato al cinema suggeriremmo i seguenti film, con una selezione soggettiva e severa (che tiene conto sia della qualità dei film che della loro tipicità, per l’identità attoriale di Belmondo), che si ferma intenzionalmente ai primi anni Ottanta del secolo scorso:

A doppia mandata (À double tour), di C. Chabrol, 1959, Fino all’ultimo respiro (À bout de souffle), di J.-L.Godard, 1960, Asfalto che scotta (Classe tous risques), di C. Sautet, 1960, La ciociara di V.de Sica, 1960, La viaccia, di M.Bolognini 1961, La donna è donna (Une femme est une femme), di J.-L. Godard, 1961, Cartouche, di Ph. d Broca, 1962, Lo sciacallo (L’aîné des Ferchaux), di J.-P. Melville, 1963, Il bandito delle 11 (Pierrot le fou), di J.-L. Godard, 1965, Parigi brucia? (Paris brûle-t-il?), di R. Clément, 1966, la mia droga si chiama Julie, (La Sirène du Mississipi), di F. Truffaut, 1969, Borsalino, di J. Deray, 1970, Il clan dei marsigliesi (La scoumoune), J. Giovanni, 1972, Stavisy il grande truffatore, (Stavisky…), di A. Resnais, 1974, Poliziotto o canaglia (Flic ou voyou), di G. Lautner, 1979, L’asso degli assi (L’as des as), di G. Oury, 1982.

Giovanni A. Cecconi

Professore di storia romana e di altri insegnamenti di antichistica all'università di Firenze. Da sempre appassionato di cinema, è da molti anni attivo come blogger su alleo.it per recensioni, riflessioni, schede informative, e ricordi di attori e registi. È stato collaboratore di Agenzia Radicale online e di Blog Taormina. Ama il calcio, si occupa di politica e gioca a scacchi, praticati (un tempo lontano) a livello agonistico, col titolo di Maestro FIDE.