19 Dicembre 2024
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Mariano Lamberti, Il maestro, Giulio Perrone Editore 2021, pag. 230, € 18,00

 

 

Raccontato in prima persona da un discepolo, Il maestro è la storia della vita straordinaria- proprio fuori dalla norma- di Nichiren Daishonin, maestro buddista vissuto nel tredicesimo secolo in Giappone, nel periodo conosciuto come Kamakura, caratterizzato cioè dal dominio dello shogunato di Kamakura con forte accentramento di potere nelle mani del capo militare, periodo che va dal 1185 al 1333, quando si ebbero tentativi di invasione da parte del mongolo Qubilay, imperatore della Cina.

Il discepolo Hokibo, che il maestro chiamerà Nikko, ha solo tredici anni, Nichiren trentasette. Si incontrarono nel tempio Jissoi, dove il ragazzo studiava, e dove il maestro era andato a consultare la collezione di sutra – massime filosofiche, religiose, comportamentali- conservata nella biblioteca. Rimasto orfano del padre -la madre passata a seconde nozze aveva portato con sé la sorellina da cui Nikko era inseparabile- lui viene affidato al nonno materno e fin da sette anni viene mandato a studiare.

Tra discepolo e maestro c’è una intesa immediata. Nikko vive con lui e per lui, condividendone ogni scelta e difficoltà, con gioia. E’ una specie di innamoramento che traspare in tutto il romanzo: “Quando ebbi finito di parlare mi prendesti le mani, stringendole forte. Quel primo contatto fisico ebbe un grande effetto su di me: le nostre vite cominciarono a unirsi come radici nella loro potente discesa nel terreno”.

Nichiren dedica la sua vita a predicare il ritorno alla purezza del Budda, e ciò comporta il suo scontro con il regime militare, lo shogunato Kamakura, che lo accusò di non credere negli dei tradizionali e di corrompere i giovani. Ma lui pensava che “settecento anni di buddismo, che era giunto in Giappone dalla Cina, erano andati a dissolversi, infrangersi” per la presenza di una varietà di scuole di pensiero e di sette che cercavano di dare conforto alle persone, e il Paese era a attraversato da insicurezza a paura.

In effetti lui non disprezzava il potere, lo aveva addirittura in grande considerazione e proprio per questo si rivolgeva ai reggenti ed ai potenti perché o ascoltassero ma è stato difficile per lui, nato povero, fatto che lo metteva facilmente in contatto con i poveri, ma lo rendeva sospetto alle autorità, perché era un semplice prete che osava alzare la testa con fierezza e metteva in discussione il modo di governare e il potere clericale.

La sua idea di religione era libera da interessi politici. Con la sua parola voleva offrire al Giappone la possibilità di sollevarsi dalla decadenza morale e dalla spietatezza in cui era caduto il regime militare e di realizzare la sua visione di “una terra eternamente tranquilla”. Raggiungere il distacco dalle passioni, la pura tranquillità dell’animo era la sua meta, consapevole che “il distacco si guadagna con la passione, conoscendola e infine debellandola”.

Lui voleva diventare l’uomo più saggio del Giappone e diffondere il Sutra del Loto in tutto il Paese e nel mondo intero, in quanto, diceva, “non ci sono esseri da salvare, ma solo da risvegliare: siamo già salvi”: il Sutra del Loto afferma che “tutti gli esseri viventi posseggono indiscriminatamente la buddità”, la illuminazione.

La preghiera doveva servire per “espandere la vita al di là di ogni limite, per diventare luminosa come la luna piena e come la marea che cresce incessantemente”. E “tutte le attività quotidiane, se svolte con la via del cuore, possono diventare una pratica buddista, non importa quale sia, anche la più umile va bene, se cuore e attività esteriore sono all’unisono”. Le donne, che allora dovevano solo rimanere in silenzio e obbedire, iniziano a seguirlo, recuperate alla loro dignità: “Come è possibile che esseri così speciali come le donne che ci donano la vita e ci seguono in questa esistenza, capaci di sopportare ogni ingiusta deviazione della vita, possano essere esclusi dall’illuminazione?”

Nemico della violenza, non ammetteva di uccidere nemmeno una formica, e neppure di tagliare un filo d’erba, tanto meno di cibarsi di carne di altri esseri viventi, animali e pesci. “La vita dell’essere umano, diceva, è tristemente fugace, ogni suo respiro può essere l’ultimo e nemmeno la rugiada asciugata dal vento è tanto effimera. Nessuno saggio, nessuno sciocco, giovane o vecchio, può nulla contro la morte. Il mio desiderio è risolvere questo eterno mistero, tutto il reso è secondario”.

Per il regime militare e per i preti diventa purtroppo un pericoloso avversario politico da eliminare, perché, “mostrando l’inadeguatezza della classe politica dirigente e dell’alta gerarchia religiosa del suo tempo, soffiava sul vento della naturale irrequietudine giovanile, insegnando a rifiutare ciò che della tradizione si voleva imporre con la forza o per valenza religiosa”.

Emarginato, perseguitato, esiliato nei luoghi più inabitabili e distanti, riesce a superare gli stenti, mentre la schiera dei suoi discepoli si allarga, e con essi la predicazione. Il suo corpo sottoposto alle rinunce estreme, è invaso sempre più da debolezza e da malesseri sfiancanti. Muore a sessant’anni, nel 1282, con la serenità di chi ha dato la vita per gli altri e per la legge morale che abita in lui, muore, “accompagnato da alcuni fiori di ciliegio apparsi furi stagione e una live scossa di terremoto” mentre recitava il sutra insieme ai suoi discepoli.

Lamberti è riuscito a trasmettere la forza e la purezza del pensiero di Nichiren Daishonin, la assolutezza delle scelte di vita, la sua dedizione agli altri ed alla verità, ma ci fa compiere un percorso anche nella cultura giapponese de tempo, così lontana da noi -non nella violenza e nella negazione dei diritti, che purtroppo sono piaghe mai sanate e attuali – ma affascinante anche negli atti del quotidiano: “Sono nato in una casa fatta di paglia e di rami di albero- racconta Nikko al suo maestro -vicino a un bosco di bambù, nei pressi di un santuario shintoista. Mia madre stesa su un piccolo tatami orlato di stoffa nera metteva al mondo il suo primogenito in silenzio, per non disturbare le poche case che formavano il villaggio. Mio padre quel giorno non era nel campo a lavorare ma saltava come un grillo attorno la casa pizzicando la corda di un arco e gettando semi di soia per scacciare gli spirito maligni: “Oni wa soto! Fuku wa Uchi!”.

E quando Nikko è cresciuto, insieme alla sorellina resta “fuori casa fin quando il sole lasciava il posto alle stelle, per guardare le anime dei morti tornare sulla terra dentro i corpi delle lucciole”.

 

 

 

Marisa Cecchetti

Marisa Cecchetti vive a Lucca. Insegnante di Lettere, ha collaborato a varie riviste e testate culturali. Tra le sue ultime pubblicazioni i racconti Maschile femminile plurale (Giovane Holden 2012), il romanzo Il fossato (Giovane Holden 2014), la silloge Come di solo andata (Il Foglio 2013). Ha tradotto poesie di Barolong Seboni pubblicate da LietoColle (2010): Nell’aria inquieta del Kalahari.