20 Dicembre 2024
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Stephen King, Later (trad. Luca Briasco) Sperling & Kupfer, Milano 2021

Stephen King a un certo punto scrive: «Si può sconfiggere il diavolo una volta – grazie alla provvidenza, alla semplice fortuna o a una combinazione delle tre cose -, ma ritentare è un suicidio. Credo che solo i santi siano in grado di vincere due volte contro il diavolo, e forse neanche loro». Questo «diavolo» è il grande tema (il tema dei temi): è possibile la vita dopo la morte?
O meglio: che cosa succede una volta che si sia passati a miglior vita? Questo «diavolo» è un assassino seriale (che lavora con esplosivi acquistati dalla ditta Canaco del Canada). C’è un piccolo problema: Kenneth Alan Therriault (detto «Thumber») è morto. Il nome del dinamitardo «diavolo» non fa più parte dell’elenco dei vivi: egli si trova in un altro «ambiente» – detto «ambiente2».
King afferma: «I morti devono sempre dire la verità, pensai». Ma anche: «E QUINDI sì, io vedo i morti. E’ sempre stato così, dacché riesco a ricordare. Sempre. Ma la cosa non funziona come in quel film con Bruce Willis. Può essere interessante, a volte spaventoso (come con il tizio di Central Park), può essere una gran rottura di palle, ma il più delle volte è semplicemente quello che è: un po’ come essere mancini, o sapere suonare un pezzo di musica classica a tre anni, o ammalarsi di Alzheimer in età precoce, come è successo allo zio Harry, quando aveva solo quarantadue anni»: «”Facciamo un ulteriore passo avanti. Sulla base di quanto mi hai riferito a proposito degli altri morti che ti è capitato di vedere – inclusa mia moglie -, di solito svaniscono nel giro di pochi giorni …”. Fece un gesto con la mano. “… Nel posto in cui vanno – ma non questo Therriault – lui è ancora in giro. Anzi tu credi che con il tempo stia diventando sempre più forte”.
“Ne sono quasi sicuro». E infine: «Ma ero abituato al fatto che i morti si accorgessero che potevo vederli». L’Educazione sentimentale-zombifera-fantasmatica di James Lee Conklin (detto «Jamie») si svolge tutta all’insegna della «porta» (che poi è la «conoscenza») tra l’ «ambiente1» (lo spazio e il tempo nel quale il bambino poi ragazzo Jamie vive con la madre lesbica Tia) e l’«ambiente2» (rispetto al quale egli può «vedere» il morto e porre ad esso delle «domande»). Entrambi gli «ambienti» sono come la maggioranza dei contratti di lavoro oggi: «a tempo determinato».

Il tempo della vita umana da una parte e dall’altra quello di un «interregno» che il defunto (Later) dopo essere diventato un defunto si trova a dove «attraversare» prima di andare, come si esprime lo stesso Stephen King «Nel luogo dove finiscono tutti i morti, una volta che il loro contatto con il nostro mondo si spegne». Questo «luogo dove finiscono tutti i morti» non è ne l’«ambiente1»né l’«ambiente2» ma la «luce della conoscenza» (non si diceva così nel film L’attimo fuggente?) fa si che Jamie possa «vedere» i deceduti che stanno nell’«ambiente2» e che, del pari, i morti possano «accorgersi» (sapere, conoscere) che c’è qualcuno nell’«ambiente1» che ancora ha la possibilità di vederli.
La faccenda non è ingarbugliata – è semplice. Jamie ha un «talento»: può vedere i morti e porre loro delle domande; nello stesso tempo: i morti non possono rifiutare di rispondergli.
In tutti questo c’è «qualcosa» che abita le spoglie defunte del dinamitardo Thumber e qualcuno scopre che è necessario «un rito» per scacciarlo. Interessante in questo progetto di «utopia» non di questa terra o di «metautopia» è quello che ancora scrive King: «I morti  perdono qualunque interesse per le vicende dei vivi».
Ecco il punto – ed ecco perché i morti sono costretti a rispondere in maniera veritiera alle domande di Jamie: non gliene importa più niente … Facciamo «2+2=4», se ci riusciamo.

Stephen King compone una romanzo stranamente sobrio e misurato – anche nello stile. Sembra che egli voglia sondare i misteri della «vita dopo la morte»; ma non è proprio così. King è, anche in questo romanzo: interessato all’ «effetto» – che intende raggiungere. E questo «effetto», stavolta, non è splatter: è «metafisico». Qualcosa «abita» l’assassino Thumer; qualcosa lo ha «preso» dopo la morte. «Qualcosa di metafisico»: a un certo punto della narrazione Stephen King lo definisce il «succedaneo». Questo «succedaneo» lotta con un «soggetto» (che è sempre, come si sa, un ente metafisico) che si chiama Jamie e che ha avuto la «chiave» (dell’«ignoranza» e non della «conoscenza»: infatti il «Rito di Chŭd» chiude la «porta» del dialogo e della dialettica tra vivi e morti e quindi la «conoscenza» dei morti diventa «ignoranza» dei vivi … Che non possono più «vederli») dal professore (emerito) Marty Burkett. Cos’è questo «Rito di Chŭd» (che apre e chiude contemporaneamente; apre a Jamie la possibilità di una vita normale e chiude ai morti il loro rapporto con la «vita» – ossia con l’ «ambiente1»)?
Sentiamo ancora Stphen King: «Il rito di Chŭd, disse il professore, era praticato da una setta di buddisti tibetani e nepalesi (vero). Lo praticavano per raggiungere un senso di annullamento del sé, e lo stato di serenità e nitore spirituale che ne derivava (vero).Il rito era considerato utile anche per combattere i demoni, sia quelli della mente, sia gli esseri soprannaturali che tentavano di invaderla dall’esterno (una zona grigia)».

Insomma la metafisica ci dice che da una parte c’è un «demone» (un «diavolo» si diceva; o come dice ancora King una «creatura») e dall’altra un «soggetto» (umano, giovanissimo, dotato di un «talento particolare») e che fra questo due «oggetti metafisici» sussiste una «lotta», una «contesa». Può darsi che questa lotta sia quella di un uomo alle prese coi fantasmi della propria mente ma può anche darsi che, effettivamente, esistano entità che non si possono (più) definire «umane».

Questo Later di Stephen King molto probabilmente non è un capolavoro ma non è neppure un libro da prendere e buttare via. O da incartarci i pesci. King, a un certo punto, scrive: «Se strofini una lampada magica e salta fuori un genio, buon per te. Però se la strofini ed evochi un demonio – una luce mortifera – lo sa Dio cosa potrebbe succedere, non certo io».
E’ tutta questione di «strofinare» – questo vale, più in generale, anche nel nostro rapporto con i libri. Dipende se vuoi un «genio» o un «demonio»: ovvero se sei «un genio» o un «demonio».

Gianfranco Cordì

Gianfranco Cordì (Locri, 1970), ha scritto dodici libri. E' dottore di ricerca in filosofia politica e giornalista pubblicista. Dirige la collana di testi filosofici "Erremme" per la casa Editrice Disoblio Edizioni. Dirige le tavole rotonde di filosofia del Centro Internazionale Scrittori della Calabria.