La giovane poesia italiana a Torino
La Libreria della Poesia torna al Salone del Libro di Torino grazie a Pordenonelegge, alla Regione Friuli Venezia Giulia e alle Librerie.coop che l’hanno concepita. Al centro del dibattito ci saranno gli esiti della nuova poesia italiana, in particolare dei nati tra gli anni ‘80 e gli anni ’90 e di chi ha già raggiunto un’indipendenza stilistica e una voce distinguibile.
Sabato 16, alle 17, al padiglione Oval, comincerà Vernalda Di Tanna (1997) con Fraintendere le stelle, la più giovane tra gli emergenti pubblicati da Samuele Editore nella Gialla di Pordenonelegge. Se domenica 17, alle 10, Tommaso Di Dio e Roberto Cescon entreranno in medias res con Elisabetta Zambon, a seguire, alle 18, Erminio Alberti (1987) presenterà con Rossella Pretto e Marco Amore La vita, le gesta e la tragica morte di Serlone d’Altavilla detto Sarro (Samuele, 2017): «E, / con la tempesta, / come la tempesta nella tenebra / giungeremo a far sussultare / le finestre, chiuse per il sonno». Quando il presente fa impressione, o peggio si annichilisce e precipita nella rassegnazione, ecco che la tradizione sorregge il poeta come un’armatura lucente esposta a una mischia di banalità, come le metafore indossate da Luzi o la «ferma corazza» di Giancarlo Pontiggia per non sacrificare la propria coerenza.
Si tratta di una generazione per la quale Leopardi è valso quanto un santo. Di fronte alla moltiplicazione tutta occidentale di ambiti privi di stimoli e all’impoverimento di qualità letteraria sugli scaffali i poeti rispondono: «io vorrei che fossimo ancora vivi». L’endecasillabo epifanico di Giulia Martini, classe 1993, chiude il testo più vibrante di Coppie minime (Interno Poesia, 2018), un tributo a Dante e alle sue Rime, quasi non si fosse mai estinto. La lingua della Martini si ribella all’appiattimento quotidiano per riscoprire le radici fonetiche dell’italiano.
“Tempo non è resistenza…” – lo dice anche lei / mentre pensa – che poi resistere vuol dire durare: / “Soffia via il male, come hai soffiato via i demoni, / liberaci adesso, spingi lontano, sarà più facile”. Con il nuovo Dal deserto rosso, edito di recente da Stampa2009, Maria Borio (1985) trafigge l’attualità e ne stigmatizza le contraddizioni. D’altronde, si scrive in versi per ingaggiare una lotta con il reale e con il proprio contemporaneo. Lotta che il poeta non sa come andrà a finire: qual è lo scarto tra i meccanismi dei rapporti interpersonali e l’esperienza scaturita dai rapporti stessi? Tra ciò che si realizza e ciò che l’individuo trattiene?
«Fosse l’incrinatura talento o / germoglio, baderesti a piantare / erosioni per inginocchiarle alla / specie degli inizi». Alcuni versi essenziali tratti da La consegna delle braci, appena pubblicato da Luca Sossella, che Giorgiomaria Cornelio dedica a Remo Paganelli. Nelle sue parole inaspettate è riconoscibile la medesima umana volontà di preservare la bellezza che Simone Weil liberava in Venezia salva con un’ispirata forza incorruttibile. «Ha ventiquattro anni – commenta il suo editore – ma porta secoli sulle spalle e nel contempo i suoi ragionamenti s’infuturano sempre».
Per nessuno di questi autori fare poesia significa fuggire dalla realtà, o non concepirla. Scrivere è un atto di coraggio e di passione – nel senso etimologico del termine – una condivisione sofferta ma necessaria per accettare il cambiamento: «Non la qualità delle cartucce sarà / a stendere la preda di chi caccia / a vista nella nebbiosa pianura; / bensì la quantità di coscienza, il male conseguente al male».
In Fortissimo (2019) il trentaquattrenne Matteo Bianchi da postmoderno consapevole riconosce nella società liquida di oggi la positività di quello che è molteplice, frammentato, polimorfo e instabile. Il prosimetro in questione rimane una delle raccolte più convincenti della collana Cleide di Minerva, curata da Cinzia Demi e da Pontiggia. Lo stand dell’editore bolognese quest’anno è ancora più esteso per ospitare i firmacopie dei suoi poeti.