Federico Rossignoli, Gent e altre poesie, Gli e-book di Laboratori di Poesia, Samuele Editore 2021, pag. 50.
La raccolta di Federico Rossignoli, triestino, musicista e concertista, si apre con questi versi “Nulla vale la vita/ma vale tramandare/l’urlo che ora senti risuonare/e come fumo s’avvita”.
Le prime poesie, Vlada e il serpente (Epitaffio), Il banchetto, Archeologia, ci portano immagini di scomparsi, può essere Vlada, quattordici anni, “con una tunica e stola striate”; o una ragazza morta sotto il sole feroce d’estate in mezzo ad una fila di macchine, o “settantuno ostaggi” ricordati in un monumento. Ma allo stesso tempo rimangono nella mente e negli occhi immagini di colore, calore, vita: “motivi di tigre arcobaleno e pelle di pesca”; “il sole frinisce i campi/verdi come canzoni”; “la stella sul recinto, un tempo rossa/degrada sull’arancio”.
E’ una costante, questo contrasto morte/vita, che arriva a sottolineare l’indifferenza davanti alla morte, quando i vacanzieri invertono la rotta sulla strada e poi a sera si preparano un bella grigliata di pesce, innaffiata di vino. Il riferimento ai pesci che “morirono sulla graticola” risuona come parallelismo consapevolmente dissacratorio.
Salti improvvisi ci accompagnano intanto lontano nello spazio e nel tempo, a riflettere su come ogni epoca ha avuto la sua dose di dolore.
C’è talora un che di mistero, un ammiccare senza dare risposta: “qui ci sono un sacco di vestiti colorati/in modo compromettente”. E un eros diffuso “avevamo scientemente bevuto troppo/mentre il vento senza vestiti a letto/gli occhiali appoggiati sopra i profilattici”, dove si sposta la nudità sul vento.
Il sole/vita torna di frequente, luce agognata da chi vive in posti che ne sono avari “gente famelica di sole e luce”; anche se “di solito non amo stare al sole”, e il calore si cerca in frequenti bevute “continuiamo a rigirare i bicchieri/come potrebbe il mare trasparenti” mentre fanno capolino un cimitero e dei cipressi in fiamme.
Luce è anche l’ora d’oro “E’ chiamata così quella porzione/di tramonto che copre d’oro azteco/case, strade e trafigge parabrezza”. Eppure anche qui arriva il contrasto racchiuso nell’ossimoro: “la ferocia non pregata e splendente/che da sempre mangia in piatti sbreccati”.
Vita e morte vanno a braccetto senza drammaticità, con la naturalezza delle legge universale: “La morte mormora ma senza opporre/nient’altro che libellule, il volere/dei rospi e dei ranuncoli”, mentre un volo di aironi si innalza verso sfere più alte.
La natura con le sue creature porta un respiro sereno, può essere l’orbettino immobile “come un taglio di sibilla tra i sassi” in attesa della pioggia – qui il contrasto è suggerito dalla dura allitterazione -, ma compaiono anche gatti, ricci, cinghiali, in un’ estate che esplode in mezzo alle case di Trieste, quando tuttavia i gabbiani “urlavano”. Compaiono cardi dal duro stelo, il melo cotogno, i passeri e i fiori, le api. Si respirano profumi di mare, di pini, di assenzio, nelle terre di confine e sulle isole.
Se il freddo se ne va: “Senza farsi capire/il freddo se n’è andato/goffo come un fagiano”, anche con strascichi metereologici: “Da non credere: i fiori/stanno reggendo il peso/della neve di aprile/fredda e primaverile”, e tutto sembra aprirsi al bello, il Male è sempre pronto, vicino: “La donna è andata, con un canto fermo/tra i muscoli, doloroso da muovere”, il Male che “può permettersi quello che vuole” mentre l’Amore vive di scarti: “L’amore invece prospera/degli avanzi che lascia il suo Signore”.
Ma è l’amore l’unico guadagno della vita “Il guadagno che innamora/sono i giorni che nei suoi occhi perdi”. Ed ogni separazione da lei è dolore, anche quello della buonanotte, se non fosse che l’alba arriva a consolare: “E’ l’alba. Vieni con me in questa parte di letto/come due chicchi d’uva diventiamo più dolci”.
Forte è la presenza del tu: “Sei tu che questo tempo lo cavalchi/e frusti fino a farlo stramazzare/e per farlo non ti serve indossare/nulla, né paure, che come palchi/di cervo lasci nel bosco, nemmeno/il mio sguardo, che su di te di te mi fa pieno”.
Perché la risposta alle domande, alle ombre, ai contrasti, è l’amore, nostro padrone, quello che ci guida – che ci dovrebbe guidare- in ogni momento e scelta; ma va alimentato, incitato, perché fugge via veloce: “L’Amore ci guida standoci in groppa,/mi infila in bocca il piede come staffa./Cavallo da incitare in ogni modo/e quello tanto corre da diventare ieri”.
Un percorso poetico che contiene scientemente, credo, una negazione dell’apertura: “Se è vero che la vita non ha senso/perché ognuno glielo possa trovare./sentite allora questa”. Passo dopo passo si è trovato il senso.
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