19 Dicembre 2024
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Lodovico Festa, La provvidenza rossa, Sellerio, Palermo 2016

«Il Pci era una bestia particolare, così l’aveva costruita Togliatti nel secondo dopoguerra. Prima del ’45 era stata un’organizzazione di quadri: iscriversi implicava accettare grandi rischi e una disciplina di ferro. Dopo il ’45 Togliatti immaginò un partito per un verso aperto a un ampio settore di popolo, in cui di fatto contassero molto anche in non iscritti, persino gli iscritti ad altri partiti come una parte dei socialisti, dall’altro, però, volle una forza politica ancora ben centrata su una macchina che continuasse ad avere la stessa efficienza dell’antica piccola organizzazione di quadri; impegnata e rodata nella clandestinità durante il fascismo, la lotta partigiana, nei  rapporti con il Komintern, in occasioni rivoluzionarie come la guerra di Spagna».
Quest’ombra di Togliatti è presente pure nel 1977 e precisamente nei diciannove giorni che vanno da lunedì 31 ottobre a sabato 18 novembre. Lodovico Festa scrive questo suo libro avendo bene in mente un atomo (teorico) e un nucleo (esistenziale). Il tutto inserito in un ciclo (socio-storico-politico: Guerra Fredda, linea del partito, linea del partito rispetto a Mosca) e in diverse reti (servizi segreti russi e italiani, quadro geopolitico internazionale, area o «campo socialista»), oltre che facente parte di diverse anomie – rapporti di potere (tanto per citare Foucault) tra il Partito Comunista Italiano e le forze di polizia, «aree grigie» nelle quali si inseriscono provocazioni, provocazioni fasciste, provocazioni fasciste «compiute da qualche terrorista sedicente rosso», problemi di sicurezza «da imputare a un governo» a maggioranza democristiana, garanzie della «sicurezza» dei cittadini ottenute «senza cedere però i diritti democratici» – e, infine, di una «moltitudine» (compagni, attivisti, dirigenti del Pci, quadri neofascisti, militanti dell’Msi, partigiani).
In sostanza Festa imbastisce un «quadro» dove perentoria emerge e si erge l’ombra di Togliatti … E di Claudio Baglioni. «L’unica critica che fece alla Calchi il segretario della sezione fu quella sull’amore dell’assassinata per le canzoni di Claudio Baglioni, una colpa abbastanza grave per una comunista militante negli anni Settanta, e alle poesie di Jacques Prévert».
«Meno male che c’è la Carla – aggiunse poi – e che l’indagine è provvidenzialmente finita. L’ingegnere era evidentemente turbato, mai, altrimenti avrebbe pensato una frase così a metà tra Claudio Baglioni e Achille Occhetto».

Baglioni a parte – e Battisti ascoltato da un manipolo di militanti dell’Msi che stanno facendo un picchetto davanti a una scuola – la storia rappresentata in questo libro è presto detta. C’è la compagna Bruna Calchi, fioraia (e qui il vostro recensore non può fare a meno di citare la «copertura» del Gruppo T.N.T., tra la quinta e la sesta strada di New York City, che era appunto un negozio – nel libro di Lodovico Festa un  «chiosco» – di fiori:  mai citazione fu più appropriata!) viene brutalmente assassinata da una sventagliata di mitra davanti al proprio esercizio commerciale. Come si scoprirà presto: «I proiettili erano di calibro 9 mm parabellum, di fabbricazione tedesca, anni Quaranta. Il mitra usato era, al 99 per cento una Mp40, la Maschinepistole 40 in dotazione alle truppe tedesche della Seconda Guerra Mondiale, non facile da reperire». Partono subito tre indagini parallele come le rette destinate a non incontrarsi mai: quella gestita da Giuseppe Dondi e Mario Cavenaghi per conto del Pci, quella – ufficiale – di Francesco «Ciccio» Modena e Calogero Gerace delle forze di polizia e quella (alla quale le prime due attingono informazioni) dei giornalisti milanesi.
Milano è dunque il «quadro» nel quale si rincorrono le «piste» più diverse: delitto passionale? Omicidio politico? Spionaggio? Controspionaggio? La dolce «madre Russia» con le sue «ombre lunghe»? Femminicidio? Un’operazione terroristica? Di destra? Di sinistra? Un collegamento tra il mercato dei fiori, nella zona del Sempione, e i neofascisti? Un antico deposito di armi sottratte alla Wermacht magari dai partigiani? Strane attività davanti al chiosco di fiori della Calchi? Il racket delle tombe e dei funerali? Droga? Rigurgiti – parapolitici – di una certa esperienza in Nicaragua da parte di una certa brigata sandinista? Prostituzione? Qualcosa che ha a che fare con i box di piazza 6 Febbraio? ‘Ndrangheta? Mafia?

Lodovico Festa è abile – e il suo libro è un libro davvero «abile» – a mischiare personale e politico, vecchio e nuovo, disciplina di partito e indagine poliziesca. Ma su tutto – su tutto «l’apparato» di quello che era stato il vecchio Pci rimane fissa e indelebile, ancora una volta, l’ombra di Togliatti.
«Nel Pci non tutto era come appariva. Una certa democrazia della vita interna del partito, la passione dei militanti, l’attenzione verso la gente (quella che la langue de bois definiva le masse), i faticosissimi riti partecipativi non erano certo finzioni. Ma trascurare la doppiezza del partito, apertamente rivendicata dallo stesso Togliatti, per evidenziale come lo spirito essenziale della militanza comunista consistesse nel vivere nelle istituzioni democratiche ma per il loro superamento in senso socialista, sarebbe stato un grave errore».
«Togliatti si era proposto nel ’45 di rifondare un partito uscito dalla lotta clandestina che avrebbe dovuto resistere in una società condannata dal patto di Yalta a restare per un lungo periodo nella parte occidentale e capitalista dell’emisfero. Non aveva così mancato di pensare ad ammortizzatori che rendessero più agevole di una forza politica organizzata in una logica antisistema e quindi tendenzialmente precaria. Aveva reclutato, senza farsi alcuno scrupolo, una leva di ex giovani fascisti, dando un rinnovato senso a una carica di ribellione che da gufini cioè militanti del Gruppo Universitari Fascisti, avevano dimostrato durante il regime mussoliniano». Certo, il «Migliore» (con la supervisione sia pure ideale di Antonio Gramsci) aveva saputo creare il «Migliore» partito che si proclamava «l’avanguardia della classe operaia» e formato da «rivoluzionari di professione».

Lodovico Festa ci regala una «chiave» che parte da un «atomo» composto da elettroni, protoni e neutroni; gli ultimi due di questa serie formano il «nucleo» (penetrando in una struttura composta da vari livelli e scavando a trivella sempre di più durante il corso dell’indagine) che è costituito da un duplice elemento di osservazione: maldicenza, delitto d’impeto, forse la causa del delitto è … Una «mancata elezione alla presidenza del circolo Lorca». Dentro l’«atomo» ci sta il racconto di questa storia – gli «elettroni» sono le reti, i cicli, le anomie e le moltitudini di cui si è detto e delle quali è costellata la brillante narrazione di Festa – che si dipana tra travisamenti e sviamenti, false piste e concrete tracce, assenze di alibi e confessioni improvvise.

Gianfranco Cordì

Gianfranco Cordì (Locri, 1970), ha scritto dodici libri. E' dottore di ricerca in filosofia politica e giornalista pubblicista. Dirige la collana di testi filosofici "Erremme" per la casa Editrice Disoblio Edizioni. Dirige le tavole rotonde di filosofia del Centro Internazionale Scrittori della Calabria.