“E’ stata la mano di Dio” (di P. Sorrentino, ITA 2021)
Si associa spesso l’estetica di Sorrentino a quella di Fellini. Fellini è citato anche in questo film (se ne immagina un provino per il protagonista aspirante attore, se ne ascolta la voce). Se c’è un film al quale sembra lecito assimilare E’ stata la mano di Dio questo è Amarcord: in quanto racconti di formazione, con la donna, e la donna matura e prosperosa come mito, con il problema dell’iniziazione sessuale, ma poi i ricordi vividi dei luoghi fisici, della bruttezza fisica di persone deformi o squilibrate, delle mangiate familiari, della cronaca politica e sportiva del tempo lontano. Qui, l’inizio del film è dominate dalla conturbante presenza scenica di Luisa Ranieri, la zia Patrizia dei due fratelli Schisa, il diciassettenne Fabietto e il maggiore Marchino, e poco importa che in talune sequenze ci siano piccole cadute in basso verso il cinema pruriginoso alla Salvatore Samperi, Laura Antonelli, Alessandro Momo: cose di quasi mezzo secolo fa. Molto più importante, e quanto efficace, quanto “vera”, l’alternativa che i due fratelli in camera di sera si rivolgono, al ritorno di una gita in barca dove Patrizia si è offerta nuda, con la sua scandalosa spregiudicatezza, allo sguardo del parentado e dei due giovani (nella foto qua sopra, tutti guardano lì): cosa si dovrebbe preferire? Un rapporto sessuale con la zia o che Maradona, il più grande giocatore del tempo (e già si riteneva, di sempre… e ricordiamoci che un finto Maradona compare esibirsi in palleggi con palline da tennis in Youth-La giovinezza, 2015), si trasferisse al Napoli? Il pubblico più giovane e inesperto di calcio si sarà interrogato sulla genesi, oltre che sul senso, del titolo della pellicola. Diego Armando Maradona nella stessa partita tra Argentina e Inghilterra dei mondiali del 1986 durante la quale segnò uno dei gol più belli e famosi della storia del calcio, disegnando una traversata del campo – oggi si direbbe coast to coast – con il pallone incollato al piede fino a depositarlo in rete, fu anche capace di segnare un altro gol con la mano mescolata alla chioma, con un gesto sapiente e quasi invisibile (senza VAR). Ma la domanda sul significato del titolo rimane nella sua concretezza. “E’ stata la mano di Dio” a fare cosa? A rappresentare cosa nell’economia del film? Perché a ben vedere la questione di Maradona, del suo arrivo a Napoli, è più un’aspettativa messianica, almeno nella ricostruzione di Sorrentino-Fabietto, che non una panacea (non si usi il ridondante “panacea di tutti i mali”: panacea è in sé “rimedio a tutto”): quando il dolore per la tragica perdita dei genitori lo colpisce, lo inabissa ma lo educa e lo fa diventare adulto come in un rito di passaggio basato sulla difficile accettazione della perdita, così diverso dal diventare adulto del suo caro fratello Marchino. E Maradona non aiuta. Ma la risposta sta proprio qui (si veda il PS): Fabietto si è salvato perché una domenica, anziché recarsi in campagna con i genitori, è autorizzato ad andare allo stadio a vedere la sua squadra. Però, al tempo stesso, Franchino non gioisce più di tanto quando il calcio partenopeo e il tifo partenopeo esplodono fino allo scudetto grazie al 10 argentino come per un riscatto e una compensazione. Lui sta crescendo, vuole fare il cinema, non è sereno, ma è vivo e libero, Maradona o no.
La mdp di Sorrentino si muove magistralmente, con piani sequenza, dollies… a mezza altezza, zoom, scenografie estetizzanti. Ottima la direzione degli attori (dal giovane Fabietto, Filippo Scotti, al veterano Toni Servillo, Saverio, padre dei ragazzi Schisa, alla brava Teresa Saponangelo, Maria, madre dei ragazzi Schisa) nel complesso godibile la sceneggiatura. Se rimproverassimo a Sorrentino di mettere in scena momenti di surrealismo fini a se stessi, personaggi eccentrici e vistosi coi quali Fabietto entra in contatto, una baronessa, un contrabbandiere violento, un improbabile regista cinematografico, rimproveremmo a Sorrentino di essere quello che è. Piuttosto, in un film come questo, ci sembra abbia talvolta ecceduto nelle concessioni alla “napoletanità”, con toni oleografici e pubblicitari, con clichés forse destinati a compiacimenti festivalieri internazionali. Ma averne, di occasioni simili per stare 130′ in sala. Il film è da poco arrivato sulla piattaforma Netflix.
P.S.
In una intervista del 2016 al Corriere della Sera, Sorrentino diceva:
“A me Maradona ha salvato la vita. Da due anni chiedevo a mio padre di poter seguire il Napoli in trasferta, anziché passare il weekend in montagna, nella casetta di famiglia a Roccaraso; ma mi rispondeva sempre che ero troppo piccolo. Quella volta finalmente mi aveva dato il permesso di partire: Empoli-Napoli. Citofonò il portiere. Pensavo mi avvisasse che era arrivato il mio amico a prendermi. Invece mi avvertì che era successo un incidente. Papà e mamma erano morti nel sonno. Per colpa di una stufa. Avvelenati dal monossido di carbonio.”