Tullio Avoledo, L’elenco telefonico di Atlantide, Feltrinelli, Milano 2021
Questo libro di Tullio Avoledo si snoda come un treno. Ci sono un sacco di personaggi, ci sono un sacco di situazioni, ci sono passaggi narrativi veramente originali e, alla fine (all’arrivo in stazione) si resta con l’amaro in bocca. So che molta critica nostrana ha apprezzato questo romanzo d’esordio ma proprio su questo termine, «romanzo» si gioca tutto il fraintendimento. Finalmente, verrebbe da dire, un romanzo che fa (e sa fare) solo il romanzo ma, dall’altra parte: troppa carne al fuoco, troppe pagine (su alcune maledettamente corre il treno della noia da parte del lettore), troppi colpi di clacson sparati, di nuovo, contro il lettore che vorrebbe (o avrebbe voluto) leggere solo un romanzo.
Avoledo è presuntuoso? Il suo romanzo è pretestuoso? Le cose in questo caso non sono semplici. «Romanzo» si diceva, ma «romanzo» che si può definire tale? La storia è presto detta: c’è un certo Giulio Rovedo dell’«Ufficio Legale» della «Cassa di credito cooperativo del Tagliamento e del Piave». Banca appena acquisita dalla «Bancalleanza» che, per suo conto, è un ufficio di credito della multinazionale «Covenant Foundation». Giulio ha come colleghi Tarassi, Canzian, Cecilia Mazza (con la quale avrà anche una storia di sesso), e come direttore Carlalberto Merzi chiamato «Culo di ferro» rispetto a questa cosa dice Avoledo: «Soprannome che condivide con Viačslav Molotov».
Se questa è la sua vita professionale nella sua vita privata troviamo una moglie, Natalie e un figlio di quattro anni e mezzo Olivier. Giulio è costretto a dividersi fra due abitazioni distanti fra loro 22 km: Bagnasco (dove abita con la famiglia) e Pista Prima; dice ancora Avoledo: «Così un pomeriggio di ottobre del ’96 la famiglia Rovedo aveva abbandonato il Nobile, dove Giulio torna ormai – con rarissime eccezioni (una sera di nebbia fitta, un guasto alla macchina, o come in questo caso un viaggio in treno in ore antelucane ) – solo per ritirare la posta e controllare che la porta sia ancora in piedi». Se Giulio abita al quarto piano del condominio «Nobile» al quinto ci vive la «causa» di quel trasloco: Aurelio Fabrici, l’uomo il cui padre (Federico Fabrici coniugato con Nevia Marsanich) ha perduto una gamba da morto. Il «rapporto» tra i due è indicato da Avoledo: «Giulio odia Fabrici di un odio assassino. Se potesse aprirgli il costato e mangiargli il cuore a crudo lo farebbe, vincendo lo schifo. Ne ha progettato e attuato a mente così tante volte l’omicidio e lo smaltimento del cadavere, che le varie volte in cui lo incontra per strada ha l’impressione di vedere un fantasma». Altri «figuri» del «Nobile» sono: il ragionier Biasizzo, per esempio, ma anche l’occupante dell’attico: il geometra Vittorio Vandermann (che tanta parte avrà nella vicenda). Altri personaggi di altri luoghi sono Emanuele Libonati (ma sarà proprio lui?), Axel Gottman (nonno di Amon), Adolf Gottman (padre) congiunti di Amon Gottman (il figlio di Adolf). In ordine sparso compaiono anche Moishe Anelewicz detto Moishe «Il Matto», Maurizio Calzavara chiamato «Maurilio» … Anselmo Carozzi, «addetto alla camera ardente» e il dott. Lechner e altri. Dunque i personaggi ci sono: la storia c’è.
In questo senso Avoledo si presenta fin da subito come grande «romanziere» – è il «romanzo», purtroppo, che traballa. Teatri della vicenda (intricatissima) sono i mondi paralleli, l’antico Egitto, la gnosi cristiana, la teodicea e la Fonte dell’unica goccia oltre che l’Arca dell’Alleanza. Ma il senso del libro (e qui Avoledo è bravissimo) è lasciato alle parole di Giulio il quale a un certo punto pensa della morte: «Non si va da nessuna parte, non c’è nessun altro posto. Si spegne la lampadina e via».
Da vedere questa considerazione con un’altra: gli americani dicono «things appen»: le cose succedono. E di «cose» ne succedono davvero tante in questo «romanzo»: incendi di abitazioni, rinvenimenti e scoperte straordinarie, tradimenti, doppi giochi e doppio giochisti, movimenti internazionali di aziende Multinazionali (e transnazionali), campi di sterminio nazisti, due divinità egizie (Apophis e Amon), amici che hanno l’AIDS … Il tutto condotto non come un’indagine – da parte di Giulio – ma piuttosto come un volo d’uccello lungo un territorio. Una ricognizione. Condita da una certa qual dose di scetticismo. E abbeverata da ragionamenti che toccano l’estremo limite del possibile ma anche – come nel caso di Aurelio Federici – gli immediati bisogni umani.
Ma che storia dunque è mai questa? Libonati dice: «Niente è per caso. Tutto quello che sembra accada è in realtà determinato da una volontà superiore. Guardi che non voglio convincerla di niente. Io stesso fatico ad accettare quello che a volte vedo accadere intorno a me. Sono attratto dalle coincidenze, spaventato dal modo in cui eventi remoti e senza rapporto apparente s’intrecciano, generando fatti altrimenti inspiegabili. Lei crede di vivere nel mondo della ragione, del principio causa-effetto. Anch’io vorrei crederci. Ma quella che vediamo è solo l’ombra del mondo».
Questa «ombra del mondo» è la vera protagonista del romanzo di Avoledo ma è anche la conferma del rappresentare un «falso indizio» verso il «romanzo». Tullio Avoledo, infatti: inanella situazioni su situazioni fino al finale del tipo «Tre uomini e una gamba». Giulio, Maurilio e Gottman rinvengono una «gamba» mummificata e la storia prende tutta un’altra direzione rispetto al modo con il quale era partita. Siamo alla resa dei conti. Avoledo scrive: «Allora, innanzitutto vorrei chiedervi se siamo tutti d’accordo su tre affermazioni. La prima è: Dio è onnipotente. La seconda: Dio è puro bene. La terza e ultima: nel mondo accadono cose terribili. Vedo che nessuno le mette in discussione. Eppure le tre proposizioni non possono essere accostate che a due a due. Tutte e tre insieme diventano contraddittorie. Si può dire che un Dio onnipotente permetta che accadano cose terribili, ma un Dio del genere non può essere puro bene. D’altro canto possiamo dire che esiste un Dio puro bene, e che il male accade perché egli non ha il potere di impedirlo. Ma in tal caso è falsa l’affermazione per cui Dio è onnipotente. Questo è il dilemma cruciale di tutte le religioni monoteiste. Lo stesso Tommaso d’Aquino ha dovuto ammettere che l’esistenza del male è l’argomento più forte contro l’esistenza di Dio». Avoledo non si ferma qui. Ma il «respiro» del romanzo è questo: appare chiaro a questo punto perché si diceva che non siamo in presenza propriamente di un «romanzo».
A causa di questo «respiro» una congerie di personaggi, un susseguirsi di situazioni, un succedersi di strade e piste. Ma quello che sembra mancare è un punto fermo!