19 Dicembre 2024
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Michele Giannini, El Niño del Secolo, OpzioniEditionsProjects 2021, pp. 96

Al fenomeno climatico del Niño si attribuì l’eccezionale ondata di caldo che nei mesi estivi del 1998 colpì l’Europa. Michele Giannini (Lucca 1987) la fa sentire addosso, quella calura, nei due racconti El Niño del Secolo e La corsa. Asciutta, essenziale, visiva, è la prosa di Giannini, direi da sceneggiatura cinematografica, sulle orme della tradizione letteraria toscana -ma rimanda anche alla grande letteratura americana del ‘900 – in un muoversi all’interno di una periferia con campi bruciati dal sole che si alternano a capannoni industriali, una strada a scorrimento veloce che la attraversa, colline che ammorbidiscono i contorni, montagne sullo sfondo.

Rumore di auto che passano e voci stridule di cicale, questo nel primo racconto lungo. Ma declivi disegnati sapientemente da vigneti e olivi, con l’affaccio sull’occhio blu della piscina di una villa, nel secondo racconto. Contesto ben noto a chi vive in quella magica parte della Toscana che è la lucchesia.
Un contesto che vibra di strane presenze: ogni forma concreta sembra animarsi, come nei cartoons: un camion “barrisce”, una lattina schiacciata “sembra che tirasse dentro la pancia”; lo scorrere delle auto è simile al “russare un po’ nervoso di un gigante”; a una cabina telefonica solitaria fa compagnia un lampione; dalla strada meno trafficata sembra provenire un soffio leggero, come se “riprendesse fiato”.

Anche Marcello, appassionato di western e degli 883, assomiglia a un cartoon che nuota nella sua divisa da lavoro troppo grande: “Col dito uncinò il colletto e lo tirò, fino a che non sentì la stoffa opporre resistenza. Nel far ciò, pensò che se fosse stato in un cartone animato avrebbe visto fuoriuscire dal colletto una densa nuvoletta di vapore”.
Marcello è uno studente che frequenta il liceo in città provenendo da un paesino della periferia, rimasto isolato, anonimo, in mezzo a ragazzi di famiglie borghesi, lontano dai loro interessi: “storcevano il naso di fronte alle sue felpe sgualcite e ai suoi scarponi fuori moda”. Vive con la madre, figura di poche parole, che fa lavori umili, che vuole per lui un titolo di studio che gli serva da ascensore sociale, ma lo studio non lo appassiona, non ne sa ancora riconoscere l’importanza.
Non riesce a immaginarsi da adulto. Sa comunque che ora non ama i voti che “sono numeri e i numeri non dicono un bel niente, i numeri servono solo a fare le classifiche”. E’ taciturno, riservato, eppure sa che “ci vorrebbero più parole forse” ma a lui “mancano anche quelle”.
Non riesce a accettare la separazione dei suoi e di scarso aiuto è la comparsa saltuaria del padre davanti alla cui sicurezza si chiude ancora di più.

Tutto ciò per guidare il lettore nella giornata di Marcello – una mezza giornata delle vacanze estive – ma il tempo si dilata, se ne perde la percezione nel seguire il ragazzo in ogni suo momento, in ogni sua scelta, in ogni sua emozione, pensiero, reazione.
Nella stagione che significa libertà senza confini, la madre lo ha mandato a lavorare al distributore di benzina dello zio, per punizione, perché è stato bocciato. Lui non si ribella, accetta, e parte in bicicletta per un lungo percorso ogni mattina. Pigia sui pedali per recuperare il ritardo, serve i clienti con il timore del principiante, silenzioso ascolta opinioni e volgarità che non condivide, scoppia di caldo nella divisa da lavoro. Ogni cliente che si ferma mostra ai suoi occhi un esemplare della così varia famiglia umana, con tutte le sue stranezze. Non sente il fascino delle auto, nemmeno di quelle più di lusso, tantomeno dei soldi a cui non sa attribuire valore.
Una bibita fredda al bar vicino gli offre un momento di refrigerio e la consolazione di una figura femminile sul cui seno il suo occhio si posa, alla scoperta della donna e della vita: “Aveva il seno prosperoso, una quarta o una terza abbondante”. Per ora il suo contatto con le coetanee è stato impacciato, deludente.

Ma non è tutto qui Marcello: dietro alla sua figurina dall’aspetto remissivo c’è un pensiero fervido ed una ancora più viva immaginazione, che gli permettono di astrarsi dal contesto, di prendere altri panni, altro passo e altra sicurezza.
Non solo il tempo, ma anche lo spazio si dilata, e il campo di granturco oltre la strada diventa uno spazio infinito, una selva in cui rifugiarsi, salvarsi, vivere libero: “Poi rivolse uno sguardo, intenso, al campo di granturco di là dalla strada. Socchiuse gli occhi e la sua mente ne approfittò per fuggire lontano. Vide un mare di polvere rossa dispiegarsi in ogni dove. Vide capodogli di roccia fuoriuscire dalle sabbie e stagliarsi maestosi contro il cielo. Vide se stesso di spalle, con una lunga ombra che gli colava ai piedi”.

Il finale è a sorpresa, un punto a favore di Marcello, che si ribella a ciò che altri hanno scelto o vogliono da lui, che interrompe “la frenetica girandola del mondo”: lo fa in modo pacato ma deciso, come l’uomo adulto che ancora non è. “Ed è una ribellione che esplode, diventa esplicita, e almeno per un momento azione. In un finale imprevedibile e poetico. E’ l’attimo trascendentale, in cui Marcello va oltre la sua storia, oltre se stesso, quello che finora era stato”, scrive Gianni Quilici nella postfazione.

Delicata e profonda capacità di addentrarsi nella psicologia adolescenziale, quella di Michele Giannini, che nel secondo racconto, La corsa, si sofferma sulla curiosità di due ragazzi verso il corpo femminile, quasi a rispondere alle esigenze di Marcello. Una lunghissima attesa su un poggio, con il cannocchiale puntato verso una piscina dove dovrebbero apparire giovani ragazze straniere. La fantasia corre, insieme agli ormoni. La tensione si fa sempre più forte, poi la delusione si addolcisce con una prova di amicizia profonda, segno delle infinite possibilità di evasione della fantasia degli adolescenti.

Marisa Cecchetti

Marisa Cecchetti vive a Lucca. Insegnante di Lettere, ha collaborato a varie riviste e testate culturali. Tra le sue ultime pubblicazioni i racconti Maschile femminile plurale (Giovane Holden 2012), il romanzo Il fossato (Giovane Holden 2014), la silloge Come di solo andata (Il Foglio 2013). Ha tradotto poesie di Barolong Seboni pubblicate da LietoColle (2010): Nell’aria inquieta del Kalahari.