19 Dicembre 2024
Words

Russia vs. Ucraina

Da cosa nasce il conflitto fra Russia e Ucraina?
A febbraio 2014, il popolo ucraino ha cacciato il presidente filorusso Viktor Yanukovich, instaurando un governo ad interim filoeuropeo non riconosciuto da Mosca. Vladimir Putin ha risposto annettendo la Crimea e incoraggiando la rivolta dei separatisti filorussi nel Donbass , regione nel Sudest del Paese. Oggi le generazioni più giovani spingono l’Ucraina verso l’Europa, e anche l’attuale presidente Volodymyr Zelensky — eletto nel 2019 — è vicino all’Occidente.
Il conflitto, però, ha radici più antiche e profonde (ma questo lo vedremo più avanti). Il presidente russo ritiene che il suo Paese abbia un «diritto storico» sull’Ucraina, che faceva parte dell’Unione Sovietica fino al collasso del 1991: lo ha anche scritto apertamente in un lungo articolo pubblicato lo scorso anno, in cui definisce Russia e Ucraina «una nazione».
Il crollo dell’Unione Sovietica ha lasciato profonde cicatrici in parte del popolo russo: lo stesso Putin lo aveva definito «la più grande catastrofe geopolitica» e l’Ucraina era stata la perdita più dolorosa. In molti, scrive David Sanger sul New York Times, ritengono che Putin si ritenga ora «in missione per correggere questo errore».

 

Perché ora?
Lo scorso anno, l’Ucraina ha approvato una legge che proibisce a 13 oligarchi di possedere dei media per influenzare la politica, colpendo direttamente l’amico di Putin Viktor Medvedchuck, uno degli uomini più ricchi del mondo. Oltre alla sua attività di petroliere, infatti, Medvechuck — che è ancora ai domiciliari, accusato di altro tradimento — è il leader del principale partito filorusso d’Ucraina, Piattaforma dell’Opposizione, ed è proprietario di un impero televisivo attraverso il quale diffondeva la propaganda di Mosca e influenzava la politica ucraina. Poco dopo il suo arresto, Putin ha cominciato ad ammassare truppe al confine.

 

Cosa c’entra in tutto questo la Nato?
L’Ucraina vuole entrare nella Nato, la Russia si oppone. Già dal 2008 — in seguito al summit di Bucarest e prima dell’arrivo del governo filoeuropeo non riconosciuto da Putin — Kiev stava lavorando per entrare nell’Alleanza atlantica, che non può però accettare nuovi membri già coinvolti in conflitti. Per essere ammessa, inoltre, l’Ucraina ha bisogno di combattere la corruzione che domina nel Paese e di intraprendere un percorso di riforme politiche e militari. In questo momento, dunque, un ingresso nella Nato è altamente improbabile, anche per l’opposizione della Russia: per Putin l’ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza Atlantica sarebbe il punto di non ritorno, anche se la Russia non ha formalmente alcun potere di veto. L’Ucraina, invece, chiede una timeline precisa per entrare nell’Alleanza atlantica. A questa domanda ha risposto, indirettamente, anche il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden: «La possibilità che l’Ucraina si unisca alla Nato in tempi brevi è molto remota», ha detto il presidente americano. L’interferenza russa, intanto, ha rinnovato anche le ambizioni di Paesi come Finlandia e Svezia, che Mosca vorrebbe tenere fuori dal Trattato nordatlantico.

Perché la Russia teme l’allargamento della Nato?
Al momento solo il 6% dei confini russi toccano Paesi della Nato, secondo il dipartimento di Stato americano. L’Ucraina però condivide con la Russia una frontiera lunga 2.200 chilometri. Il Cremlino vuole soprattutto mantenere la sua sfera d’influenza nell’area, e vuole che la Nato rinunci alle sue attività nell’Est Europa, tornando alla situazione del 1997: da allora sono diventati membri dell’Alleanza atlantica Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Slovenia, Albania, Croazia, Montenegro e Macedonia del Nord. Questo significherebbe che la Nato dovrebbe ritirare le proprie truppe dalla Polonia e dalle tre repubbliche baltiche, oltre che i propri missili da Polonia e Romania. Mosca accusa infatti la Nato di riempire l’Ucraina di armi e gli Stati Uniti di fomentare le tensioni.
Per questo Putin, parlando dopo l’incontro con Macron del 7 febbraio, ha parlato anche del suo arsenale atomico: «Lo capite o no che se l’Ucraina entra nella Nato e tenta di riprendersi la Crimea con mezzi militari, i Paesi europei saranno automaticamente trascinati in una guerra con la Russia? Ovviamente i potenziali militari di Russia e Nato sono imparagonabili, e lo sappiamo. Ma sappiamo anche che la Russia è uno dei Paesi dotati di armamenti nucleari, e che per alcune componenti supera il livello di diversi Paesi. Non ci saranno vincitori. Voi europei sareste trascinati in una guerra contro la vostra volontà».

Putin dice che non invaderà l’Ucraina: è credibile?
I fatti indicano una situazione diversa: in particolare il massiccio schieramento di soldati lungo il confine, il sostegno ai separatisti del Donbass — ai quali è stato fornito mezzo milione di passaporti russi — e la minaccia di dure conseguenze se l’Ucraina dovesse fare qualcosa di provocatorio.
Putin ha inoltre già attaccato la Cecenia nel 1999, la Georgia nel 2008, la stessa Ucraina nel 2014 e la Siria nel 2015. Come nota Henry Foy sul Financial Times, però, si sta verificando anche un approccio piuttosto inusuale per la diplomazia moderna: la Casa Bianca, la Nato e l’Unione europea stanno diffondendo una grande quantità di briefing, informazioni di intelligence, minacce e accuse di vario genere — materiale in genere riservato ai negoziati — al fine di evitare una guerra.
Tutto questo, spiega il corrispondente da Bruxelles del quotidiano britannico, ha esposto al pubblico globale le divisioni del fronte occidentale su come affrontare la Russia.

Ma come giustifica Putin lo schieramento dei soldati al confine?
La Russia ritiene di poter muovere le truppe a suo piacimento all’interno del proprio territorio, spiega il corrispondente da Mosca della Bbc Steve Rosenberg. Non solo: sono in corso anche esercitazioni («programmate») con la Bielorussia.

 

Perché gli Stati Uniti si interessano all’Ucraina?
Come scritto da Giuseppe Sarcina qui, «il presidente americano non ha cercato lo scontro con i russi: la sua agenda era un’altra. Biden è convinto che la crisi ucraina sia piena di rischi anche sul versante della politica interna. Il motivo è molto semplice. Se Putin bluffa o alla fine si arriva a un accordo, saranno in molti a rivendicarne i meriti. Ma se il leader russo attacca e paralizza mezzo Occidente, allora tutti chiameranno in causa le responsabilità, la «debolezza» di Biden. All’inizio del 2021 l’Amministrazione Usa pensava di poter «stabilizzare» le relazioni con il Cremlino, offrendo collaborazione sul terrorismo e un piano graduale di disarmo. Oggi è costretta, suo malgrado, a dover aggiornare la linea politica, preparandosi a uno scontro con Mosca da anni Sessanta. La Casa Bianca, inoltre, non vuole farsi trovare impreparata a nessun livello, a costo di apparire allarmista. Ecco perché, tra l’altro, sta sollecitando i cittadini americani a lasciare Kiev: non si devono ripetere le disastrose e umilianti scene di panico viste a Kabul nell’agosto scorso».
Gli Stati Uniti vogliono di certo limitare l’influenza di Vladimir Putin — temono l’espansione russa nell’Europa dell’Est — e difendere il principio per cui ogni Paese ha il diritto di scegliersi il proprio destino e le proprie alleanze: non solo per l’Ucraina, ma per tutti i Paesi che facevano parte del Patto di Varsavia e che negli anni Novanta sono passati con la Nato.
«C’è una ragione fondamentale per cui gli Stati Uniti e il resto del mondo democratico dovrebbero sostenere l’Ucraina nella sua battaglia contro la Russia di Putin», scrive Francis Fukuyama su American Purpose. «L’Ucraina è una vera democrazia liberale, anche se in difficoltà. La popolazione è libera, in un modo in cui i russi non lo sono. Possono protestare, criticare, mobilizzarsi e votare. Per questo Putin vuole invadere l’Ucraina: la vede come una parte integrante della Russia, ma sopratutto ne teme la democrazia che può proporre un modello ideologico alternativo per il popolo russo».
Secondo Fukuyama, quindi, l’Ucraina oggi è lo Stato in prima linea nella battaglia geopolitica globale fra democrazia e autoritarismo.
La crisi ucraina, inoltre, trascende i confini europei: anche la Cina sta osservando attentamente la risposta occidentale, scrive lo storico, mentre valuta i rischi di reincorporare Taiwan. «A Washington», scriveva ancora Sarcina, «ora è chiaro a tutti che la partita sia doppia. La vice segretaria agli Esteri, Wendy Shelman, lo ha detto esplicitamente: se diamo via libera a Putin, stiamo anche consegnando Taiwan a Xi Jinping».

 

Quali sono le motivazioni storiche di Putin per invadere l’Ucraina?
Per Vladimir Putin, dicevamo, russi e ucraini costituiscono un’unica nazione. La logica conseguenza è che c’è uno Stato di troppo, che nel suo pensiero è naturalmente l’Ucraina. In un saggio pubblicato nel luglio del 2021 — «Sull’unità storica dei russi e degli ucraini» — il presidente russo scrive che la ragione principale per cui russi e ucraini (e anche i bielorussi) sarebbero oggi lo stesso popolo è che tutti sono «discendenti» della «Rus di Kiev», un insieme di tribù slave, baltiche e finniche che nel nono secolo creò un’entità monarchica che comprendeva parte dell’attuale territorio ucraino, bielorusso e russo. L’identità russa, la sua cultura e il suo popolo nascono allora, in territorio ucraino, e solo in seguito si estendono ad altri territori slavi, quelli della Russia attuale. È il principe di Kiev Vladimiro che si converte al cristianesimo, a dare avvio alla lunga storia della Chiesa ortodossa russa . L’Ucraina diventa poi una regione marginale, di frontiera (come dice il suo nome), e viene sottomessa dalla Polonia. La Russia, nel 500, impone la sua egemonia con Ivan il Terribile.

A partire dal 1990 ci sono state tre rivoluzioni in Ucraina:

  • La rivoluzione sul granito nell’ottobre del 1990. Gli studenti protestano chiedendo libere elezioni. Sono le premesse dell’indipendenza ucraina, avvenuta nel 1991.
  • La rivoluzione arancione del 2004, con le proteste anti russe in seguito ai brogli elettorali e l’avvelenamento di Yushenko. Il Cremlino riesce a far eleggere un suo uomo, Viktor Janukovyc.
  • La rivoluzione della dignità o l’Euromaidan, nel novembre 2013 – febbraio 2014: manifestazioni pro europee, dopo la sospensione dell’accordo di libero scambio tra Ucraina e Ue. Le proteste sfociano nella fuga e nella messa in stato di accusa del presidente ucraino filo-russo Janukovyc. La reazione di Putin è l’annessione della Crimea e l’appoggio dei separatisti russi del Donbass, in Ucraina orientale, in una guerra a bassa intensità che dura da allora è ha fatto 14 mila morti.

La lingua è una delle componenti principali dell’identità di un popolo. In Ucraina si parla il russo (prevalentemente a est), l’ucraino (a ovest) e il Surzhyk (nelle campagne), un misto dei due (ma si parlano anche l’ungherese, il rumeno e il tataro in Crimea). La maggior parte della popolazione è bilingue. Il presidente Zelensky, anti Putin, è di madrelingua russa. Ucraino e russo sono lingue correlate ma distinte. La lingua di Stato è l’ucraino, che dopo secoli di marginalità, è tornato ad essere ascoltato soprattutto durante l’Unione Sovietica. Il russo è attualmente ancora molto parlato ma si cerca di disincentivarlo, considerandolo talvolta «la lingua dell’occupante». Nel 2019 è stata approvata una legge che punta a incrementare l’uso dell’ucraino. L’europeizzazione del Paese ha portato con sé un aumento dell’uso dell’ucraino. L’insistenza sulla lingua può diventare uno strumento di nazionalismo e di oppressione delle minoranze. E su questo punto spinge Mosca, come scrive il Washington Post, usando la questione della lingua per dipingere i governanti di Kiev come «fascisti» etnocentrici inclini a tiranneggiare la popolazione russofona dell’Ucraina. L’accusa contro l’emarginazione dei russofoni è stata usata come arma anche per l’annessione della Crimea.

 

Crimea, Donbass, accordi di Minsk e finlandizzazione: la guida.

La Crimea. Nel 1954 la Crimea, penisola a maggioranza russofona, era stata donata a Kiev dal leader (ucraino) dell’Unione Sovietica Nikita Krusciov. Per Putin, riannettere la Crimea alla Russia significa correggere «un’ingiustizia storica». E così, nel 2014, 20 mila militari russi, con il pretesto di difendere la popolazione russofona, prendono il controllo della regione. Poco dopo, l’annessione. Di recente, Internazionale ha parlato di una colonizzazione della Crimea.

Il Donbass. Nel 2014, stesso anno dell’annessione della Crimea, i separatisti filorussi del Donbass, regione orientale molto abitata da russofoni, si scontrano con l’esercito regolare. I ribelli prendono il controllo di parti del territorio, dichiarandole indipendenti con il nome di Repubblica Popolare di Lugansk e Repubblica Popolare di Donetsk. Sono le due «Repubbliche» la cui indipendenza Putin ha annunciato di voler riconoscere.

Gli accordi di Minsk 1 e 2. Nel 2015, come spiegato nel dettaglio da Marta Serafini, Mosca e Kiev firmano un cessate il fuoco che prevede elezioni nelle regioni separatiste e il ritiro delle forze filo russe. È il cosiddetto accordo di Minsk 2 (il primo era fallito l’anno precedente). Ma il protocollo non è mai stato del tutto implementato. Non solo dalla Russia, ma anche dall’Ucraina, come ha sostenuto Fabrizio Dragosei sul Corriere. L’Economist, più anti Putin, avverte: «La Russia sta invocando l’accordo di Minsk per seminare il caos, non per portare la pace».

La finlandizzazione. Con questo termine si intende la neutralità scelta dopo la Seconda guerra mondiale dalla Finlandia, che non entrò nella Nato ma neanche nell’orbita di Mosca. Se l’Ucraina scegliesse di non entrare nella Nato, non sarebbe violato il principio della autodeterminazione dei popoli, anche se il Paese resterebbe di fatto a sovranità limitata. Tra l’altro gli ucraini sono certamente più vicini all’Europa che alla Russia e l’attuale presidente Volodymyr Zelensky, eletto nel 2019, è vicino all’Occidente. Sia Svezia sia Finlandia pensano ora di chiedere l’ingresso nella Nato. Un possibile compromesso — lanciato dall’ambasciatore ucraino a Londra — prevede una moratoria di dieci anni per l’entrata dell’Ucraina (che al momento non ha neanche i requisiti).

Il gas. Dall’Ucraina (che è sempre stato anche il granaio della Russia) passa il 37 per cento del gas naturale diretto dalla Russia verso Occidente. Il 40 per cento del gas che usiamo in Italia arriva dalla Russia. È in corso la realizzazione del gasdotto Nord Stream 2, per portare il gas direttamente in Germania dal Baltico. L’Europa ha peggiorato negli ultimi anni la sua dipendenza dal gas e in questo ha contribuito la decisione di dismettere il nucleare in Germania. Naturalmente, la chiusura dei rubinetti è l’arma più forte per la Russia, che ha già ridotto le forniture (tranne che in Germania, in un tentativo di dividere l’Europa). Ma è vero anche il contrario. Per capire l’aumento vertiginoso delle bollette e il rapporto con la crisi in Ucraina, è molto utile l’ascolto del Daily, con Stefano Agnoli e Federico Fubini.

La Nato. L’Ucraina si trova tra l’Unione europea e la Russia e ha ricevuto sostegno e 2,7 miliardi di dollari dagli Stati Uniti, a partire dal 2014. Il timore di Putin è che il Paese entri nella Nato, cosa che viene considerata una minaccia per le frontiere. Il 4 aprile 2008 durante il vertice Nato, convocato a Bucarest, gli Usa fanno pressioni per l’ingresso di Ucraina e Georgia nell’Alleanza, ma non se ne fa nulla a causa dell’opposizione di Italia, Francia e Germania. Nel 2021 la Russia presenta agli Stati Uniti una lista di richieste: la Nato dovrebbe fermare la sua espansione verso est, negare l’adesione all’Ucraina e annullare il dispiegamento di truppe nel blocco di Paesi — da quelli baltici ai Balcani — che si sono uniti dopo il 1997. Ultimatum respinti da Usa e Nato. Per capire la questione dei Paesi del Patto di Varsavia e di un presunto patto non scritto tra Bush e Gorbaciov (per la non espansione della Nato), è utile il Dataroom di Milena Gabanelli e Francesco Battistini.

[di Andrea Marinelli – tratto da Corriere della Sera]