15 Novembre 2024
Words

L’idiozia regna alla Bicocca

“Ancora non so se ci vado oppure no. Ci devo pensare. Non è che mi chiamano e io corro. Non so se voglio andare in un’Università che ha immaginato che Dostoevskvij sia qualcuno che genera tensione. Ci penso e poi rispondo con calma. Ho altro da fare adesso”. Lo ha detto all’ANSA lo scrittore Paolo Nori che ha visto cancellato il suo corso su Dostoevskij all’Università Bicocca di Milano, poi ripristinato dopo le proteste scoppiate sui social.

“Non hanno ritirato subito la cancellazione. Stamattina alle 8 la rettrice mi ha scritto invitandomi a prendere un caffè da lei martedì prossimo e non ha detto che le dispiaceva questa cosa, che ritirava. Lo ha fatto dopo alle 10.30 quando ormai la cosa era esplosa” spiega Nori che è molto amareggiato. Ma al di là del corso universitario, “che è una cosa del tutto secondaria, alla fine questo incidente è positivo perché questa cosa piccola, ridicola ha portato alla luce un sentimento invece che mi fa paura, che può diventare pericoloso. La cosa importante adesso è il nostro atteggiamento nei confronti dei russi. Oggi essere russo è una colpa anche per delle persone che hanno studiato. E non solo essere russo ma anche esserlo stato, il fatto di non voler parlare di Dostoevskij perché provoca imbarazzo e tensione è una cosa stupefacente” sottolinea Nori. “E però questo sentimento esiste in Occidente e in Italia. Sentivo l’altro giorno che ci sono 27 mila russi che sono qui e non possono tornare in Russia perché non ci sono i voli, non gli funziona il bancomat e si vergognano di essere russi. E molti di questi forse non sono a favore della guerra. Cosa vogliamo fare di questa gente? Sarebbe il caso di aiutarli o no, visto che sono russi?” incalza lo scrittore che con Sanguina ancora (Mondadori), dedicato all”incredibile vita di Fedor M. Dostoevskij è stato nella cinquina del Premio Campiello 2021.

“Non c’è stato nessun malinteso con l’Università Bicocca. Devo dire che ho ricevuto decine di richieste di Università italiane. Ieri Andrea Moro, che è rettore dell’Università di Pavia, mi ha detto vieni da noi a fare queste lezioni. Il problema non sono gli incontri su Dostoevskij ma la russofobia. E’ come se Dostoevskij fosse una emanazione di Putin, che è un’idea errata. E neppure i russi di oggi sono un’emanazione di Putin” dice Nori e cita tra gli altri il caso di Valery Gergiev al quale hanno detto che gli facevano dirigere la Dama di picche di Cajkovskij alla Scala solo se interveniva contro la Russia. A me sembra una cosa un po’ esagerata. Mi sembra che siamo arrivati a un livello di isteria nei confronti dei cittadini russi che non hanno nessuna colpa se non il fatto di essere nati in Russia. Io ribadisco oggi il mio amore per la Russia e le cose che succedono in Ucraina mi fanno orrore. E’ orribile, ma io conosco tanti russi che hanno vergogna di quello che sta succedendo. Non facciamola pagare a loro” dice Nori.

“La cosa interessante è che oggi tutta questa cosa nasce dalle opere di un signore che è nato 200 anni fa e del quale ancora parliamo e del quale chissà ancora per quanto parleremo e per quanti secoli. Non so se di Putin tra duecento anni parleranno ancora in Italia, ammesso che ci sia l’Italia. Che senso ha cancellare la cultura di un Paese? Allora non sentiamo più Wagner. Dostoevskij è stato condannato a morte perché ha letto una lettera proibita, è proprio sbagliato tutto. Se ne sono resi conto anche loro con un po’ di ritardo. E’ indifendibile una posizione del genere per fortuna, ancora” afferma Nori.

[tratto da ANSA – di Mauretta Capuano]