Albinati, la scuola cattolica come zibaldone moderno
La prima idea che mi viene in mente, analizzando questo libro è quella di stabilire una similitudine con l’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Nell’O.F. si intrecciano le vicende di numerosissimi eroi e Ariosto interrompe spesso e improvvisamente la narrazione per passare a narrare le vicende quando di uno, quando di un altro personaggio.
In questo poema c’è un calibratissimo congegno narrativo in cui il narratore porta avanti in parallelo il racconto di più vicende contemporaneamente troncandole e riprendendole, conducendo numerosi fili narrativi ad intersecarsi tra di loro per dividersi poi nuovamente.
In narratologia, questo procedimento si chiama “Entrelacement” (intreccio delle vicende narrate). Ma in un poema di impianto tradizionale, così come in un romanzo, esistono la fabula (successione cronologica degli eventi) e l’intreccio che si basa su anacronie narrative ( analessi e prolessi) oltre ad un sistema ben definito di personaggi.
Ora c’è da dire che questo di Albinati non è un romanzo tradizionale ma può essere considerato un’ autobiografia, un memoir, un romanzo filosofico, un bildung roman, la narrazione di un’epica nera, una cronaca, uno Zibaldone moderno che analizza e percorre cinquanta anni della nostra storia.
Però la tecnica che Albinati usa è simile a quella dell’Ariosto, solo che, a differenza di lui, i fili narrativi che muove non riguardano i vari personaggi, ma diverse tematiche ( conflitto con i genitori, scoperta del sesso, amicizie, tradimenti, la scuola, la politica, l’educazione del maschio in Italia) e, mentre nell’OF il meccanismo narrativo ha inizio con la fuga di Angelica, qui la storia prende spunto dal delitto del Circeo.
L’altro motivo in comune è rappresentato dall’inchiesta, la quête; ma, mentre nell’ O.F. l’inchiesta assume un carattere del tutto profano e laico dove tutti i personaggi desiderano e ricercano qualche cosa, una donna, l’uomo amato, un elmo, un cavallo … e quindi l’inchiesta finisce per essere inconcludente e tradursi in un movimento circolare che non approda mai a niente e ritorna sempre su se stessa, ne “La scuola cattolica” (d’ora in poi Lsc), “ Albinati ha preso un nucleo narrativo intorno al quale ragionare e da lì ha fatto scaturire invece che un romanzo, una specie di grappolo di narrazioni” (F. Piccolo).
Albinati, partendo da un’esperienza anche banale, gli anni della scuola, fa germogliare il mondo intero, facendo partire una quantità di racconti, temi, riflessioni e collegamenti impressionanti.
Il primo di questi collegamenti nasce da una coincidenza: l’aver frequentato negli stessi anni il “San Leone Magno”, una scuola cattolica privata romana , dove appunto erano iscritti i tre protagonisti del Delitto del Circeo (d’ora in poi DdC) che Albinati ha conosciuto e che in quegli anni era frequentata anche da Marco Lodoli. Ed è lo stesso A. a scrivere, a pg 159: “ Lo spunto da cui nasce questo libro è il cosiddetto Delitto del Circeo, 29 settembre 1975”.
Il SLM ospita un gruppo maschile che doveva sommare il privilegio iniziale di provenire da famiglie facoltose a quello di un’educazione in grado di prepararlo a occupare una posizione di rilievo nel mondo adulto. E di questo microcosmo maschile, claustrofobico, A. narra le dinamiche, le inquietudini del sesso e la pornografia vista attraverso i film, ma soprattutto i giornali pornografici dell’epoca (Caballero, Le Ore), gli antagonismi, i preti – professori come Fratel Curzio, il prof di ginnastica, che poi si spreterà, il prof. di italiano Cosmo, figura centrale e carismatica, le pulsioni omosessuali, le grandi amicizie, prima tra tutte quella con Arbus, l’amico geniale, che incarna alla perfezione il Nerd, lo studente, cioè, che nutre interessi esclusivamente intellettuali e resta tagliato fuori dagli spazi sociali della vita studentesca, e, soprattutto, la mancanza assoluta della presenza femminile.
Del delitto, che poi è il topic del libro se ne parlerà per la prima volta solo da pg 471 a pg. 483 anche se alcune brevi anticipazioni erano state fatte alle pagine 159 e 250.
Albinati ne è perfettamente consapevole, tant’è che scrive a pg 250: “ L’ho presa un po’ alla larga? Avete ragione; ma era la natura stessa del delitto a richiedere che se ne raccontassero i preliminari o piuttosto i cerchi concentrici che lo avvolgono, gli anelli che da un lato vi conducono, dall’altro se ne allontanano (…) La scuola, i preti, i maschi, il quartiere, la famiglia, la politica. Potrebbe darsi che al centro del bersaglio non vi sia alla fine quel delitto, ma qualcos’altro”.
E di questo qualcos’altro fa parte anche , come nota Christian Raimo: “un trattato sull’educazione del maschio in Italia, il tentativo di rintracciare la genesi di quel carattere idealtipico di sopraffazione, arroganza, cameratismo criptofascista attraverso cui interpretare la storia complicata del nostro paese (…)”
L’epica nera, di cui ho parlato prima, scaturisce da un duplice omicidio: il primo , il DdC , ha come protagonisti Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Guida che violentarono e massacrarono in una villa del Circeo, Rosaria Lopez e Donatella Colasanti che si salvò miracolosamente, fingendosi morta. Era il 1975. Il secondo di cui fu colpevole solo Angelo Izzo nel 2004, riguarda l’omicidio feroce di una donna e di sua figlia di 13 anni a Ferrazzano, un paesino vicino Campobasso nel quale Izzo scontava la pena in una cooperativa, affidato ai servizi sociali.
Scrive Francesco Piccolo: “Lsc è un romanzo contenitore, e contiene il tentativo, lo sforzo meraviglioso di mettere in gioco tutti i tasselli che la vita ti ha messo davanti, raccoglierli tutti, uno per volta e cercare, avendoli messi insieme, di capire la propria esistenza, quella della propria scuola, del quartiere (il quartiere Trieste) per cercare di comprendere le radici o la follia di un delitto spaventoso, e quindi i modi in cui un Paese intero li accoglie, li digerisce e alla fine cerca in qualche modo di espellerli.”
E allo stesso tempo, come nota sempre Christian Raimo, “E’ un romanzo fagocitante, bulimico, che cerca, impossibilmente di fare i conti una volta per tutte con gli atti e le ideologie di quella generazione diventata adulta negli anni settanta tra crisi dei valori borghesi ed esplosione della violenza non solo politica”.
Ed è la violenza erotica che poi si traduce in stupro, intrecciato ad altri atti di violenza come la rapina e l’omicidio quella che caratterizza i tre protagonisti del DdC. Essendo persone mediocri, il sogno dei ragazzi del DdC era di far paura agli altri. Non potendo essere veramente potenti o autorevoli, a loro non restava che diventare spietati. Inutile aspettare che il corteggiamento di una ragazza desse il suo esito, quando può essere deciso in anticipo con l’uso della forza. Ed è partendo da questo interrogativo – perché noi maschi stupriamo? – che Lsc si sviluppa, affrontando altri temi, dalla violenza alla crisi della borghesia, alla rivisitazione della teoria freudiana sull’ “invidia del pene” a cui contrappone in un’analisi esilarante “l’imbarazzo del pene” , alla omosessualità neppure troppo latente dei tre personaggi, in cui si proietta in termini parossistici il problema dell’identità tutta maschile del SLM, dei suoi insegnanti, religiosi e non, e dei suoi alunni, per poi estendere il tema dello stupro alla mitologia e alla letteratura, al cinema con la citazione del film “Cane di paglia” di Sam Peckinpah e via per infiniti altri sentieri narrativi impossibili da riassumere.
La questione centrale del libro è il male in tutte le sue varianti e A. scrive pagine memorabili di Teodicea, quella branca della teologia che studia il rapporto tra la giustizia di Dio e la presenza del male.
Le biografie degli autori del DdC ci dicono che dalle loro malefatte hanno ricavato una vita grama, fatta di galera e clandestinità. Andrea Ghira morì di overdose nel 1994 in Spagna dove aveva adottato il falso nome di Massimo Testa de Andres, Gianni Guido, dopo varie evasioni, fu catturato nel 1994 a Panama ed estradato in Italia dove nel 2008 è stato affidato ai servizi sociali dopo 14 anni trascorsi a Rebibbia, Angelo Izzo sta scontando due ergastoli. Ed è su Angelo Izzo che A. si sofferma maggiormente, in particolare sui suoi occhi allucinati, da psicopatico, stupendosi che qualcuno, scambiando lo scintillio insano del suo sguardo con la luce di una vera intelligenza, abbia pensato che lui fosse una mente superiore, mentre in realtà quegli occhi “pur essendo così enormi (…) non hanno profondità, non conoscono ripensamento, che è l’essenza stessa del pensiero”.
Il DdC ha richiamato poi i riferimenti ad altri due episodi criminosi , il delitto Casati e il sequestro Amati ed A., avendo premesso che quello di Psycho, il film di Hitchcock è stato il primo assassinio erotizzato della storia del cinema, riflette sul voyeurismo che certi delitti scatenano nell’opinione pubblica e stabilisce un parallelismo tra il DdC e il delitto Casati (1970, Roma) in cui i giochi perversi degli amanti furono interrotti dal marchese Camillo che uccise a fucilate sua moglie Anna Fallarino e il suo amante Massimo Minorenti per poi suicidarsi con molta materia cerebrale schizzata sulle pareti e con il sequestro Amati (1978) dove l’ostaggio, Giovanna Amati, in preda alla sindrome di Stoccolma, era stata sedotta dal sequestratore Daniel Nieto . Rispetto a questi due fatti di cronaca nera il DdC ingolosiva meno per la mancanza totale di sex appeal delle vittime e per la ripugnanza istintiva ispirata dai colpevoli.
Il DdC somiglia piuttosto ad una fiaba nera, dove due ragazze ingenue vengono attratte con l’inganno nella tana di tre lupi famelici e spietati.
C’è in questo libro monstre una nota stonata. Mentre A. ha descritto con dovizia di particolari i colpevoli, ha invece trascurato le vittime, in primo luogo Donatella Colasanti, morta nel 2005 per un tumore. Scrive a questo proposito Christian Raimo: “ Albinati più volte riconosce come di fronte ai delitti efferati si sia più interessati alla storia dei colpevoli che a quella delle vittime. E nel caso particolare addirittura aggiunge che allora nel racconto dei mezzi d’informazione si respirava una specie di snobistico classismo, che etichettava le due ragazze semplicemente come di un ceto più basso, popolane contro i pariolini, e non raccontava quasi nient’altro di loro”.
Ecco, appunto, questa era l’occasione giusta per parlare di loro. Ma, al di là di questo, c’è da dire che questo libro, con le sue 1290 pagine, rappresenta un colossale affresco della società italiana, vivisezionata in tutte le sue varianti, in un’ottica sociologica, psicologica, storica, politica, antropologica, fenomenologica.
Una narrazione in cui il lettore si imbatterà in De Sade e Berlusconi, Claudio Lolli e il libro “Cuore”, i miti, Ulisse e Circe, Galvano e Oloferne, Shining e i Nibelunghi, la letteratura cortese e tanto altro ancora … e infine innumerevoli siparietti autobiografici, alcuni molto piccanti dell’autore che, ovviamente, non vi anticipo.