La morte con la camera in mano
Il documentarista, antropologo, collaboratore dell’ateneo di Vilnius, dove si era laureato prima di svolgere un master in antropologia culturale a Oxford, Mantas Kvedaravičius (Biržai 1976-Mariupol, 2 aprile? 2022) è tra le vittime illustri della guerra di aggressione russa. Kvedaravicius era anche un archeologo subacqueo. Viveva in Lituania e aveva due figli. È morto circa dieci giorni fa (non si sa esattamente quando) a Mariupol, porto dell’Ucraina sudorientale balzato tristemente agli onori delle cronache, la città-cavia trasformata in un cimitero di rovine umane e materiali dagli unici responsabili di questo conflitto che per ora deve essere solo condannato, non analizzato, i russi del regime putiniano. Il regista Vitaliy Manski ha scritto su Facebook che Kvedaravičius è stato ucciso “con una telecamera in mano”. Il presidente lituano Gitanas Nauseda ha rilasciato una dichiarazione dicendo che Kvedaravičius “fino all’ultimo momento, nonostante il pericolo, ha lavorato nell’Ucraina occupata dalla Russia”. Si sta poi parlando di indagini sull’uccisione di Kvedaravičius come parte di una più ampia indagine sui crimini di guerra russi in Ucraina, anche se al momento sono malnote le circostanze della sua morte: a quanto risulta era alla guida di un auto e si parla di un razzo, ma anche di un’esecuzione ad hominem da parte dei soldati russi. Secondo alcune voci il cineasta stava tentando di fuggire dalla città, già oggetto nel 2016 del suo film documentario Mariupolis, che fu presentato al Festival Internazionale del Cinema di Berlino 2016. Il suo lavoro del 2011 Barzakh, ambientato in Cecenia, aveva ottenuto il premio Amnesty International Film.
Si legga la bella intervista concessa a Cineuropa nel 2016 da Kvedaravičius: <https://cineuropa.org/it/interview/307710/>.