“Tromperie – Inganno” di A. Desplechin (FRA 2021)
Tratto dall’autobiografico Deception di Philip Roth questo film (visto da chi scrive in Francia, e ora nelle sale italiane) riguarda un romanziere newyorkese trapiantato a Londra. Siamo nel 1987. Philip (interpretato dall’attivissimo Denis Podalydès, classe 1963, con quasi 80 film nel suo carnet, nessuno davvero importante) si incontra nel suo studio fuori casa con l’amante (una “amante inglese” che non a caso rimane anonima: l’attrice è Léa Seydoux, che dopo un piccolo ruolo in Bastardi senza gloria di Tarantino, è stata Palma d’Oro a Cannes per La vita di Adele e poi Madeleine Swann in Spectre). Philip è sposato di un matrimonio usurato, ma non ha nessuna intenzione di abbandonare casa e di far soffrire la moglie. L’appartamento, in uno studiato gioco di piani, è usato come pied-à-terre dove gli amanti trascorrono momenti di intima clandestinità, tra molte disquisizioni su tematiche di amore e fedeltà coniugale, letteratura e morte, ebraismo e antisemitismo (Philip è ebreo), ma è anche, sia pure attraverso questo tipo di modalità, fonte di ispirazione artistica.
Il cliché è in tutto ciò evidente: Philip sta scrivendo il suo ultimo romanzo dove menziona tra finzione e realtà molte altre donne, oltre alla sua attuale amante. La moglie scoprirà in un blocco note di appunti gli altarini e la reazione di Philip, che non intende rompere gli equilibri di comodo, è dirle che il diario è una sceneggiatura, che la protagonista e le altre donne emerse via via nell’intreccio (una vecchia fiamma che sta lottando contro la malattia, una ex-allieva depressa) e proiettate nel libro sono solo personaggi di fantasia.
Come la sinossi lascia intuire, il film è piuttosto banale, logorroico (un bavardage uggioso, altro che “cinema della parola”!), privo di raffinatezza e incapace di dare stimoli o sensazioni profonde. Insomma pretenzioso e poco riuscito, nel suo intento di costruire un gioco a plurimi intrecci tra scrittura, fisicità e sesso, immaginazione, verità e bugia. Desplechin è regista e sceneggiatore di qualche notorietà in Francia, ed è autore soprattutto di commedie drammatiche e sentimentali. Leggo in una un po’ enfatica recensione di M. Gandolfi: “Alla maniera di un tourbillon ludico ed esistenziale, la macchina da presa gira intorno a loro e alle loro parole (le donne che hanno contato nella vita di Philip) che sorgono e colano come acqua chiara, acqua viva e galvanizzante. Perché Tromperie non è una provocazione e nemmeno una difesa, è piuttosto una rivendicazione, quella del diritto del creatore a creare….Denis Podalydès non è mai stato così seducente e incandescente sullo schermo, nel ruolo (finalmente) inedito per lui dello scrittore seduttore che vampirizza la vita delle sue partner, involontariamente invitato al suo processo, che è solo un gioco ”. Con il massimo rispetto per questa opinione, e per quella dei molti critici che hanno apprezzato il film, nessuna di questa asserzioni è convincente: la sceneggiatura e i dialoghi ne sono uno dei punti deboli e il seduttore Podalydès a noi sembra un omino poco attraente, decisamente ridicolo senza calzini davanti al camino, che dà segnali di genialità solo alle donne un po’ingenue e vagamente incolte che gli stanno intorno. Il buon cinema è altra cosa.