23 Novembre 2024
Words

Voto a rischio…

Il quadro. Otto settimane alle elezioni. Qui non si prevede un autunno caldo; piuttosto: una campagna elettorale (e delle elezioni) caldissime. Questo non vuol dire che l’autunno – in quanto pococaldo – non sarà interessante. Più che altro, esso sarà un autunno freddo: la crisi economica, ormai, rischia di esplodere, l’assetto politico-sociale (e, perché no?, sanitario) del post-covid è tutto da definire, la guerra nel cuore dell’Europa reclama non solo armi da inviare, ma anche decisioni da prendere; l’inflazione nel momento in cui sto scrivendo è al 7,3%; la crisi energetica è alle porte, il caro bollette. C’è da riconsiderare un piano annuale sull’energia e sul clima, la stessa guerra in Ucraina sempre più investe se stessa della responsabilità di essere un detonatore per una più profonda crisi economica. Si è ricorsi (e forse si ricorrerà ancora) a bonus di 200 euro per i dipendenti in funzione anti-inflattiva, sconti sulle bollette, rifinanziamenti dello sconto sulle accise della benzina.
Mattarella ha parlato – e questo è grave – dei rincari non solo riguardo al settore dell’energia ma anche dei prodotti alimentari. Se questo è lo scenario possiamo tranquillamente dire che si tratta di un panorama (e di un perimetro) nel quale sembra predominare la cifra del rischio.

La politica. «Bisogna fare presto, ci sono le elezioni anticipate», diceva Cesare Botero a Luciano Sandulli nel film di Daniele Lucchetti Il portaborse. Silvio Orlando rispondeva a Nanni Moretti: «Ci sono le elezioni anticipate, ma non è caduto il governo!». E Botero/Moretti: «No. Non è caduto il governo!».
Stavolta il governo è proprio caduto. E ci sono le elezioni anticipate. Anche se la cosiddetta “Agenda-Draghi” vorrebbe tenere in piedi (ma con quali piedi?) il dettato amministrativo dell’ex Presidente della BCE.
Con quali piedi – si diceva. E cos’è questa “Agenda-Draghi”? Intanto dalle parti del centro-destra si prospetta un patto elettorale tra Berlusconi, Salvini e Meloni che, al pari di quello del 2018, vedrebbe i tre partiti (FI, Lega e FdI) correre da soli con un eventuale scelta del premier da negoziare una volta vinte le elezioni. Insomma questi tre partiti non correranno, per Palazzo Chigi, con un candidato comune ma, eventualmente, secondo un criterio che pare essere inviso a due dei tre (ma non alla Meloni) il futuro premier potrebbe essere scelto sulla base del risultato elettorale rispettivo ottenuto non dalla coalizione ma dai tre segmenti che la comporrebbero. Chiaramente la Meloni ambisce alla nomina di leader del partito più votato, perché sembra convinta di prendere più voti dei suoi alleati.
Nel caso in cui (come dicono i sondaggi) la vittoria dovesse arridere al partito di Giorgia Meloni avremmo quella che è stata definita una personalità politica post-fascista, sovranista, euro-scettica, nazionalista: insomma, il governo più spostato a destra della storia repubblicana. La Meloni, rispetto al suo “presunto” successo, rende grazie alla sua posizione di unico partito ad aver fatto opposizione a Draghi e, naturalmente ora, alla “Agenda-Draghi”.
La retorica, non solo politica, la vuole orientata a valorizzare nuove nascite di italiani in Italia (per contrastare l’immigrazione), orientata alla chiusura dei porti (anzi al “blocco navale”), propugnatrice dell’antico slogan “Dio, patria, famiglia”, autodefinitasi come patriota. Insomma: un rischio!

Mentre il centro-destra non ha il problema delle alleanze, il Pd si presenta all’interno di questa campagna elettorale con un Agenda i cui numeri riguardano tutti i nomi di possibili alleati. Una volta smantellato il lettiano “campo largo” (impossibile «allearsi» con il M5S una volta acclarato il fatto che il M5S ha fatto cadere il governo), a questo punto possiamo dire che il Pd si sente legato non solo da un afflato passionale ma anche in virtù di un ragionamento politico.
A proposito di alleanze: la legge elettorale con la quale si andrà a votare (il Rosatellum) tende a premiare proprio i partiti che si alleano: nei collegi uninominali si disputa un terzo dei seggi in palio. Inoltre c’è da considerare cha la riforma costituzionale ha tagliato il numero dei parlamentari: da 945 a 600.
E ora, una volta fatto fuori il M5S, con chi si allea? Se sembra quasi certo che questo strano («strange» è uno dei tre tipi di quark che sono stati scoperti e quindi della materia: la sostanza di questo centro-sinistra, dunque, appare abbastanza «strange») centro-sinistra sia tanto, tanto, tanto, tanto, tanto, tanto centro e molto poco sinistra. Desta meraviglia la scelta di «Articolo 1» (e dunque di una qualche specie di «sinistra») di rientrare nei ranghi della “casa madre” (una volta che il pericolo costituito da Renzi non esiste più), mentre la questione dovrebbe essere quella di come “allearsi” con un fantomatico altro centro, (come se non bastasse), costituito da una flottiglia abbastanza eterogenea: Di Maio, Calenda, di nuovo Renzi,  Toti, Bonelli, i fuoriusciti da Forza Italia (Brunetta, Gelmini e Cangini), il sindaco di Milano Giuseppe Sala, qualche altro sindaco. Il “modello teorico” offerto dal neo sindaco di Verona Damiano Tommasi e qualche altro cespuglio. Niente più alleanza giallorossa ma un Pd draghista che se la deve vedere con una forse evanescente “Agenda-Draghi”, portata avanti soprattutto dai partiti che compongono il centro di cui si è detto.

Dunque Mario Draghi – col suo “esempio di governo” – sembrerebbe essere il nome che da queste parti spunta di continuo. Ma i sondaggi sono impietosi e i numeri ancora di più: il Pd, a questo punto, se la dovrebbe vedere non solo con il problema delle alleanze, ma anche con quello delle “alleanze che non bastano”…
Certo, c’è lo charme di Mario Draghi che probabilmente ha una funzione tutta “politica” da giocare. Ma è un rischio!

Note di colore. Una volta c’erano i “governi balneari” che davano tregua ai conflitti e alle lotte con una pausa a breve termine; oggi c’è il “problema dei balneari”: cioè quello della proroga delle concessioni delle spiagge – che si  vedrebbero minacciate da un’invasione straniera di aziende intenzionate a diventare responsabili di stabilimenti balneari in diretta concorrenza rispetto agli attuali piccoli imprenditori italiani. E poi c’è questa “campagna elettorale balneare”: tra un cocomero e un ombrellone, si scende in spiaggia a parlare di Letta o Berlusconi.
In questa logica “balneare”, come diceva Francesco Guccini “imbecille e vacanziera”, siamo dentro un’atmosfera davvero poco consona al lucido e razionale dibattito argomentativo. Siamo in una logica enormemente “aperta al rischio”. Conta più la forma della sostanza ormai. Si fatica a star dietro alle cose della politica ma, nello stesso tempo, si fatica a tirare avanti e arrivare a fine mese. Occorre una via d’uscita al rischio. Il rischio o lo si affronta oppure ci se ne tira indietro. E magari (come sempre più spesso sta avvenendo) non si va a votare…
Per affrontare il rischio ci vuole coraggio e a questo punto l’abbiamo sudato tutto.

Gianfranco Cordì

Gianfranco Cordì (Locri, 1970), ha scritto dodici libri. E' dottore di ricerca in filosofia politica e giornalista pubblicista. Dirige la collana di testi filosofici "Erremme" per la casa Editrice Disoblio Edizioni. Dirige le tavole rotonde di filosofia del Centro Internazionale Scrittori della Calabria.