Questione PD. Che fare?
Una riflessione post-elettorale. I numeri non dicono tutto, ma qualcosina sì. Nonostante la vittoria, paradossalmente la destra si è rivelata (al di là dell’exploit di FdI) meno forte del previsto: Lega e Forza Italia assieme fanno poco più (17%) dei 5S da soli (più del 15). I due schieramenti, se entrambi si fossero presentati uniti, in termini di consenso sarebbero stati più o meno equivalenti. E avrebbero potuto farlo, perché anche in termini di omogeneità i due campi non erano molto diversi. È vero che 5S e PD hanno avuto un grave dissidio sulla fine del governo Draghi, e che il centro liberaldemocratico (Azione e IV) ha un’idiosincrasia verso i 5S. Ma non va scordato che, a destra, Lega e FI hanno fatto parte della maggioranza del governo Draghi, e votato per la rielezione di Mattarella, mentre in entrambi i casi Fratelli d’Italia ha votato contro. Nonostante tali differenze, e le rivalità personali, i partiti di destra si sono coalizzati, stabilendo una linea e un denominatore comuni, e sfruttando così la legge elettorale; quelli di centrosinistra no. Rinunciando in partenza a ogni chance di vittoria. Il che resta per me un mistero.
Altro numero: ora tutti se la prenderanno con Letta, perché funziona così, ma sta di fatto che il PD (a parte l’exploit delle europee 2014, rivelatosi poi una bolla pronta a scoppiare), Letta or not Letta, prende sempre più o meno gli stessi voti, attorno al 20%. Considerati gli astensionisti, fa circa il 12% degli aventi diritto. È una minoranza. Molto caratterizzata sociologicamente: gente “perbene”, buon livello di scolarità, forte autostima, idee moderate, liberali sui diritti civili e verso ogni minoranza, pragmatiche in economia (e lo spread?) e politica migratoria; ma colorate da una generica vernice progressista, in molti casi eredità di matrice familiare, che si esprime soprattutto attraverso l’adozione di un apparato simbolico : bella ciao, un generico antifascismo, un solidarismo in realtà più simile al “compassionate conservatism“ anglosassone (soccorriamo chi ha bisogno, “gli ultimi”) che socialista (modifichiamo le strutture sociali).
Piacerà ai cultori di Nanni Moretti, questa situazione di minoranza che si percepisce saggia, riflessiva e problematica, assediata da una maggioranza di presunti cafoni mezzi fascisti ; ma non può bastare a un aspirante partito di massa. Che a quei presunti “cafoni” dovrebbe dare una non paternalistica rappresentanza. Questa volta il PD aveva un’occasione storica; programma secondo me ben fatto e abbastanza socialdemocratico (ri-regolazione del mercato del lavoro, ambientalismo, diritti civili), un alleato-rivale (5S) fino a pochi mesi fa in rotta e apparentemente avviato alla sparizione, l’assenza di veri concorrenti alla sua sinistra e un potenziale anche se scorbutico alleato al centro (Calenda) da usare come cuscinetto verso la destra, il che permetteva di non dover più troppo preoccuparsi di tenere assieme con equilibrismo discorsi più moderati e discorsi più progressisti. Era quindi l’occasione di riprendersi quell’elettorato di sinistra che non vuole votare partiti troppo marginali. Non c’è riuscito. Forse per sua colpa, può darsi, magari noi al posto di Letta avremmo fatto chissà quali miracoli. Ma forse anche perché il PD, qualunque cosa faccia, è ormai percepito nell’immaginario collettivo come partito-istituzione, usato sicuro, riserva della repubblica, baluardo contro gli estremismi, e non più come portatore di una visione (magari di parte, come è proprio di un “partito”). delle cose. Anche quando un pochettino di visione, come in questo caso (una società aperta, con maggiori garanzie e attenzione all’ambiente) più o meno c’era. Ora ci sarà un congresso, ma prima di cercare l’uomo o la donna miracolosi, i salvatori della patria democratica, prima di intonare la solfa del “ripartiamo da” (dai territori dalle periferie dalle persone dalla costituzione da non so cosa), sarà questo il punto da affrontare. Non è da escludere a mio parere la necessità di una revisione più profonda, una discontinuità più forte, che permetta di uscire da questa impasse.
Ultima cosa: se Calenda (e Renzi) davvero non si sono alleati con il Pd nei collegi per le ragioni che hanno esposto (la presenza di Fratoianni, che chissà cosa avrà fatto mai di così terribile, o l’esigenza di fare un nuovo governo con uno che giustamente nemmeno si candidava a farlo, cioè Draghi, o altre scemenze del genere) sono due rintronati. Siccome non lo sono, secondo me la ragione è un’altra: hanno voluto tenersi le mani libere. E quindi credo che Calenda e forse anche Renzi appoggeranno il futuro governo. Non subito, ovvio; ma tra un po’. Calenda credo non aspetti altro, dirà che è un modo di riequilibrare verso il centro, salvare l’Italia e riportarla sull’asse dell’agenda Draghi. E controllare da vicino le riforme istituzionali per evitare derive autoritarie. Nel dirlo, sarà persino sincero. Magari mi sbaglio. Vedremo. Honni soit qui mal y pense. Però una scommessina ce la farei.
Insomma, usciamo con un campo del centrosinistra male in arnese. Un PD che, dopo aver rinunciato alla “vocazione maggioritaria” delle origini, non riesce più a trovare una vocazione identitaria, perché troppo prigioniero del suo profilo istituzionale. Alla sua sinistra, forze purtroppo piuttosto marginali. Alla sua destra, i liberal-democratici in fuga spensierata verso destra, ansiosi di cogliere il frutto di quell’8% di Forza Italia che, per ragioni anagrafiche, prima o poi Berlusconi lascerà disponibile. Infine, i 5S ancora in piedi, con i problemi di trasformismo, affidabilità e scarsa cultura politica che sappiamo.
Con ogni evidenza, c’è un po’ di lavoro da fare, per ristrutturare il campo della sinistra.
[di Maurizio Puppo – segretario circoli PD, Parigi]