Bram Stoker, Dracula, BUR, Milano 2003
«Esistono esseri come vampiri; alcuni di noi hanno avuto prove che essi esistono. Ma anche se non abbiamo prove dovute a nostra dolorosa esperienza, gli insegnamenti e la documentazione del passato offrono sufficiente prova per persone sane di testa. Io confesso che in principio ero scettico. Se non era che per lunghi anni ho abituato me stesso ad avere mente aperta, non potevo credere prima del tempo in cui quel fatto mi ha rimbombato negli orecchi: “Vedi! Vedi! Io ho prova! Io ho prova!” Ahimè, se sapevo prima quello che so adesso – no, bastava che lo immaginavo – una vita tanto preziosa per noi che amavamo lei poteva essere risparmiata».
La «vita tanto preziosa» è quella di Lucy Westerna (fidanzata con Arthur Holmwood, dopo la morte del padre diventato Lord Godalming) amica intima di Whilelmina, detta «Mina», Murray (fidanzata prima e poi sposata con l’impiegato di uno studio legale – poi «procuratore legale» e quindi socio del titolare e quindi unico titolare dello studio – Jonathan Harker), nonché corteggiata dal dottor John Seward (a suo tempo studente e quindi «collega» di Abrahm Van Helsing: «Il quale, in fatto di malattie misteriose, ne sa più di chiunque altro al mondo») e dal texano Quincey P. Morris.
I «sette» (Magnifici – come quelli del film di John Sturges del 1960 poi diventato un remake nel 2016 per la regia di Antoine Fuqua) sono i protagonisti di questo Dracula di Bram Stoker (Prefazione di Vittorino Andreoli, Traduzione di Rosanna Pelà, BUR, Milano, 2003) che dalla parte del «male» non schiera Quella sporca dozzina (regia di Robert Aldrich, 1967) ma Renfield («Quest’uomo è affetto da una mania omicida non ancora sviluppata»), diversi pipistrelli, lupi, «Di fronte a me c’erano tre giovani donne, illuminate dalla luna, che nell’abbigliamento e nel tratto si rivelavano come signore. Appena le ho viste, ho creduto di sognare, perché, sebbene avessero la luna dietro le spalle, non proiettavano ombra sul pavimento. Esse si sono avvicinate a me e mi hanno guardato per un po’, poi si sono messe a bisbigliare fra loro», numerosi topi, «Gli Szgany si sono accampati i non so quale parte del castello, e stanno facendo un certo lavoro. Lo so, perché di tanto in tanto odo in lontananza un rumore attutito di picconi e di vanghe: di qualunque cosa si tratti deve essere la conclusione di qualche scelleratezza» e finalmente , lui il conte Dracula che, però: «Deve essere stato davvero quel voivode Dracula che conquistò sua fama combattendo contro i turchi, oltre il gran fiume sulla frontiera stessa di Turcolandia. Se questo è vero, lui non era un uomo comune, perché in suo tempo, e per secoli dopo si diceva che lui era il più intelligente, il più astuto, e anche il più coraggioso dei figli della “Terra oltre la foresta”» ma anche: «Egli è conosciuto dovunque sono stati uomini. In antica Grecia, in antica Roma; prospera in tutta quanta Germania, perfino in Cheroneso; e in Cina così lontana da noi in tutti i modi, anche là lui è, e la gente lui teme ai giorni nostri. Esso ha seguito la scia degli Islandesi invincibili guerrieri, degli Unni generati dal demonio, di Sassoni, di Magiari».
Una volta sistemati «bene» e «male», Bram Stoker scrive un romanzo anche fin troppo denso ma abbastanza robusto. Chi è Dracula? Intanto: anticamente accadeva che quando una qualunque sciagura o calamità o disastro colpiva l’insediamento umano si andava a cercare – esattamente come fa oggi la scienza moderna – la causa di quel «male». Ma i tempi erano quelli che erano – la conoscenza delle cause e la conoscenza stessa era quella che era – e dunque alcune volte si attribuiva la disgrazia alla morte recente di qualcuno … In qualche modo – macabro, a dire il vero – costui era tornato dalla tomba a perseguitare i suoi simili…
Molte volte, aprendo la tomba, i presenti si trovavano di fronte a un cadavere con la bocca macchiata di sangue – tutto ciò, oggi, ha una ragionevole spiegazione scientifica: la decomposizione delle viscere spinge il sangue fuori dalla bocca. Ma, lo si ripete. I tempi erano quelli che erano: quelle persone attribuivano quel sangue a una visita che il «Non-morto» aveva fatto a qualche vivente. Una visita nel senso del succhiamento del sangue, magari dalla «gola».
Ecco nascere, per parallelismo, la leggenda (e la superstizione) dei «vampiri». Infatti il «vampiro» è una varietàdel «pipistrello». Diffusi nell’America centro-meridionale questi demodontidi sono dei mammiferi e non degli uccelli. Crepuscolari e notturni questi chirotteri dotati di mammelle sono altresì provvisti di due incisivi molto sviluppati e con il bordo tagliente e, naturalmente, suggono il sangue di quei vertebrati che hanno la capacità di tenere costante la loro temperatura corporea. Dunque l’assonanza era a portata di mano: «Non morto» sporco di sangue tra le labbra e mammiferi che «succhiano il sangue». Se si «pensa», poi, anche al fatto che l’«origine» del termine «vampiro» risalirebbe (ma, a questo proposito, vi sono diverse «scuole di pensiero» …) al russo antico «upir» – che è un lemma usato per descrivere entità delle quali non si conosce il vero nome ma che avrebbero, comunque, a che fare con i defunti e la morte. Tanto c’è da dire sull’origine del termine «vampiro» e sulla «superstizione» (specie in terre slave) legata alla sua esistenza.
Un «Non-morto» – che, poi, è anche un «Non-vivo» – il quale si manifesta per metà «reale» e per metà «spirituale»; dice, a un certo punto Van Helsing che loro sono tutti «Armati contro attacco di fantasma come contro attacco fisico» e il dottor Seward: «Entrami pronti a usare le nostre varie armi, quelle spirituali nella mano sinistra, e quelle materiali nella destra».
In effetti questo romanzo «polifonico» (è scritto «a più voci» … Sono in «tanti» a parlare attraverso pagine di «diario», «lettere», «estratti» da quotidiani del tempo, «diari di bordo» di navi destinate a finire male, «note», «rapporti», un «diario fonografico», «memorandum») porta sulla «scena» (e il «conte Dracula» è molto «teatrale» nelle sue «manifestazioni») un’apparizione: un «Non-morto» che, come detto, non è propriamente un «morto» ma non è neppure un «vivo» … Costui abita, soggiorna e si produce in un «intercapedine»: la sua «bara/casa/caverna». Sì, perché il pipistrello, di giorno, sta appollaiato all’interno di una caverna … E Platone (Repubblica, VII 514 A-B, in Tutti gli scritti, a cura di Giovanni Reale, Bompiani, Milano, 2000) ha scritto: «Immagina di vedere degli uomini rinchiusi in un’abitazione sotterranea a forma di caverna che abbia l’ingresso aperto verso la luce, estendendosi in tutta la sua ampiezza per tutta quanta la caverna; inoltra, che si trovano qui fin da fanciulli con le gambe e con il collo in catene in maniera da dover stare fermi e guardare solamente davanti a sé; incapaci di volgere intorno la testa a causa di catene e che, dietro di loro e più lontano arda una luce di fuoco». Quando non si trova nella sua «casa/caverna/bara», Dracula non è onnipotente. Stoker, a questo proposito, scrive: «Lui può fare tutte quelle cose, eppure non è libero. No, lui è anche più prigioniero di schiavo nella galera, del pazzo in sua cella. Lui non può andare dove desidera; lui, che non è di natura, deve però obbedire a certe leggi di natura – il perché noi non sappiamo», infatti, continua lo scrittore di Clonfart: «Non può entrare la prima volta in nessun posto, se non è qualcuno della casa che invita lui a venire, sebbene dopo può andare e venire come a lui piace. Il suo potere cessa, come fa quello di tutte le cose malvage, quando sopraggiunge il giorno. Soltanto in certi momenti può avere limitata libertà. Se non si trova nel luogo dove è legato a stare, può cambiare sé stesso solo a mezzogiorno è in esatto minuto che sorge o cala il sole».
Però «Esistono poi cose che talmente lo disturbano, che lui non ha più potere, come l’aglio di cui noi sappiamo, e in quanto a cose sacre come questo simbolo, il mio crocifisso, che è stato in mezzo a noi anche adesso quando decidiamo, davanti esse lui è niente, ma perde il suo potere molto lontano e in rispettoso silenzio». Ecco spiegato il motivo per cui Stoker mette davvero tante cose dentro il suo romanzo (rendendolo «fin troppo denso») crocefissi, «ghirlande» di aglio, «rose selvatiche» («Un ramo di rosa selvatica sopra sua bara impedisce di uscire dalla bara; una pallottola consacrata sparata nella bara uccide lui così che è veramente morto; riguardo al paletto conficcato nel corpo, noi già sappiamo che porta pace, o il taglio della testa che dà riposo»), «ostie consacrate»: tutta una «simbologia» (il che dimostra che Bram Stoker ha studiato a lungo il suo soggetto) che, al pari delle scene (alcune sono estremamente «forti» e riuscite) e dell’intreccio stesso della trama, fanno sì che l’intero romanzo sia come «sovraccarico». Alternata a una frase come «Ma noi siamo impegnati di liberare il mondo» (buona per un «pessimo» romanzo di fantascienza, di quelli con gli «alieni» glabri e verdi) scorre una narrazione abbastanza frastagliata nella quale, però, un semplice «particolare» sarebbe bastato (al di là della proliferante «disseminazione» di Bram Stoker) a fare l’intero romanzo… Un esempio? «Il nostro vampiro, anche se dopo può andare come lui vuole, la prima volta può entrare solo se invitato da un abitante della casa». Lo scrittore irlandese – una volta messi a posto «bene» e «male» nel «plot» della storia – ha gioco facile nel prodursi nella «costruzione del romanzo».
Partendo dai «documenti» (lettere, diari eccetera) vergati dai vari protagonisti, fa raccogliere a Mina Murray l’intero «manoscritto» e ordinarlo «cronologicamente» – e fino a qui la «voce» del Vampiro è solo di seconda mano – per poi distruggere questo «documento» (e in questo «caso», avremmo una narrazione dal «punto di vista» di Dracula, che userebbe i «documenti» per parlare di sé) conservandone, in cassaforte, «un’altra copia» (e dunque, qui «tornano di nuovo a parlare i sette protagonisti»), e, infine – in una storia che comincia a termina in Transilvania (a parte le due pagine conclusive redatte da Jonathan Harker «sette anni» dopo i fatti raccontati nel libro) nell’anno di grazia 1897, tre anni prima dell’inizio del XX° secolo e della morte di Friedrich Nietzsche a Weimar- far continuare «gli stessi» protagonisti fino all’«epilogo finale» nel quale, per così dire, l’idioma di Dracula e quello dei rappresentanti del «bene» si confondono e si sciolgono in un’unica scia di sangue. Rambo (Fisrt Blood), di Ted Kotcheff, 1982).
Dracula è protagonista del «romanzo che non c’è» (intercalato nella «polifonia» dei protagonisti), poi si manifesta … Viene come il dubbio che non sia lo «stesso» Vampiro (che, evidentemente, dà anche il titolo al romanzo) a «raccontare» la sua storia … Inoltre, punto non banale, le forze del «bene» (come i Quattro cavalieri dell’Apocalisse introdotti nell’ Apocalisse di Giovanni 6 1-8, Bibbia, Progetto e Ideazione Enzo Bianchi, Vol. III, p. 837) sono delle «punizioni»: come Moby Dick o la balena (Prefazione e Traduzione di Cesare Pavese, Adelphi, Milano, 1987) è la storia della «caccia» al «simbolo del male» così Dracula, quantomeno nella sua seconda parte, è la storia della «caccia» – condotta con «intelligenza» a colui che «Ha in sua persona la forza di venti uomini; ha un astuzia che supera quella dei mortali ; e anche ha gli aiuti di negromanzia che, come implica sua etimologia, è la divinazione per mezzo dei morti; e tutti i morti che lui può andare loro vicino sono ai suoi comandi; egli è crudele, e più che crudele; è un diavolo insensibile; in lui non è cuore; può, con certe limitazioni, apparire come e dove vuole, e in ognuna delle forme che lui possiede; può governare gli elementi che si trovano in suo raggio: il temporale, la nebbia, il tuono; può comandare tutti gli esseri inferiori: il ratto, il gufo e il pipistrello, e l’insetto, e la volpe e il topo; può crescere e diventare piccolo; e qualche volta può sparire e diventare sconosciuto». I nostri sette «cavalieri» – tra un breafing e un brainstorming – sono armati – come si diceva – solo della loro «intelligenza».
Come dice lo Stesso Vampiro: «Mentre essi impegnavano la loro intelligenza contro di me – e io sono l’uomo che ha comandato nazioni, ha intessuto intrighi a loro favore e combattuto per esse, centinaia di anni prima che loro nascessero – io distruggerò la loro opera». Ma si tratta di un’«intelligenza particolare»; Stoker lo dichiara più volte: essi hanno una «mente aperta». Van Helsing invita i suoi a credere «In cose che non potete. Una volta ho sentito un americano definire fede così: “Quella che permette noi di credere cose che noi sappiamo essere non vere”. Quanto a me, io seguo quell’uomo. Lui vuol dire che noi dobbiamo avere mente aperta, e non lasciare che un pezzettino di verità blocca la corsa di una grande verità, come piccolo sasso può fare a vagone ferroviario. Bene. Noi abbiamo essa, e valutiamo essa; ma in stesso tempo non dobbiamo permettere che essa si creda tutta la verità dell’universo».
Possedere una «mente aperta» vuole dire aprirsi alla contraddizione (credere che il «Non-morto» sia vivo) ovvero all’irrazionale, al confine stesso dell’«intelligenza» ora costretta a pensare il contrario di sé stessa. Un po’ come nei Frammenti di Eraclito di Efeso.