Salvatore Ritrovato, La circonferenza della vita, Marcos y Marcos, Milano 2022, pp.110
La poesia italiana contemporanea stilla alcune voci dalla caldera infinita degli stampati. Chi opera questo setaccio competente? Ancora una volta serve tempo. Serve un’opera che prosegue la sua avventura scritturale in un percorso di anni, dentro un sistema di autori che si riconoscono e si certificano l’un l’altro, nella consapevolezza di una serietà di proposta letteraria.
Eccoci quindi all’ultimo lavoro del docente di letteratura italiana all’università di Urbino, Salvatore Ritrovato, poeta e critico militante. La sua produzione conta ormai un dettaglio di titoli, tra poesia e saggistica soprattutto, notevole, con una visione acuta della nostra contemporaneità, sostenuta da una preparazione profonda quando il suo pensiero si compara con scuole o autori del passato letterario nazionale.
In questo “La circonferenza della vita” (che in toscano lambisce la battuta) si comincia con un prologo in rasserenamento riflessivo del cimitero come locus germinalis, in cui l’autore rintraccia tutti gli elementi della memoria per un ritorno alla vita, che sempre scaturisce alla luce attraverso un’ombra, o per mezzo di una scrittura che, in questo caso, è legata anche a Paolo Volponi, sepolto proprio nel cimitero citato.
C’è un andamento fresco e narrativo nelle poesie di Ritrovato. Senza un verso (scandito a menadito) a fare da sponda, addentrarsi nelle parole di Salvatore Ritrovato appare da subito un viaggio di quelli di cui conosciamo la quantità di domande che ci porrà, prima ancora di partire. E con un incedere cha annulla il tempo, ci ritroviamo in uno spazio personale ma che è di tutti, nessuno escluso.
L’alternanza dei toni, il verso libero, la vastità dei temi, gli oggetti resi visibili da descrizioni puntuali ma mai fredde (“A volte è un vestito che ti porta fuori casa. / Basta una camicia bianca, leggeri /pantaloni in lino che nuotano in un giorno di pioggia/d’agosto e mocassini brandy di cuoio”), zampillano nel testo con un ritmo interno scandito da immagini interiori, dialoghi, interrogativi, consigli. E davanti a questi interrogativi ci si specchia, entrando nel vortice della riflessione con tutti e due i piedi, rapiti dalla ricerca del senso ultimo (o forse primo?) dell’esistenza.
Ci si confronta con gli oggetti quotidiani, innalzandoli a paragone di un sentire, a segnare il tempo, la durata, di un’emozione: “I piatti sono ancora l’uno sull’altro sporchi nel lavello e così li lascerò stasera, perché è come sto dentro./ Domani ci metterò le mani per pulire tutto con un gesto di gratitudine immenso per il tempo che ho perso e penserò: basta devo finire presto”.
Si resta immobili davanti a visioni bambine diventate adulte con noi: “Vorrei raggiungerti cameretta che già fosti un porto/ dove alzai un poster dell’Inter campione/ e sognavo, a ogni assalto di noia, una doccia o una diva”. In questo percorso a ritroso di stevensoniana memoria, siamo come rapiti in un “canto di viaggio” che fa riferimento ai poemi del grande autore de L’isola del tesoro, quelli che rammentano letti a forma di nave e balie che stuzzicano le fantasie bambinesche più ardite.
Ci si interroga su come non dimenticare, e se sia utile farlo: “Dovunque tu sia stato non esisti. A cosa serve avere in tasca l’armistizio/ aspettare calmi quando non ci si è mai visti?”, in Le Dieu caché che ci sussurra un Caproni all’orecchio.
E ancora sentimenti che si rovesciano, che escono dall’altro da sé, e s’impongono con una lucidità disarmante, più che umana: “[…] e forse quanto possa mancare a chiunque un padre/ lontano, che ha bisogno di te ma non lo vuole dire”, come a dirci che il sentire è lì sul tavolo, e tocca a noi scegliere cosa provare.
E se la sezione iniziale Ultime pare osservare questi temi con un’aria distaccata, è con Salire gli anniche ci si addentra in una prossimità fraterna e si costruisce un luogo dove potersi dire che forse non può che essere questo nostro, seppur incerto e opaco, il modo dell’umano procedere.
Se la poesia italiana contemporanea ha anche una sua propizia gestione del verso lungo, dei poemi prosastici che narrano una situazione e sviluppano lungo le righe il percorso di una storia, allora questo libro di Ritrovato, insieme a pochi altri autori, ne è la pietra di paragone, la mappa che tiene il passo deciso, per una strada che ha svoltato ampiamente dal Novecento nazionale. Che questo viaggio intrapreso dall’autore abbia invero stilemi angloamericani, o anche avvisaglie di echi del rumeno Cartarescu, questo è da aggiungere alla prestazione del poeta pugliese, fattosi urbinate. Infatti il suo seme germoglia comunque in una tradizione letteraria ormai intrecciata, dove il mondo delle lettere tornerebbe giustamente ad essere un dialogo anche con le altre lingue, in un sentimento europeo che da qualche parte ci chiede conto e spesso tardiamo, un po’ tutti, a praticare con costanza.