19 Dicembre 2024
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Marco Dell’Omo, I fuggitivi, Nutrimenti Editore 2023, Pag. 320, € 20,00

Il 2 ottobre 1979 nel carcere di sicurezza dell’Asinara, ramo di Fornelli, scoppiò la rivolta “delle caffettiere”: i detenuti, camorristi, brigatisti,  terroristi, se le erano fatte portare cariche di plastico. Renato Curcio, capo storico del BR, ai Fornelli da due anni, “era sempre riuscito a comunicare con l’esterno e far arrivare le informazioni ai compagni”, tanto che, “il 4 settembre 1979, nelle tasche di un brigatista arrestato durante un controllo di routine, fu trovata una mappa dell’isola e del carcere di Fornelli, precisa fino ai più piccoli particolari”. Il piano evasivo vide la resa dei detenuti, ma comportò una inaudita demolizione delle celle.

La storia e i personaggi creati da Marco Dell’Omo, frutto di fantasia, si intrecciano a questa rivolta: tra i detenuti che fa arrivare all’Asinara nel 1979 c’è anche il figlio di Piero Piscopio, Matteo, un ragazzino di dieci anni quando il padre dirigeva il carcere della allora colonia penale agricola dell’Asinara, nel 1960.

Come è possibile che sia in manette proprio il figlio del direttore del carcere?

Dall’Asinara, tra il Mar di Sardegna a ovest, quello di Corsica a nord, l’omonimo golfo a est, separata da uno stretto braccio di mare dalla piccola Isola Piana, era impossibile evadere, così pensava il direttore Piero Piscopio: abitata solo dalle famiglie degli operatori carcerari, i detenuti erano impiegati come contadini e pastori durante il giorno, controllati dalle guardie a cavallo, sottoposti all’appello mattina e sera, al rientro. Il mare non era una facile via di fuga perché il maestrale lì soffia forte, ed era opinione comune che in qualsiasi luogo, anche nella caletta più recondita, ci fosse sempre qualcuno che vedeva. Anche chi aveva provato a evadere era stato ripreso entro le ventiquattro ore. Nel 1960 gli ospiti dell’Asinara erano in genere colpevoli di omicidio.

Piero, la moglie Arianna e il piccolo Matteo vivono in una villa a poche centinaia di metri dal carcere. Arianna è un’ottima nuotatrice, ama il marito e ama nuotare nelle acque di Cala d’Oliva; Matteo conosce l’isola meglio di tutti perché la percorre in cerca delle calette per la pesca. È un ragazzino intelligente, critico, che ascolta, osserva, e solleva domande inquietanti che mettono in crisi anche l’insegnante di religione.

Suo padre era orgoglioso di  dirigere un carcere – e quindi la produttività dell’isola – che mirava a rieducare i detenuti mediante il lavoro,  tanto che  aspettava addirittura  una troupe dell’istituto Luce, che doveva realizzare un documentario.

Succede però che durante un appello serale, tutti in fila, un detenuto anziano colpisca un suo vicino, infilandogli in pancia uno spazzolino da denti ben appuntito, e quella sera il mare è battuto da un maestrale feroce che non permette di usare l’unico motoscafo per raggiungere un ospedale. E succede anche che non ci siano antibiotici, perché i medicinali sono scaduti. Inutili le pressioni del medico su Piscopio perché si trovi una soluzione per il ferito, magari ricorrendo al traghetto di linea: il direttore non accetta, i tempi si allungano e il detenuto muore d’infezione.

Di chi è la responsabilità delle medicine che mancano? Comincia a indebolirsi la posizione del direttore, diventano pungenti le osservazioni di Arianna con cui il marito si confida.

Unici estranei a cui è permesso l’accesso alle acque dell’Asinara sono i pescatori di aragoste di Ponza, che ogni anno vi trascorrono sei mesi, arrivando con le loro feluche, navigazione a vista.

Al momento della nostra storia con loro c’è anche un ragazzino, Vincenzo, che il padre Biagio vuole iniziare ai segreti e al lavoro della pesca delle aragoste. Diventa amico di Matteo che rimane volentieri a dare una mano ai pescatori, a osservare e capire. Qualche volta vi trascorre la notte e nella notte talora si muovono ombre silenziose.

Negli stessi giorni un detenuto giovane, educato, rispettoso, il siciliano Lamanna  lui non aveva ucciso nessuno ma aveva collaborato con una banda di sequestratori – inizia a ricoprire il ruolo di domestico della famiglia Piscopio, nel rispetto di regole rigidissime, pena il trasferimento a carceri peggiori, con obbligo di rientro prima dell’appello serale. Consapevole del privilegio, è lui che mantiene le distanze e le ricorda ad Arianna, quando lei, sola a giornate intere, magari due parole le farebbe volentieri o suonerebbe il pianoforte a quattro mani con lui.

Dell’Omo crea un intreccio intrigante muovendosi tra due momenti della storia dell’isola, avvicinando e contrapponendo situazioni, seminando rari indizi, fermo sulla soglia del mistero, in una storia di dolore: “questa è la storia di una famiglia infelice”.  Alterna punti di vista e voce narrante e offre  splendidi scorci dell’Asinara e del suo mare.

Piero, Arianna e Matteo, arrivarono all’isola colmi di speranze, dice il narratore in apertura, ne ripartirono feriti e disillusi. E macchiati di colpe.

Chi sono i fuggitivi? Perché Matteo si è messo contro la legge nonostante l’educazione ricevuta? Voleva “vendicarsi di un padre meschino e violento”? Voleva riscattare l’onore della famiglia? Resta da scoprire che cosa ha fatto Piscopio, di meschino e violento. E altri misteri.

 

 

Marisa Cecchetti

Marisa Cecchetti vive a Lucca. Insegnante di Lettere, ha collaborato a varie riviste e testate culturali. Tra le sue ultime pubblicazioni i racconti Maschile femminile plurale (Giovane Holden 2012), il romanzo Il fossato (Giovane Holden 2014), la silloge Come di solo andata (Il Foglio 2013). Ha tradotto poesie di Barolong Seboni pubblicate da LietoColle (2010): Nell’aria inquieta del Kalahari.