Roy Jacobsen, Mare Bianco. Saga dei Barroy, Edizioni Iperborea 2023, pag. 256, € 17,50. Traduzione dal norvegese di Maria Valeria D’Avino.
Abbiamo lasciato in un’isoletta a sud delle Lofoten un’unica famiglia che prende il nome dall’isola stessa, Barroy. Questo nel primo libro della saga, Gli invisibili. Sull’isola cuesto nel primo libro della sagi sono tre salici, quattro betulle, cinque sorbi, poi cespugli bassi e lo spazio diviso in nove piccoli prati. Dopo la morte del marito Maria è diventata inattiva, ma la giovanissima figlia Ingrid ha imparato dal padre tutti i segreti del mare e della pesca; la zia Barbro ha avuto un figlio, Lars, da un muratore di passaggio; poi si sono aggiunti Felix e Suzanne, figli di una famiglia borghese che li ha lasciati soli, di cui Ingrid si è presa cura. I Barroy hanno sempre preso dal mare e dalla poca terra coltivabile il necessario per vivere, spostandosi solo per necessità verso un’isola maggiore dove è attivo la Stabilimento di lavorazione del pesce, dove si possono fare acquisti, ci sono la chiesa col pastore e la scuola elementare. L’isola è una sicurezza mentre in tutto il mondo dilaga la prima guerra mondiale, ma lì si lotta col ghiaccio, con le tempeste invernali che distruggono e costringono a chiudersi in casa.
Il secondo romanzo della saga dei Barroy, Mare bianco, ci porta nel pieno della seconda guerra, con la Norvegia occupata dai Tedeschi affiancati dai collaborazionisti norvegesi, quando Ingrid, che ora sta lavorando allo Stabilimento, decide di tornare alla sua isola: Barbro è in ospedale, Lars, Felix e Suzanne se ne sono andati, la madre è morta. Ingrid è sola.
Per fortuna nella dispensa ci sono delle scorte e Ingrid sa tendere le reti in uno stretto braccio di mare tra l’isola e uno scoglio, mentre attende il ritorno di Barbro, con la speranza che anche i più giovani scelgano di nuovo Barroy.
Quando il lettore immagina che Jacobsen ci guidi nella vita di Ingrid, si accorge invece che siamo in mezzo alla guerra. Non si vede la guerra bensì i suoi effetti collaterali in un paese occupato, con la gente che ha perso casa e città sotto i bombardamenti alleati: “La città era distrutta e bruciata e l’avevano rimessa in piedi in modo così pietoso che sembrava un paesaggio montano frastagliato sotto mezzo metro di neve fresca”. I rifugiati sono stuoli di madri, bambini, neonati e vecchi senza casa, giovani che non sanno più niente dei genitori, che a guerra finita saranno imbarcati su una nave stracarica, in un viaggio che sfida il ghiaccio e le tempeste, per essere ricollocati in famiglie e fattorie.
In questo scenario è Ingrid la protagonista. Al suo ritorno a Barroy il mare ghiacciato lungo la riva rivela cumuli strani di stracci che nascondono uomini morti. Portano uniformi tedesche sopra i brandelli dei loro vestiti. Uno respira ancora: lo trascina, lo sveste, lo lava dal suo odore immondo, lo veste con gli abiti del padre, gli fa riaprire gli occhi. Parla una lingua che non assomiglia al tedesco, ma i due cominciano a capirsi parlando ognuno la propria: Alexander è un ingegnere russo a cui Ingrid crea un nascondiglio nella rimessa delle barche, per sicurezza. Nella loro intimità dividono il letto, e col passare dei giorni Ingrid si rende conto che “non avrebbe sopportato una vita senza di lui”.
Per la legge di guerra nessuno può nascondere un nemico, e anche Ingrid subisce ispezioni. Un giorno si trova ricoverata in ospedale dove l’hanno portata carica di lividi, disidratata, senza che lei sappia il perché.
I ricordi emergono a pezzi confusi nei giorni che lei ricostruisce e riorganizza, ma rimane una amnesia da stress, con tanti spazi vuoti e domande a cui cerca una risposta: che cosa le è successo? C’è stata un’ ispezione che l’ha messa in pericolo? Qualcuno ha abusato di lei? Qualcuno l’ha colpita con un manganello? Chi l’ha salvata? Lui è fuggito o è morto? Hanno trovato il taccuino nascosto su cui Alexander ha scritto qualche riga nella sua lingua sconosciuta? Ingrid non si arrende, indaga, chiede, col pensiero fisso ad Alexander e la consapevolezza di una nuova vita che sta maturando dentro di sé.
Coraggiosa, intelligente, concreta, capace di progetti importanti, generosa e accogliente, vedrà di nuovo risuonare di voci e presenze Barroy, con il mare generoso che sfama tutti, con braccia giovani a ridare vita all’isola e a sfatare vecchie paure.
Un romanzo sulle vittime delle guerre di ogni tempo, questo secondo della saga dei Barroy, che trascina il lettore nello scorrere dei giorni e delle stagioni, che ci porta in ambienti scolpiti da neve, ghiaccio e tempeste; un romanzo che sottolinea la possibilità – e il dovere morale- di risollevarsi anche dalle tragedie più nere, di credere nella condivisione e nella solidarietà, nella forza del gruppo: sono questi i momenti in cui ogni forma di differenza sociale, di colore, di etnia, deve scomparire, perché una tragedia comune unisce e va al di sopra di tutto.
Mare bianco lascia in attesa del terzo libro della saga di Barroy anche perché sull’isola una neonata, Kaja, cresce accanto alla madre ed ha gli occhi dell’ingegnere russo; e fa riflettere sulla possibilità di una scelta diversa di vita, faticosa sì, ma capace di compensare con la soddisfazione di ciò che si ottiene con le proprie mani, nella semplicità e nella bellezza.