22 Aprile 2025
Sun

Tristan Gooley, Leggere gli alberi. Una guida per capirli, dalle radici alle foglie, Iperborea 2025, pag. 320, traduzione di Stefania De Franco.

“Gli alberi non vedono l’ora di raccontarci tantissime cose”, scrive Tristan Gooley, autore britannico noto per il suo metodo di orientamento naturale. “Ci parlano della terra e dell’acqua, delle persone e degli animali, del clima e del tempo”. Lo dicono attraverso una serie di dettagli che Gooley  ci aiuta a riconoscere.

Ed è successo che, dopo aver letto questo libro, mentre percorrevo in automobile una via sotto monte che poi sfocia in una soleggiata pianura, pur attenta alla strada, gettassi l’occhio sugli alberi che incontravo, e vi cercassi quei dettagli. Faccio quel percorso da tempo, mi hanno sempre colpito le variazioni dei colori delle foglie, i rami ora coperti dal fogliame, ora nudi, ma adesso li guardavo con una consapevolezza e una curiosità insolite, individuando il lato sopravento e quello sottovento dalla disposizione dei rami, riconoscendo l’effetto del vento sugli alberi “a bandiera”, chiedendomi il perché di un albero latifoglie solitario su un poggio, osservando con attenzione il tronco delle tuie quando sono arrivata in campagna, e come si muovessero solo i rami più alti. Poco, in confronto a tutto ciò che il libro rivela, che dovrebbe assomigliare a un saggio scientifico, invece si fa leggere come fosse un romanzo: ogni pagina è una scoperta, i disegni sono di chiarimento.

Gooley ci porta nei boschi, ci indica le differenze tra le piante sui bordi e quelle all’interno, ci svela gli effetti della luce anche nel folto; dalla presenza di alcuni tipi di foglie ci dice che l’acqua è vicina, racconta il perché delle conifere a certe altezze e in certi terreni, chiede attenzione per le radici, osserva le ferite e il metodo con cui gli alberi le curano…

Ma Gooley ci fa anche il dono di portarci davvero nel suo quotidiano, nei percorsi sulle colline del Sussex e altrove, sempre orientandosi con gli indizi che ricava dalle piante, mai perdendosi, anche su un percorso sconosciuto.

La luce è vita, e gli alberi la inseguono, si piegano, si innalzano vero di lei, se la contendono. Le foglie raccontano, con la forma, il colore, la linea che portano al centro, anche con la loro caduta in autunno: fa tenerezza, come se fossero umane, sapere che la pianta le priva di nutrimento in quella stagione, gli mangia il verde, e loro aspettano il colpo di vento che le stacchi dal ramo: “Loro cambiano e muoiono in base a un piano premeditato e attivo, più simile all’eutanasia che al lungo processo dell’invecchiamento naturale”.

Scoprire che in una zona danneggiata arrivano presto gli alberi “lepri”, quelli colonizzatrici, è di conforto: si tratta di salici, ontani, larici, betulle, biancospini, che vogliono ambienti luminosi; poi scopriamo che le lepri sono “vincenti nel breve periodo, ma nel giro di un secolo la maggior parte non ci sarà più, rimpiazzata dalle “tartarughe”, che crescono lentamente, resistono anche all’ombra, ma poi superano i rivali vincendo la partita: si tratta del faggio, del tasso, dell’agrifoglio, della tsuga.

Non avevo mai riflettuto sul fatto che un albero, per crescere in altezza, abbia “bisogno di tantissima energia, e di trasportare tonnellate d’acqua fino in cima”; che si libera dei rami superflui più bassi per arrivare alla luce; che li sviluppa secondo il contesto in cui si trova; che cambia forma invecchiando, come gli umani.

Ma come fanno gli alberi a sapere quando è primavera, e ricoprirsi di gemme, di foglie e di fiori? Ebbene, gli alberi misurano il tempo: “per stabilire che stagione è usano innanzitutto due elementi: la lunghezza della notte e la temperatura”. Se dipendesse solo dalla lunghezza delle notti, chiarisce Gooley, vedremmo spuntare le foglie nello stesso giorno, ogni anno, e sarebbe noioso. Dipendendo invece anche dalla temperatura, tutto rimane variabile e più interessante.

Leggere gli alberi è un percorso nel verde che conquista a ogni pagina, presi per mano dall’autore con familiarità. A lettura conclusa ci sentiamo di appartenere davvero a una famiglia più ampia che si merita uno sguardo attento, direi affettuoso.

Marisa Cecchetti

Marisa Cecchetti vive a Lucca. Insegnante di Lettere, ha collaborato a varie riviste e testate culturali. Tra le sue ultime pubblicazioni i racconti Maschile femminile plurale (Giovane Holden 2012), il romanzo Il fossato (Giovane Holden 2014), la silloge Come di solo andata (Il Foglio 2013). Ha tradotto poesie di Barolong Seboni pubblicate da LietoColle (2010): Nell’aria inquieta del Kalahari.