22 Novembre 2024
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Mimmo Gangemi, L’atomo inquieto, Solferino Editore, Milano 2022

METAFISICA. “Ettore Majorana è caduto in mare dal postale fra Palermo e Napoli e non è più riaffiorato sono categorico”, dice Carlo Ferretti al giovane pastore Michele nei pressi della Certosa di Serra San Bruno (in Calabria) durante l’anno 1938. Mimmo Gangemi in questo L’atomo inquieto cerca un legame fra le tante vite di Ettore Majorana, la sua scomparsa (fa fede, in questo senso, il titolo e la definizione dell’enigmatico fatto occorso all’ordinario catanese di fisica teorica presso l’Università di Napoli, chiamato per chiara fama, fornito da Leonardo Sciascia nel 1997 nel suo La scomparsa di Majorana) e la ricostruzione di un unico grande disegno (cosciente?) entro il quale inquadrare il significato di un’esistenza che non fu delle più tranquille e nemmeno delle più ordinarie. Gangemi insiste nella ricerca di questo significato, quasi che l’accadimento della scomparsa di uno dei ragazzi di Via Panisperna (con a capo il “Papa”, Enrico Fermi) volesse restituire il senso di un’intera generazione, di una globale storia politica e di una singola esistenza personale.
In questo quadro il demone che ha condotto alla scomparsa (Gangemi afferma che Majorana mai prese il postale da Palermo a Napoli e che, invece, riparò in Calabria a fare il frate, l’asceta, il metafisico) non è altro che una strana voce (la creatura, la chiama l’autore di questo romanzo che è noto al grande pubblico per la fiction Il giudice meschino, con Luca Zingaretti, tratta da un suo romanzo del 2009 e andata in onda su Rai1 nel  2014) che perseguita, blandisce, consiglia, accudisce, esorta lo stesso Ettore Majorana all’interno della sua testa.

MA C’E’ ANCHE DELL’ALTRO. “Eccomi un altro da aggiungere ai precedenti. Ognuno ha avuto una sua storia, distante, indipendente. Ettore Majorana era un disadattato che fuggiva da sé stesso. Carlo Ferretti un disperato che si affidava all’inganno dell’estremo rimedio. Martino Sereni, un camuffamento per sottrarsi agli americani e agli inglesi e per non tarare la famiglia con una malattia intrisa di pregiudizio. Karl Weitner era un fuoco di passione scientifica, competeva con Enrico Fermi, collaborava con i grandi fisici tedeschi, parteggiava per la Germania. Fin qui, identità innocenti – anche quella di Weitner, gli abbagli presi a mutarlo in colpevole. Quelle di dopo sono tragiche. Andreas Blnkenhorn è occorso per scappare e per occultare Karl Weitner – che a sua volta occultava Majorana – ricercato in quanto criminale di guerra, lui ad aver percorso l’esistenza più breve, e più da giramondo, se ha attraversato l’Atlantico ed è finito in Argentina. Andrès Bini, non so, intanto è ai primi vagiti, e va a nascondersi dai nazisti che pur ha abbracciato”, scrive Mimmo Gangemi. In realtà la voce che parla dentro di lui (l’ottava vita delle sette raccontate in questo romanzo che unisce acribia filologica ma anche ricostruzioni linguisticamente calibrate in base al territorio nel quale, di volta in volta, Majorana insiste e risiede) non è l’unico movente della scomparsa. Ce ne sono altri!

L’AMORE, LA SCIENZA, LA MALATTIA, LA RELIGIONE, LA POLITICA, IL VAGABONDAGGIO, LA FUGA. Il totale di queste sette vite è rappresentato da sette luoghi metafisici che Ettore Majorana attraversa. Racconta, in soggettiva, l’intera storia un io narrante che scopriamo essere Andrès Bini, in un posto non meglio definito della Calabria ionica – e siamo al primo luogo: il vagabondaggio. Si susseguono poi gli altri sei luoghi metafisici: la tubercolosi (la malattia, Palermo, 1938), a Berlino nel 1939 – la scienza, la religione (il rifugio nella Certosa sotto il nome di Carlo Ferretti), l’amore a Berlino e a Valencia, rispettivamente, con Hertha e la maestra Morena, ultimi due luoghi metafisici: la fuga e la politica.

IL SIGNIFICATO. Attraverso il passaggio di questi sette (otto con quello costante della creatura che attraversa i pensieri della sua mente), Ettore Majorana, in coma (cosciente-incosciente) traccia la traccia di un filo conduttore, a sua volta metafisico, che gli restituisca il significato (ovviamente, anch’esso, elemento metafisico) di una storia che, dalle simpatie naziste alle grandi intuizioni scientifiche alla presenza minacciosa dei servizi segreti (fascisti) alla ricerca di una stabilità emotiva e sentimentale per uno che ha, fino a quel momento, avuto esperienze di donne solo nei casini (ed è anche additato come omosessuale). Un “filo metafisico” che cerca un significato impossibile a dirsi. Impossibile come il numero atomico dell’uranio (quel 92 che contraddistingue il numero dei protoni contenuti in un nucleo atomico, costituito, come si sa, appunto da protoni e neutroni) il quale serve, attraverso una reazione a catena, la presenza di un motore nucleare e di una massa critica, a costruire la bomba atomica. Impossibile il quantitativo di «uranio» alla Germania hitleriana secondo Werner Heisemberg ma possibile agli americani – grazie alla scissione del nucleo intravista dallo stesso Ettore Majorana – ai quali “a fornire il materiale nucleare è stata proprio la Germania”. Il significato di tutto questo non è chiaro. Amore, scienza, politica, eremitaggio. Una vita settupla, quella di Ettore Majorana (o ottupla se consideriamo la creatura) che corre lungo il crinale di un secolo (il XX°) contraddittorio e percorso da più voci. Il romanzo di Mimmo Gangemi ne riesce a raccontare (a raccogliere) qualcuna. Probabilmente Ettore Majorana è stato molto più che la sua scomparsa. Probabilmente c’era in lui un’ansia di ricerca e di scoperta che lo tormentava. Probabilmente il fascismo non ha mancato di fare la sua parte in questa storia.

Gianfranco Cordì

Gianfranco Cordì (Locri, 1970), ha scritto dodici libri. E' dottore di ricerca in filosofia politica e giornalista pubblicista. Dirige la collana di testi filosofici "Erremme" per la casa Editrice Disoblio Edizioni. Dirige le tavole rotonde di filosofia del Centro Internazionale Scrittori della Calabria.