Autonomia differenziata, Italia strangolata
Il vecchio Renee Descartes avrebbe potuto mai “pensare” (cosa a lui congeniale, visto che aveva affermato cogito ergo sum) che sarebbe finito nel tritacarne dell’autonomia differenziata? Eppure il filosofo del Discorso sul metodo ci ha insegnato che per conoscere qualcosa abbiamo bisogno di idee chiare e distinte, cioè differenziate, non analoghe e meno che mai omogenee e unificate.
Roberto Calderoli ha le idee chiare?
Ecco il punto: adesso le regioni a statuto ordinario potrebbero chiedere alcune competenze allo Stato centrale (e trattenere il gettito fiscale relativo), comprese tra quelle che l’articolo 117 (terzo comma) della Costituzione prevede nei rapporti internazionali e con l’Unione europea, il commercio con l’estero, la tutela e sicurezza del lavoro, l’istruzione, le professioni, la ricerca scientifica e tecnologica, la tutela della salute, l’alimentazione, l’ordinamento sportivo, la protezione civile, il governo del territorio, i porti e gli aeroporti civili, le grandi reti di trasporto e di navigazione, la comunicazione, l’energia, la previdenza complementare e integrativa, il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, la cultura e l’ambiente, le casse di risparmio e gli enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Alla faccia di Cartesio…
Claram voco illam (ideam) quae menti attendenti praesens et aperta est: sicut ea clare a nobis videri dicimus, quae, oculo intuenti praesentia, satis fortiter et aperte illum movent
ha scritto nei Principi della filosofia. Chiara è, dunque, quella idea che è presente e aperta a una mente che vi attende. Questa autonomia differenziata proposta dal ministro degli Affari regionali Roberto Calderoli sembra partire da una serie di caratteristiche funzionali a una ridondanza, un pleonasmo. Sembra cioè superflua.
Questo governo reputa dunque chiaro che le regioni a statuto ordinario possano rivendicare una qualche forma di autonomia. Ma non è distinto che tale autonomia debba essere differenziata.
Se è chiaro che la proposta di autonomia differenziata delle regioni italiane a statuto ordinario si incentra sull’autarchia, sul principio di identità, sul solipsismo, è altrettanto cartesianamente chiaro che questa autonomia già di per sé è differenziata. Poiché mi sembra possa tranquillamente essere escluso che una certa regione italiana richieda la stessa autonomia di un’altra regione differente a essa. Dunque l’autonomia – ministro Calderoli – è già differenziata. Siamo monadi leibniziane (questo, in fin dei conti, è il mantra della destra; di ogni destra che io ricordi) e per il “principio di identità degli indiscernibili” siamo monadi ognuna diversa dall’altra, siamo differenziate. Cartesianamente Calderoli è stato sì chiaro, ma non è stato affatto distinto. Per cui l’autonomia (essendo già differenziata per definizione e per forza di cose) potrebbe essere l’unica cosa che resta in piedi di questa proposta di riforma costituzionale. Ma se noi abbiamo già cinque regioni autonome allora si va a decidere cosa?
1) Tutte le altre regioni (al momento non autonome) vorrebbero diventare autonome: in questo caso avremmo un Paese di regioni a statuto speciale e quindi nessuna regione sarebbe a statuto speciale e quindi si avrebbe un Paese di regioni a statuto ordinario?
2) Alcune regioni a statuto ordinario vorrebbero richiedere l’autonomia rispetto a tutti o parte dei punti stabiliti al 117, terzo comma della Costituzione. In questo caso avremmo un Paese in cui tutte le regioni sono autonome rispetto ad alcuni settori.
Insomma, un Paese federalista. Dunque la proposta di Roberto Calderoli è quella di approvare una riforma costituzionale che vada in senso federalista rispetto al rapporto Stato-Regioni. D’istinto verrebbe da dire: non chiamatela autonomia differenziata, ma chiamatela riforma federalista dello Stato.
Chiaramente questa lettura filosofica dell’autonomia differenziata ci conduce solo a sottigliezze linguistiche. Resta il fatto che questa proposta prevede, in soldoni, che ogni regione faccia a modo suo. E quel che ne sembra derivare è un indebolimento dello Stato centrale. Ma si potrebbe dire che invece è un modo per liberare lo Stato centrale da alcuni problemi e caricare le regioni di “possibilità”. Anche se questo sofisma ha tanto l’aria della fregatura.
In definitiva un Paese di regioni a statuto speciale toglie di mezzo la nozione di “statuto speciale”. Cioè si istituzionalizza l’eccezione. Ora ti riconosco Italia. Un Paese di “eccezioni”. Senza regole. O meglio: troppe regole, nessuna regola.