Iran/Iraq: come distruggere Israele
I tempi recenti dell’informazione italiana si possono riassumere così: media schizofrenici alla rincorsa di immagini dalle università occupate da studenti pro Palestina, addirittura con chiamata alla guerra santa da parte di un imam…
Eppure accadono molte cose nel mondo. E su un tema si sarebbe voluto leggere di più: la morte del presidente iraniano Raisi.
Di fatto è stata scartata l’ipotesi della successione di Raisi a Khamenei. Mentre la successione al ruolo di Guida suprema da parte del figlio stesso di Khamenei non pone eccessivi problemi alle Guardie della rivoluzione. Questo cosa comporta in pratica per l’Occidente? Nulla di promettente.
Facciamo un passo indietro.
Il professor de Mattei ha spiegato cosa significhi la presa di Gerusalemme per gli europei su Corrispondenza Romana: «Il primo obiettivo del Fronte islamico, come del Movimento di Resistenza Islamico (Hamas), è la riconquista di Gerusalemme, la città da cui il profeta Maometto avrebbe spiccato il volo su un carro di fuoco e dove sorge la Moschea Al-Aqsa, costruita sulle rovine del Tempio. Il secondo obiettivo è la conquista di Roma, definita anche la “Mela Rossa” (Kizil-Elma), in analogia con il globo d’oro che sormontava la statua dell’Imperatore Costantino nella capitale bizantina. Dopo Costantinopoli, Roma è divenuta la “Mela Rossa”, ossia la meta finale del trionfo dell’Islam sulla Cristianità».
Ora, visto che la geografia vale doppio in questi ambiti, notiamo che la residenza del grande Ayatollah sciita in Iraq, l’ultranovantenne Sistani, si trova a Najaf che è simbolicamente, ideologicamente e strategicamente assai importante. È il luogo più sacro per gli sciiti dopo La Mecca e Medina. Vi si trova la tomba del martire Ali e qui, oltre che a Karbala in Iraq non assistiamo a un mero simbolismo religioso, ma ci si rivela un modo potente per arruolare i non-iraniani a una insurrezione culturale e sociopolitica ben più ampia.
Anche oggi, parlando con iraniani di seconda generazione (nati all’estero) si ricava la percezione che l’Iraq non sia un vero e proprio Paese ma semmai una emanazione della storia persiana. In età moderna la capitale dell’impero persiano ricadeva nell’attuale Iraq, Teheran doveva emergere successivamente.
Ora, la scomparsa di Raisi ha lasciato mani libere alle Guardie della rivoluzione mentre la religione viene usata non tanto come strumento politico, ed inserita nell’aura psicologica che sta a fondamento storico del regime iraniano.
Discorso diverso per Hezbollah in Libano, che rappresenta l’apice ideologico, la fiducia e lo sforzo di diffondere la rivoluzione iraniana come modello per le altre parti del Medio Oriente. Il suo leader Hassan Nasrallah aderisce alla dottrina del velayat e-faqih, cosa che non avviene per il regime siriano Assad. Questa dottrina prevede che in attesa della venuta dell’ultimo imam il prestigio sia detenuto dall’Ayatollah (Khamenei): mentre presso i leader sciiti iracheni questa credenza è rarefatta in quanto Sistani ritiene che essa comporti un coinvolgimento minore negli affari politici rispetto al concetto di Khomeini.
L’Iran si trova oggi di fronte a un concorrente in Iraq con credenziali spirituali forti. Ma non bastano. Sistani ha perseguito una versione più distaccata dell’autorità sciita, tra il quietismo e l’attività politica diretta. Sembra essere più interessato al quadro generale della società che all’effettiva definizione di politiche governative. Lo riprova la sua fatwa “democratica”, in cui ha premuto per la necessità di un consiglio costituzionale eletto e non nominato. Quanto al ruolo della religione, Sistani non si impegna a fornire garanzie specifiche, ma si aspetta che sia determinato naturalmente dagli iracheni musulmani. Quel che è chiaro è la sua ferma opposizione alle macchinazioni e al coinvolgimento iraniano che comprometterebbero la sovranità irachena.
Dopo la caduta del regime Baath nel 2003, Sistani è riuscito a creare un polo teologico in grado di rivaleggiare con quello iraniano di Qom. Torniamo cosi al punto di partenza e alla diffusione dei sentimenti filopalestinesi in Europa.
Il baathismo, originariamente portato a battesimo dal filosofo cristiano ribelle Michel Aflaq (morto convertito all’islam ed esautorato alla corte del giovane Saddam, già in ruolino di marcia della CIA), rischia oggi di presentarsi con le sfumature corrusche tipiche di ogni ripetizione storica che è farsa tragica. Il neo-baathismo è responsabile dell’attacco dello scorso ottobre. Poi, certo, ci sono state anche le “svirgolate” di certa cultura analitica che parlava di funzioni politiche di Hamas in Palestina per l’impegno profuso nella gestione degli ospedali. Si è visto cosa contenevano, nei sotterranei (https://www.csis.org/analysis/gazas-health-sector-under-hamas).
Ricordiamo però che paradossalmente Zahir Muhsein, legato alla fazione baathista filo-siriana dell’OLP tra il 1971 e il 1979, affermava che non esisteva alcun “popolo palestinese”, e che non appena Israele avesse consentito la creazione di uno Stato della Palestina vero e proprio, esso si sarebbe abbattuto sugli ebrei per privarli della loro terra e cederne la sovranità alla grande Giordania.
Di qui si capisce perché Hamas non intende accedere alla soluzione dei due Stati che lo priverebbero di ragion d’essere.
Oggi in Iraq Sistani ha seguaci che combattono in milizie formate, allorché lanciò un appello non settario per contrastare l’ISIS. E in seguito egli ha incoraggiato le milizie sciite a unirsi alle forze di sicurezza del governo centrale iracheno piuttosto che operare sotto l’ombrello organizzativo iraniano. A differenza delle milizie pro-Sistani, molte delle fazioni vicine a Khamenei sono determinate a tenersi le mani libere per condurre le guerre per procura iraniane in tutto il Medio Oriente.
E qui si chiude il cerchio. Con la scomparsa “in elicottero” di circa un mese fa, le Guardie rivoluzionarie hanno mandato un segnale, un pizzino, alle autorità religiose sia in Iraq che in Iran. E l’età avanzata di Sistani, oltre i 90 anni, rende Najaf e la sua “cattedra” un obiettivo primario per i decisori politici di Tehran.
Sistani è un problema relativo per l’Iran proprio per le sfide che pone alla sua cultura strategica. Ma se l’approccio di Sistani alla politica dovesse avere la meglio (scenario ipotetico), l’Iran avrebbe gravi problemi in termini di reclutamento e di legittimazione.
Da ultimo si registra in Iraq la figura di Muqtada al-Sadr che è il leader di un’altra fazione sciita il quale, benché aderisca alla dottrina di Khomeini, sottolinea maggiormente il nazionalismo arabo. Quindi nonostante l’ingresso liscio dell’Iran lungo i gangli della popolazione sciita irachena, Teheran non è stata in grado di consolidare e unificare la società irachena così come Hezbollah è riuscito a fare in Libano.
Arduo fare pronostici ma stando così le cose il sentiero dell’Iran sarà quello dell’iper-politicizzazione e del fatto religioso, con la variante sciita duodecima, relegato nel ripostiglio delle idee desuete. Che fanno più male, perché non intese da chi si trova a viverle e ne viene manovrato.