19 Dicembre 2024
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Gisèle Halimi, Una feroce libertà, con Annick Cojean e uno scritto di Daniela Dawan, FVE Editori 2024, pag. 144, traduzione di Lamberto Santuccio.

 

Non avrebbe potuto immaginare che nel marzo 2024 la Francia sarebbe diventata il primo paese del mondo a inserire il diritto d’aborto nella Costituzione, Gisèle Halimi (1927-2020) avvocata nata a Tunisi quando era colonia francese, lei che nel 1972, nel processo di Bobigny si batté in difesa di una giovane violentata a sedici anni, Marie Claire, che aveva abortito e denunciato il violentatore, quando l’aborto era un reato in base a una legge del 1920. Che aveva fatto nascere Choisir la cause des femmes in difesa dell’aborto gratuito e, a sostegno della causa, il Manifesto delle 343, con le firme delle donne più note e importanti.

Non ha mai avuto paura Gisèle Halimi, né davanti ai giudici, né davanti alle offese e alle minacce, neppure quando, giovanissima avvocata, ha difeso una militante indipendentista musulmana, Djamila Bouchapa, torturata per trentatré giorni, incontrata in carcere ad Algeri, zoppicante, con qualche costola incrinata, segni di bruciatura sul seno e sulle cosce, stuprata dai militari francesi con un collo di bottiglia. Era il tempo delle guerre di indipendenza dalla Francia negli anni ’50 ’60, e la ragazza aveva piazzato un ordigno in un bar, disinnescato prima che esplodesse. Gisèle Halimi aveva divulgato i dettagli della tortura con la collaborazione di Simone De Beauvoir, venendo meno al segreto professionale, lei, avvocata francese che aveva sopportato anche gli sputi in tribunale e le grida di traditrice della Francia perché difendeva i militanti anticolonialisti, ma per lei la legalità e la giustizia non erano sempre conciliabili: la ragazza ottenne l’amnistia dopo la firma degli accordi di Evian sulla indipendenza algerina, nel 1962. Anche la difesa di due giovani amiche stuprate in un campeggio presso Marsiglia – era il 1978 – vide la condanna di tre imputati, nonostante la Halimi fosse stata minacciata di morte, e aprì la strada alla legge del 1980 che avrebbe riformulato la definizione di stupro come crimine, non come attacco contro il pudore.

Si è battuta contro ogni forma di ingiustizia, di razzismo, di discriminazione nei confronti delle donne, facendo la spola tra Tunisi e l’Eliseo nel succedersi dei vari presidenti, per chiedere la grazia alle sue assistite, lei, nutrita di letteratura francese, consapevole che la storia ha reso le donne invisibili cancellando l’apporto che hanno dato al progresso umano. Ribelle, impetuosa, instancabile e libera fin dalla prima infanzia, quando aveva cominciato a gridare – non è giusto – davanti ai privilegi dei fratelli di cui doveva essere serva perché donna, aveva vinto la sua lotta familiare con lo sciopero della fame, a dieci anni. Del resto le era ben noto come suo padre avsse tenuta nascosta la sua nascita per tre settimane, anche se aveva già un figlio maschio, in quanto femmina, quindi una vera catastrofe.

Non si adattava alle abitudini illogiche che avevano reso le donne oppresse e sottomesse, andava contro le regole superstiziose sfidando a suo modo Dio, non accettava che in sinagoga le donne fossero spettatrici mute, leggeva di nascosto la notte, avida di conoscenza. Frequentò le scuole grazie ad una borsa di studio per famiglie povere, si distinse subito dal fratello ripetutamente bocciato, volò a Parigi nella stiva di un vecchio cacciabombardiere inglese e si laureò in Legge e in Filosofia nel 1949. Quando presta giuramento all’Ordine, a Tunisi, sente che quella formula non le si addice, va cambiata perché non giusta, poi comincia a lavorare in uno dei migliori studi della Tunisia, guardata dall’alto in basso nei tribunali, perché giovane e donna.

Amica di Sarte, di Simone di Beauvoir, di Cartier- Bresson, di Neruda, di Chomsky, divisa tra il ruolo di madre e quello di avvocata, per più di tre anni alla Assemblea Nazionale dove ha redatto dozzine di proposte di legge per migliorare la vita delle donne, ferocemente libera sempre, Gisèle Halimi è stata una avvocata penalista che ha aperto la strada a cambiamenti radicali, lei che dice di sé: “Amo le persone libere e infuocate”. Alle donne di oggi raccomanda l’indipendenza economica, l’egoismo che rifiuta le convenzioni, il rifiuto dell’obbligo di fare figli se non per scelta, e invita a lottare sempre, ricordando che “le lotte sono una dinamica. Se ci si ferma crollano […] Perché i diritti delle donne sono sempre in pericolo. Siate sempre all’erta, attente, combattive, non lasciate impunito un gesto, una parola, una situazione che attenti alla vostra dignità. Alla vostra e a quella di tutte le donne”. Una feroce libertà si apre con riflessioni di Daniela Dawan, avvocato penalista e scrittrice di origine libica, che introducono l’intervista di Annick Cojean a Gisèle Halimi all’età di novant’anni.

Marisa Cecchetti

Marisa Cecchetti vive a Lucca. Insegnante di Lettere, ha collaborato a varie riviste e testate culturali. Tra le sue ultime pubblicazioni i racconti Maschile femminile plurale (Giovane Holden 2012), il romanzo Il fossato (Giovane Holden 2014), la silloge Come di solo andata (Il Foglio 2013). Ha tradotto poesie di Barolong Seboni pubblicate da LietoColle (2010): Nell’aria inquieta del Kalahari.