18 Ottobre 2024
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Singh. Se questo è un uomo…

Satnam Singh veniva dall’India. Ha attraversato il Mediterraneo. È sbarcato a Napoli. È finito nell’Agro Pontino, precisamente tra due frazioni di Latina: Borgo Santa Maria e Borgo Montello. A fare che? A raccogliere cocomeri. Ma l’azienda dove lavorava non si occupava solo dei cocomeri. Nella serra dell’ingresso c’erano piante, rosmarini e altre spezie. E zucche e zucchine. E cocomeri.

Bisognava preparare la serra per la coltivazione dei meloni. Satnam è rimasto incastrato. C’erano un macchinario avvolgi-plastica e un trattore. Il trattore tira e la plastica bisogna pure avvolgerla. Satnam è rimasto incastrato nel macchinario utilizzato per avvolgere la plastica. Satnam ha perso un braccio.

Il nostro bracciante, nell’Agro Pontino, amputato, con una copiosa perdita di sangue, con la frattura delle gambe. Con la moglie Sony che continuava a urlare. Satnam in quel momento non ha pensato agli scafisti che l’hanno condotto qui in Italia e nemmeno al lavoro in nero, al lavoro povero, al lavoro senza tutele, alla sua mancata registrazione che avrebbe costituito il primo passo per ottenere la cittadinanza.

Ha pensato, come tutti quelli a cui capita un simile incidente, a tenere a bada il dolore e a salvarsi la vita. Come salvarsi la vita? Satnam aveva 31 anni: un corpo massacrato e abbandonato. Abbandonato di fronte al cancello della sua baracca, col braccio messo in una cassetta della frutta. Abbandonato!

Non in un ospedale, non come un cittadino, non come un essere umano. Come un corpo – esattamente come un corpo (con gli organi e gli arti) – per il quale la vita non è bios (vita sociale, politica, culturale, sovrastrutturale, vita civile) ma zoe. Come dice Giorgio Agamben, la «nuda vita». Il corpo, gli organi, gli arti, le parti del corpo, l’intestino.

I caporali e le regole del mercato decidono i “destini personali” (la definizione è di Remo Bodei). I diritti sul lavoro li decidono le multinazionali? E gli abusi? Il lavoro senza tutele?

Ma tutto questo non è passato nemmeno per un attimo nella mente di Satnam Singh. Il bracciante indiano che voleva solo salvarsi la vita. O almeno quella povera cosa che non è più la vita con una cittadinanza e dei diritti, ma la «nuda vita». Lo stesso stare al mondo, l’esserci (l’«essere gettato» diceva Martin Heidegger, quasi suo malgrado e dentro questo mondo). La vita che è solamente elan vital, energia che si dispiega fin tanto e fin quanto si può dispiegare.

Questa energia per Satnam invece è finita due giorni dopo all’Ospedale San Camillo dove alla fine era stato portato con l’elisoccorso. Ma Satnam Singh non pensava a nulla di tutto questo. Nella «nuda vita» il dolore è lancinante. Il corpo con gli organi reclamava i suoi diritti. I diritti. Le tutele. Appunto: Satnam Singh non pensava a tutto questo: la carne gridava, il sangue usciva. Eppure da qualche parte ci dovevano essere pure dei diritti, o almeno: qualcuno che ci pensasse. Che ci pensasse per Satnam, che in quel momento non poteva pensare che alla «nuda vita».

Fuori dal recinto della civiltà, della politica, dell’umanità e della cultura, fuori dalla polis c’è solo un corpo. E un braccio in una cassetta della frutta.

Gianfranco Cordì

Gianfranco Cordì (Locri, 1970), ha scritto dodici libri. E' dottore di ricerca in filosofia politica e giornalista pubblicista. Dirige la collana di testi filosofici "Erremme" per la casa Editrice Disoblio Edizioni. Dirige le tavole rotonde di filosofia del Centro Internazionale Scrittori della Calabria.