La chimica tedesca diventa cinese…
Là dove il Neckar sfocia nel Reno, sulla sponda del fiume Ludwigshafen, si trova il più grande impianto chimico del mondo, con una superficie di dieci chilometri quadrati. La Badische Anilin- & Sodafabrik, meglio conosciuta come BASF, ha sviluppato e ampliato lo stabilimento dal 1865. Qui lavorano 39.000 dipendenti, più di uno su tre dei 110.000 dipendenti dell’azienda in tutto il mondo.
Ma i tempi in cui BASF cresceva in Germania sono finiti: l’azienda ha incaricato un fornitore di servizi statunitense di trovare un acquirente per gli impianti chiusi l’anno scorso. La vendita della filiale Wintershall Dea alla compagnia petrolifera britannica Harbour Energy è stata approvata dal Ministero federale dell’economia. Gli investimenti vengono effettuati soprattutto nel settore delle energie rinnovabili: un nuovo forno di cracking entrato in funzione in aprile non è più alimentato da gas naturale, ma semmai da elettricità verde, che BASF acquista da un parco eolico nei Paesi Bassi in cui la società ha una partecipazione.
In Cina, invece, il gruppo sta investendo dieci miliardi di euro in nuovi impianti produttivi. Qualcosa del genere lo si chiama cambiamento strutturale e Markus Kamieth, il nuovo CEO di BASF dalla fine di aprile, lo conosce in quanto figlio di un minatore nato a Dinslaken nella regione della Ruhr. Nella sua vecchia patria non ci sono miniere da molto tempo.
La Germania non è più una sede attraente per l’industria chimica? Kamieth risponde a Cicero con parole chiare: “Apporteremo cambiamenti a medio termine per le strutture industriali. I settori ad alta intensità energetica in Europa hanno maggiori probabilità di contrazione che di crescita”. A lungo termine i prezzi dell’energia in Germania sarebbero significativamente più alti rispetto a prima della guerra in Ucraina. “Non possiamo ignorare il fatto che le condizioni generali stanno cambiando, soprattutto il business dei prodotti chimici di base ad alta intensità energetica in Germania si è deteriorato.”
Kamieth ha trascorso tutta la sua vita professionale presso BASF. Dopo aver conseguito il dottorato in chimica organica all’università, nel 1999 si è trasferito a Ludwigshafen. Due anni dopo lavorava nello staff di un membro del consiglio di amministrazione, e nel 2005 si è recato per l’azienda negli Stati Uniti ed è diventato membro del consiglio di amministrazione nel 2017.
BASF non produce per il cliente finale. A differenza della Bayer, i prodotti dell’azienda con sede a Ludwigshafen non si trovano direttamente nei supermercati e nelle farmacie. Tra i suoi clienti, l’industria automobilistica, edile ed elettrica. Se le loro vendite diminuiscono stabilmente, ciò avrà conseguenze per la nuova dislocazione. Kamieth afferma recisamente: “Per le prospettive dell’industria chimica in Europa è determinante la crescita delle nostre industrie clienti. E questo include quasi tutte le industrie manifatturiere. Se l’Europa resta un luogo competitivo e in crescita per la produzione industriale, anche l’industria chimica vi avrà un buon futuro.” Un grande “se”, perché l’Europa, e soprattutto la Germania, come polo industriale con i suoi alti prezzi dell’energia, è sotto pressione.
Non si costruisce abbastanza, la produzione industriale diminuisce e sempre più aziende energetiche si stanno spostando all’estero. Non c’è da stupirsi che Kamieth guardi ad est: “La nostra strategia è produrre localmente per i mercati locali e quindi vicino ai nostri clienti. Investiamo in Cina perché è il mercato chimico del futuro.” Il mercato cinese in crescita viene rifornito tramite i siti di produzione presenti in loco.
Ma il capo della BASF vuole anche trasmettere ai tedeschi quanto un’industria forte, una solida formazione e posti di lavoro siano importanti per la prosperità e la stabilità sociale: “Dovremmo tutti avere un grande interesse per un panorama industriale forte in Germania e in Europa. Ciò richiede inevitabilmente un’industria chimica forte.” A suo avviso, la politica dovrebbe fissare obiettivi realistici e creare condizioni affidabili per la loro attuazione, invece di abbassarsi al livello dei singoli individui volendi regolare tutto tramite le tecnologie. E queste condizioni-quadro includono un’infrastruttura funzionante, soprattutto nel settore energetico. “È chiaro che per raggiungere il nostro obiettivo di emissioni nette zero, abbiamo bisogno di un’infrastruttura significativamente sviluppata ed ampliata per l’elettricità, l’idrogeno e la CO₂”.
Nonostante tutti i problemi, Markus Kamieth non è un apocalittico: per lui “parlare di imminente deindustrializzazione sarebbe un’esagerazione. Dovremmo riflettere sui nostri punti di forza e lavorare insieme sulla competitività dell’Europa.”
[di Stefan Laurin, CICERO – Magazin für politische kultur, luglio 2024]