20 Settembre 2024
Culture Club

Il muro dei ciliegi

«E respirando brezze che dilagano su terre senza limiti e confini/Ci allontaniamo e poi ci ritroviamo più vicini» cantava Lucio Battisti nel 1973, in una canzone che fu tacciata di esaltazione del fascismo a causa del verso: «Planando sopra boschi di braccia tese». Ma il fascismo non c’entra e non può essere leit motiv costante dei commenti politici.
In realtà questi «limiti» e «confini» oggi li avvertiamo non come qualcosa che ci allontana/avvicina, ma semplicemente come qualcosa di politicamente problematico. Prendiamo l’Unione Europea. I suoi confini, tra nazioni che entrano e che escono, sono cangianti e mutevoli. Prendiamo la stessa globalizzazione, che non ha confini, essendo essa stessa, appunto, globale, totale. Ma «respirando brezze» quello che si può dire è che i limiti, i confini, gli orli, i bordi, le frange, in quanto zone di intersezione e di delimitazione, sono stati anche segnati da muri: a Gerusalemme ce n’è uno; fra il Messico e l’America, il candidato presidenziale repubblicano Donald Trump ne vorrebbe piazzare un altro; tra Arabia Saudita e Yemen ve ne è uno costruito nel 2013. Altri ce ne sono tra Ceuta e Melilla (in Marocco), a Cipro (fra la zona greca e la zona turca), tra la Bulgaria e la Turchia, tra Iran e Pakistan, tra Israele e Egitto, tra Corea del Nord e Corea del Sud, tra Marocco e Sahara Occidentale, a Belfast (tra la zona cattolica e la zona protestante), tra Zimbabwe e Botswana, tra India e Pakistan e India a Bangladesh, tra Pakistan e Afghanistan e tra Kuwait e Iraq.
Muri, barricate, confini e limiti tra qualcosa che sta da una parte e qualcos’altro che sta dall’altra: divisioni, separazioni, scissioni, scissure. Il regista iraniano – tanto per tornare al tema dei ciliegi – Abbas Kiarostami ha girato nel 1997 lo splendido Il sapore della ciliegia. In questo film un uomo pagava un altro uomo per farsi portare in un luogo nel quale l’ultimo muro sarebbe stato abbattuto attraverso una sepoltura, muro essa stessa.

«E se i tuoi occhi fossero ciliegie», cantava Francesco De Gregori in Niente da capire nel 1974… Ecco che oggi questa nuova visione di limiti e confini, al tempo stesso difficili da definire ma così tanto pregnanti dal punto di vista geopolitico, ci conduce a una riflessione tra ciliegie e democrazia.
Chi ha bisogno di rafforzare i propri confini? Chi li vorrebbe più elastici?
Kant diceva che Per la pace perpetua occorre una società cosmpolita. I conflitti russo-ucraino e israelo-palestinese non sono forse segno di una rottura di confini e di una attestazione delle continuità dei confini? Certo la sovranità si esercita sempre su un dato territorio. Ma il turbocapitalismo ha adesso bisogno di un’economia finanziarizzata con uno Stato ultra-minimo, che lasci passare a piacimento i flussi di capitali e in sostanza non si intrometta.
Internet, del resto, è una comunità transnazionale.
Dunque questo odierno insistere su limiti, confini, ciliegie e muri giunge non solo a ricordarci che la Lega ne vorrebbe di più (per gli immigrati, ad esempio) e che il generale Roberto Vannacci li preferirebbe per i non-eterosessuali…
Ma in campo c’è il rapporto, mai esaurito e mai esauribile, tra la terra e il cielo, tra la materia e l’astrazione, tra il territorio e la sovranità, tra l’interno e l’esterno, tra il personale e il politico. Molta parte del voto alle elezioni politiche è dettato da chi vorrebbe ciliegie negli occhi e confini più sicuri. Molta altra parte, magari, non accetterebbe limiti, se solo ci fosse un po’ più di giustizia sociale. Fatto sta che il tema dei confini è tornato al centro del dibattito politico non solo per circoscrivere e delimitare ma per indicarci, psicologicamente, il nostro approccio con l’altro, con la «nuda vita» che si trova oltre i confini della polis e che secondo Agamben è «uccidibile» e nello stesso tempo «la cui uccisione è non punibile».
I confini ci dimostrano questo: il limite dello stato di diritto fa da sponda al regno dell’arbitrario. Almeno questa è la visione dei sovranisti, dei conservatori e dei populisti.

Gianfranco Cordì

Gianfranco Cordì (Locri, 1970), ha scritto dodici libri. E' dottore di ricerca in filosofia politica e giornalista pubblicista. Dirige la collana di testi filosofici "Erremme" per la casa Editrice Disoblio Edizioni. Dirige le tavole rotonde di filosofia del Centro Internazionale Scrittori della Calabria.