16 Ottobre 2024
Culture Club

Da sciamani a influencer. La fine degli intellettuali

La figura del saggio ha contrassegnato la storia antica. Lo Sciamano, nelle tribù primitive, non era altro che questo. Qualsiasi comunità umana, dal momento della sua costituzione, ha avuto sempre al suo interno una qualche rappresentazione della saggezza, del dare consigli, del possedere (comunque) quella che Antonio Gramsci chiamava la capacità di «direzione» (la quale assieme alla capacità di «dominio» caratterizzava il concetto di «egemonia»). Ci si fa dirigere da qualcuno, si sta ad ascoltare qualcuno, si presta attenzione a qualcuno non perché costui abbia un particolare carisma. In definitiva perché costui sa.
La cultura, l’educazione, la sapienza, il sapere, la conoscenza sono in grado di rischiare le zone buie dell’esistenza. In gioco qui è il concetto di verità. Col passare del tempo ci si accorse che non solo «La verità vi renderà liberi» (come diceva San Paolo) ma che la verità (essendo sempre la corrispondenza tra la parola e la cosa) era in grado di discriminare la cosa, il problema che si aveva davanti, la questione da affrontare. Il vecchio saggio divenne allora dapprima il filosofo, poi nel Medioevo il teologo e poi dopo alcuni altri passaggi inessenziali: l’intellettuale moderno della nostra società e civiltà.
L’intellettuale – «traditore» o meno (secondo la nota nozione di Julien Benda: «Il tradimento dei chierici») – aveva due strade davanti a sé: occuparsi della pura speculazione, cioè di problemi astratti (quelli che parlano bene dicono: di teoresi) oppure scegliere l’attività pratica, sporcarsi con la politica, affrontare i problemi della vita di ogni giorno. Di più. Gli intellettuali veri e propri sono stati solo quelli che sono riusciti a fare scuola: il platonismo, l’aristotelismo, il marxismo, ecc.

Fa ridere quando, specialmente in televisione, si attribuisce a qualcuno il termine intellettuale («Quale scuola avrà mai fatto costui?» viene subito da pensare).
Oggi, 2024, che ne è dell’intellettuale? Se stiamo qui in Italia a parte Massimo Cacciari e Marcello Veneziani non viene in mente nessun altro personaggio cui possa essere attribuita questa definizione. E Cacciari e Veneziani li ho nominati perché politicamente rappresentano due posizioni opposte andando a dimostrare che la cultura italiana (nella sua interezza) sia pure in maniera asfittica e asmatica è ancora viva. Ma il fatto che esistano in Italia due intellettuali non vuol dire che in Italia esista una classe intellettuale e che il ruolo dell’intellettuale sia ancora valido e abbia un senso. In realtà molti sostengono che i nuovi intellettuali sono gli influencer! Certo i nuovi mezzi tecnologici e di comunicazione sono le cose con le quali l’intellettuale deve confrontarsi. Karl Kraus una volta disse: «Se tornasse oggi Gesù la prima cosa che farebbe sarebbe indire una conferenza stampa».
Non puoi esimerti dal confrontarti con la Realtà. Hegel stesso ci aveva avvisato che «La filosofia è il proprio tempo appreso al pensiero». Detto questo si può constatare – in linea generale – una forte decadenza non solo dell’intellettuale ma anche del suo ruolo, oggi. Certamente questa di oggi non è una società nella quale la sfera culturale sta al centro del discorso pubblico. Nello stesso tempo, e questa non è una constatazione né morale né moralistica (è solo una presa d’atto dei fatti), una società nella quale il sapere non è al centro pone, invece, l’economia dritta al cuore del discorso.

Fare soldi! Non era forse una canzone che si chiamava, appunto, Soldi che ha vinto il festival di Sanremo solo qualche anno fa? Ma una società che predilige il capitalismo (declinato in neoliberismo economico) certamente assegna all’intellettuale (o a quello che ne resta) il compito di orientare verso gli acquisti. E questo gli influencer lo fanno. Se da ciò si possa dire che gli influencer sono i nuovi intellettuali però ce ne passa. Manca ad essi infatti l’aspetto “teoretico” della questione: di quale pensiero è portatore l’homo economicus? Evidentemente di un pensiero mediato dal mediatore universale: il denaro. Sempre più evidentemente si tratta in questo caso di un pensiero che mira all’utile, al profitto, al valore d’uso piuttosto che al valore di scambio: al consumo e al consumismo. Ma questo tipo di pensiero è solo una fattispecie della enorme complessità del pensiero umano, che di per sé può essere infinite cose: il pensiero estetico ad esempio (che privilegia la bellezza è in forte decadenza naturalmente in un mondo che privilegia l’utile) anzi la bellezza (l’inutile per antonomasia) sparisce del tutto.
Anche questo fa ridere: dire “bella” di una ragazza, in un mondo che penserebbe subito a monetizzare non solo quel bella ma anche – come ci insegna Karl Marx –quella stessa ragazza.
Dunque gli influencer possono dirsi intellettuali di oggi solo a patto di considerare una nuova definizione di intellettuale. Quella per la quale «La conoscenza tende e serve solo all’utile». La fine del pensiero astratto, dunque, rappresenta non più «Il tradimento dei chierici» ma una scelta non più effettuale dall’intellettuale ma dal contesto nel quale egli si è venuto a trovare.

Il vecchio Sciamano viveva in un contesto nel quale «le cose della vita» prevedevano uno spazio per la cultura ben definito. La cultura aveva un ruolo; oggi, 2024, questo ruolo non c’è più. Questo cambiamento concettuale – che ha sostituito la razionalità tout court con la razionalità strumentale (il raggiungimento non più dei fini dell’essere umano ma dei mezzi, secondo Max Horkheimer) ha reso l’intellettuale (che magari potrebbe ancora esistere) del tutto privo del suo tradizionale ruolo e della sua stessa essenza e collocazione nel mondo.
La società di oggi non ha bisogno di intellettuali; ha bisogno di televendite e di Amazon. Il problema – per finire – della attuale decadenza degli intellettuali non è un problema di questa classe sociale (ammesso che essere intellettuale voglia dire fare parte di una classe sociale); è il problema del cambiamento intervenuto nella società all’indomani del 1989 e della Caduta del Muro di Berlino. La globalizzazione estendendo il capitalismo su tutto il Pianeta ne ha esteso anche l’unico significato che regola questo sistema economico: il profitto. A quel punto non c’era più bisogno degli intellettuali. Che oggi, in effetti sono del tutto scomparsi dalla scena pubblica.

Gianfranco Cordì

Gianfranco Cordì (Locri, 1970), ha scritto dodici libri. E' dottore di ricerca in filosofia politica e giornalista pubblicista. Dirige la collana di testi filosofici "Erremme" per la casa Editrice Disoblio Edizioni. Dirige le tavole rotonde di filosofia del Centro Internazionale Scrittori della Calabria.