16 Ottobre 2024
Sun

Fanny Desarzens, Galel, Gabriele Capelli Editore 2024, pag. 152. Traduzione dal francese di Carlotta Bernardoni-Jaquinta.

Quando si chiude Galel sull’ultima pagina, si deve tornare alla realtà,  uscire cioè da una atmosfera che ci ha tenuti sospesi, ma non perché ci ha creato tensioni, ansia d’attesa e di scioglimento di enigmi, bensì perché ci ha accompagnato in un mondo pulito, di impegno vero, di rapporti umani sinceri, di collaborazione e condivisione, che ci ha emozionato e ci ha fatto respirare aria nuova, in un contesto che sa di magia.

Montagne, valloni, altopiani, ghiaioni, sentieri che salgono verso le capanne, le baite estive e gli alpeggi; paesini minuscoli che Paul, Jonas e Galel non vogliono lasciare perché sono vicini alle montagne, e loro sono delle guide alpine. In realtà Paul non lo è più, perché, dopo un incidente che ha coinvolto suo fratello, ha riportato in vita e gestito la Baita, un rifugio per escursionisti che vi arrivano con le loro guide. Lì sale a primavera insieme a una giumenta e una mucca, lì accoglie chi cerca sosta e ristoro, fa il pane, cucina, lava, prepara i letti, tiene in ordine. Lì ogni anno in estate arrivano nello stesso giorno i suoi amici Jonas e Galel, un incontro atteso con la gioia di ritrovarsi, di raccontarsi davanti a un bicchiere di rosso, nella notte buia quando tutti gli altri dormono.

Talvolta a Paul fa visita Jonas, il pastore col gregge, o Vinciane, la donna che gestisce una capanna a poche ore di cammino, e allora si scambiano il necessario per preparare i pasti.

Galel è arrivato per ultimo in quel terzetto, ha individuato gli altri due da una collina ed è sceso, e lo stare sulla panca con loro è stato naturale, come bere il bicchiere di rosso e mangiare quel pane nero. Poi è tornato ogni estate all’appuntamento, lassù, in mezzo a un tripudio di fiori di ogni colore, col vento a tagliare la faccia. Con un fischio si annuncia dalla collina e scende veloce davanti al suo gruppo di escursionisti, ridendo, “la sua risata è come una pomata da spalmare su una ferita”. Più piccolo e tarchiato dei suoi amici, capelli color del grano e pelle color miele, Galel è tutto una luce, “come estratto da un blocco in un giorno di sole”. Di grande appetito, appare agli occhi dei suoi amici come “un bambino instancabile ed entusiasta, curioso di tutto”. La sua vita si risolve nel camminare, mangiare, dormire, sempre con gioia.

Si alternano le stagioni, a settembre si chiudono capanne, Baita e alpeggi, tutti tornano a valle ai ritmi del lavoro invernale, e i tre amici non si incontrano mai giù in basso: come in un accordo senza parole lasciano la meraviglia del loro incontro solo nella atmosfera magica della montagna.

In montagna temporali forti e improvvisi che se ne vanno col vento e lasciano il cielo a scintillare sorprendono gli escursionisti; i percorsi presentano passaggi erti e stretti, pietrisco su cui posare il piede con leggerezza.

Possono succedere incidenti anche alle guide, magari nel tentativo di salvare uno del gruppo di cui sono responsabili, magari non è un incidente mortale, ma è tale da rendere difficoltoso camminare. Così è per Galel che tuttavia non si arrende, cammina col dolore, riesce a salire ancora alla Baita d’estate, ma il suo passo si fa sempre più lento e difficile e non riesce più a stare in testa al suo gruppo.

Fanny Desarzens racconta i tre amici, il loro passato, il tempo che li trasforma, con una mano leggera che non dice mai troppo ma fa intuire; fa sentire i silenzi, il profumo dei fiori, il passo sempre più stanco e lento della giumenta e della mucca di Paul, il suono degli scarponi nella neve, il passo di una nonna accanto al nipote, tutto con immagini che creano un piccolo e straordinario presepe vivente. Ma soprattutto ci porta in mezzo alla bellezza di una natura incontaminata dove fa agire persone che capiscono e vivono una amicizia vera, quella che non ha bisogno di molte parole: i gesti valgono di più, e le emozioni e le paure più profonde si affidano a un abbraccio più forte, a un voltare indietro il capo mentre ci si allontana. O a non voltarsi affatto, quasi nella consapevolezza di non incontrarsi più.

La stessa delicatezza si legge nei confronti della storia di Galel, con la condivisone del dolore e della sua delusione, quella che lo porta a piangere come un bambino, quando è solo, in alto, dove è arrivato con sofferenza: una sfida e un’ultima vittoria.

Sono di nuovo alla Baita, Jonas e Paul. Jonas fischia per allontanare una marmotta, gli risponde un fischio nel vento, ma non si vede nulla, “poi all’improvviso è come se una specie di bagliore spuntasse nella luce del giorno, e allora laggiù intravedono una forma che risplende sotto un gran sole”. Echeggia una risata e ridono anche loro.

Marisa Cecchetti

Marisa Cecchetti vive a Lucca. Insegnante di Lettere, ha collaborato a varie riviste e testate culturali. Tra le sue ultime pubblicazioni i racconti Maschile femminile plurale (Giovane Holden 2012), il romanzo Il fossato (Giovane Holden 2014), la silloge Come di solo andata (Il Foglio 2013). Ha tradotto poesie di Barolong Seboni pubblicate da LietoColle (2010): Nell’aria inquieta del Kalahari.