Hegel deve tornare di moda
«Comprendere ciò che è, è il compito della filosofia, poiché ciò che è, è la ragione. Per quel che concerne l’individuo, del resto, ciascuno è figlio del suo tempo; così anche la filosofia, è il tempo di essa appreso in pensieri», così Hegel nei suoi Lineamenti di filosofia del diritto. Il tempo nel quale, oggi, si caratterizza la filosofia è (tra le tante altre cose) quello della più volte rilevata mancanza dello spirito critico. Di per sé, la filosofia è critica; l’analisi, infatti, è necessaria per arrivare al giudizio sul vero o sul falso. Dunque, ci sembrerebbe di trovarci nei pressi di una contraddizione: la filosofia, di per sé critica, ha come compito quello di apprendere «in pensieri» un tempo che critico non è (o non è più). Evidentemente la filosofia può benissimo fare la filosofia e produrre lo stesso un pensiero che, a quel punto, non avrebbe alcun riferimento con il suo tempo. Ma per evitare queste due rette parallele occorrerebbe o che la filosofia si indebolisse, come volevano Gianni Vattimo e Pier Aldo Rovatti, ulteriormente oppure che tornasse in qualche maniera lo spirito critico nelle nostre società.
E ovvio che io sto schematizzando come un forsennato in maniera molto massimalista; le cose sono molto più complicate di così. Per far tornare lo spirito critico quella che vale ancora oggi è la ricetta di Jean-Paul Sartre. L’io deve separarsi da se stesso e rendere universale uno dei suoi contenuti che altrimenti rimarrebbe, anch’esso, nella sfera del privato, del personale, del singolare. Per arrivare a “vedere” la realtà occorre fare astrazione da (e rinunciare a qualcosa di) se stesso e iniziare a capire che esistono anche gli altri. Una sorta di dimagrimento dell’io. Una volta compiuta tale operazione di scissione si avrebbe come risultato la nascita della consapevolezza. Insieme ad essa germoglierebbe anche lo spirito critico, in quanto i problemi dell’altro andrebbero, in questo modo, a far parte di me. Per indebolire la filosofia, dopo La condizione postmoderna di Jean-Francois Lyotard, basterebbe decretare la fine di ogni ulteriore narrazione residua: sia essa politica, sociale, economica, ecc.
La prima operazione in genere è demandata alle istituzioni che presiedono ai vari sistemi educativi. La seconda operazione dovrebbero compierla i filosofi. Se tale seconda operazione fosse posta in atto ne avremmo, allora, una filosofia debolissima. Tanto che, in una situazione del genere, verrebbe anche da chiedersi quale sarebbe il suo stesso ruolo e il suo significato. Essa sarebbe un involucro quasi del tutto formale senza contenuti di alcun tipo.
Per evitare di svuotare così tanto la filosofia e per cercare di fare deviare una di quelle due rette parallele di cui si diceva e farla incontrare con l’altra, occorrerebbe dunque che la filosofia incidesse sulla realtà. «Finora i filosofi hanno solo interpretato diversamente il mondo in vari modi; ma si tratta di trasformarlo», così recitava la 11° Tesi su Fuerbach di Karl Marx. Ma come fa una filosofia critica a incidere su un contesto in cui latita, proprio, lo “spirito critico”? In un contesto del genere, la filosofia (come qualsiasi altra cosa) appare come un determinato «Così è!»; inevitabile come la pioggia quando cade; qualcosa che non merita né astrazione, né consapevolezza, né analisi e neppure critica. A questo punto, non incidendo affatto, la filosofia diventerebbe una di quelle “interpetrazioni” che Marx additava (pensando, proprio, a Hegel) come caratteristiche del periodo precedente al suo materialismo storico. Dunque? Sembrerebbe che l’unica possibilità che ha davanti a sé la filosofia per apprendere in pensieri il proprio tempo sia quella di tornare a Hegel. Tornare a farsi interprete e non (più) motore del cambiamento.
Del resto, non lo diceva lo stesso Friedrich Nietzsche che «Non ci sono fatti, solo interpretazioni»? Ma tale «ritorno a Hegel» dovrebbe, stante la dialettica storica insista nella stessa filosofia, produrre prima o poi una XII° Tesi su Fuerbach e, magari, un nuovo Karl Marx. E allora la filosofia potrebbe tornare a incidere sul proprio tempo. In sostanza, quello che manca oggi è il sistema che chiude tutto. Quello nel quale: il reale e il razionale sono la stessa cosa. Sembra che per cambiare le cose quello che occorre è far fuori una volta per tutta quell’anomalia che si è incuneata dentro la realtà.