La scomparsa di David Lynch e una lettura della realtà
Fumatore incallito, è mancato ieri 16 gennaio per una grave forma di enfisema polmonare, da lui lamentata pubblicamente la scorsa estate, David Lynch. Tra gli autori più complessi dei nostri tempi, eclettico visionario, Lynch non è stato solo un cineasta (l’ultimo suo lungometraggio per il grande schermo risale al 2006), ma un artista a tutto tondo, disegnatore, scrittore, produttore e imtellettuale attento alle nuove tecnologie, che ha messo a frutto nella sua attività artistica.
Nato nel Montana nel 1946, in età da liceale si avvicina alle arti e alla pittura, frequenta corsi di fine arts a Washington e poi nel 1966 a Philadelphia, dove si trasferisce con i suoi e finalmente si diploma. Terrà decine di mostre. Si sposa per la prima volta a ventuno anni e inizia, spostatosi a Los Angeles verso il 1971, a dedicarsi al cinema preparando ossessivamente e in prima persona da ogni punto di vista (sceneggiatura, montaggio ecc.) Eraserhead, uscito nel 1976, in bianco e nero, fastidioso, ma poi destinato a diventare un cult-movie. Si fa conoscere e ammirare da autori e produttori come Kubrick e George Lucas, diventa amico di Mel Brooks. Il suo stile spesso (non sempre) sperimentale, surreale, onirico, simbolico, lo caratterizza in altre sue opere. Il fiabesco e sconcertante The Elephant man, ricostruito sulla vicenda avvenuta (oggi si direbbe biopic) di un uomo deforme vissuto a fine Ottocento, gli dà la celebrità, consolidata poi e anzi esplosa con la serie televisiva per molti versi pionieristica, ma noiosa, Twin Peaks. La palma d’oro a Cannes lo consacra nel 1990 anche presso le istituzioni ufficiali del cinema internazionale, con Wild Hearth / Cuore selvaggio, con Laura Dern e Nicholas Cage, un altro film sopravvalutato. D’altra parte, Mullholand Drive del 2001, che doveva essere una fiction televisiva presso la ABC, presentato come prova pilota senza finale, non fu accolto positivamente dai dirigenti televisivi e fu finalmente ricomposto con un finale e trasformato in lungometraggio. Esso è stato considerato da un comitato di esperti della BBC il più bel film del XXI secolo.
Non è, pur riconoscendone le qualità e l’originalità, tra i nostri autori preferiti, cosí come non ci è mai apparso un film degno di particolare apprezzamento anche un’altra delle sue opere più note in Italia, e anche più narrativamente strutturate in chiave noir, Velluto Blu (protagonista Isabella Rossellini, con cui Lynch ebbe una lunga relazione). Il film che più abbiamo amato è forse uno dei più anomali rispetto al resto della produzione lynchana: The Straight Story – Una storia vera, del 1999, un ‘on the road’ minimalista ma struggente che racconta di un anziano contadino che decide di andare a trovare il proprio fratello infartuato sobbarcandosi un viaggio di 500 km su un piccolo trattorino tosaerba. Una storia vera, appunto, ma molto bella e commovente.
FILMOGRAFIA (lungometraggi)
- Eraserhead – La mente che cancella (Eraserhead) (1977)
- The Elephant Man (1980)
- Dune (1984)
- Velluto blu (Blue Velvet) (1986)
- Cuore selvaggio (Wild at Heart) (1990)
- Fuoco cammina con me (Twin Peaks: Fire Walk with Me) (1992)
- Strade perdute (Lost Highway) (1997)
- Una storia vera (The Straight Story) (1999)
- Mulholland Drive (2001)
- Inland Empire – L’impero della mente (Inland Empire) (2006)