La Consulta non ama la filosofia
È davvero strano. La nostra Corte Costituzionale non ama affatto la filosofia. Con riferimento al rigetto del referendum sull’autonomia differenziata da parte della Consulta (reputato, fra l’altro, del tutto «inammissibile»!) si apre un ragionamento sul ragionamento dell’Alta Corte.
I giudici costituzionali hanno valutato quanto segue. Se la legge Calderoli è stata inficiata dalla sentenza 192 della stessa Corte, e di fatto svuotata completamente del proprio contenuto (giudicato degno di rilievi di incostituzionalità), allora i cittadini, attraverso il proposto referendum, si sarebbero dovuti esprimere non su un quesito particolare e determinato, ma su un tema del tutto generico e quindi filosofico. La legge Calderoli, insomma, non era più quella che era stata proposta dai leghisti: per cui di fronte a un referendum che voleva, appunto, abrogare quella legge ci si sarebbe trovati non a pronunciarsi su qualcosa di solido e ben formato ma su una domanda del tutto astratta: «Vi piace o non vi piace l’autonomia?». Ma questa domanda è già evasa dalla stessa Costituzione che prevede, appunto, all’articolo 5 il fatto che: «la Repubblica, unica e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali». Dal punto di vista del diritto, il ragionamento dei giudici appare incontestabile. Ma il diritto non esaurisce l’intera sfera dei rapporti sociali nei quali si sviluppa la Repubblica, appunto: né la politica, né l’economia, né l’antropologia degli italiani, eccetera.
Siamo d’accordo che la Corte Costituzionale si deve esprimere solo su temi afferenti alla Corte Costituzionale. Ciononostante aver lasciato evasa quella domanda filosofica avrebbe rappresentato un momento di intelligenza (sociale e politica) non comune. Avrebbe rappresentato, infatti, da parte della Consulta la presa in carico di una rilevante eredità che il nostro Paese ha a causa della sua storia. Intendo rifermi al mastodontico patrimonio culturale italiano. Infatti quella domanda è direttamente, come detto, una domanda filosofica rispetto alla quale gli italiani si sarebbero dovuti, finalmente, pronunciare in termini culturali. Peccato!
La mia non è una critica alla Consulta. Ovviamente di diritto essa si occupa e sul diritto si è pronunciata. La mia è una critica alle occasioni mancate. Sarebbe stato bello se tutti ci saremmo potuti pronunciare su un tema filosofico. Sarebbe stato anche una specie di test per un paese nel quale, come riportato recentemente da una statistica, la metà degli alunni delle scuole medie «legge e non capisce quello che legge». Sarebbe stato come in quel romanzo di Josè Saramago nel quale un intero Paese si pronunciava, votando scheda bianca durante una consultazione elettorale. Insomma sarebbe stato un test mica male.
La filosofia è del tutto i caduta libera in questo momento, in Italia. Non solo non è al centro del dibattito pubblico ma non produce nulla di veramente nuovo ormai da moltissimi anni. In questo senso un referendum di questo tipo sarebbe stata una grande boccata d’aria per questa disciplina. Avrebbe dimostrato che essa è ancora viva. Che in qualche maniera: esistono ancora domande filosofiche degne di essere espresse. E se è vero che la filosofia nasce dalla curiosità, come diceva Aristotele, cioè dalla meraviglia, è anche vero che la domanda, in sé stessa, è il risultato preciso di quella meraviglia.
Dunque un simile referendum filosofico (unico nel suo genere nel mondo) avrebbe rappresentato un ritorno a quel senso di grandezza e di perdita di confini (il «sublime», lo chiamava Kant) che ruota sempre intorno all’emozione e allo stato d’animo della meraviglia. L’abitudine, affermava Etienne de la Boitie, è la causa della servitù volontaria di ogni essere umano. L’abitudine è la causa di un certo modo stereotipato e conformista di vedere le cose. Modo che conduce a un tipo di vita stabile, statica, piena di moltissimo tempo (da perdere) ma nella quale ognuno di noi non ha mai – chissà perché – tempo. E sai perché? Perché le nostre «Vite di corsa» (è il titolo di un testo di Zygmunt Bauman) sono contrassegnate dalla positività, dall’essere sani, belli, in forma, sempre pronti a ogni nuova sollecitazione proveniente dal mercato globale. In questo senso non si ha mai tempo perché si riconcorre sempre l’ultimo «like». L’ultimo: «mi piace». Proprio quel «mi piace» che ci è stato negato dalla decisione della Consulta. «Vi piace o non vi piace l’autonomia?». Un quesito filosofico destinato a rimanere sospeso nell’aria. Come le nostre vite, del resto…